Ad accompagnarci in questo viaggio è Maria Letizia Gardoni, delegata nazionale Coldiretti Giovani Impresa. E’ a lei che abbiamo chiesto di fornire suggerimenti e consigli per chi voglia oggi pensare il proprio futuro legato alla terra.
Quali i presupposti e quali i primi passi?
«Per far nascere una impresa è prima di tutto prioritario avere un’idea intorno alla quale sviluppare un progetto senza fermarsi alla semplice visione bucolica. E senza accontentarsi delle ipotesi più tradizionali, ma considerando l’ampio spettro di opportunità offerte dal settore che, grazie allo strumento della multifunzionalità, ha esteso le sue competenze dalla produzione alla trasformazione e vendita di prodotti alimentari, dalla manifattura agricola fino all’offerta di servizi alle scuole come le fattorie didattiche, ma anche alle pubbliche amministrazioni per la cura del verde. E’ consigliabile, inoltre, confrontarsi con chi ha già fatto esperienze simili, visitando direttamente le aziende in Italia e in Europa; questo contribuisce a focalizzare l’idea e ad individuare le migliori soluzioni. Dopo aver verificato la tenuta dell’idea e averla trasferita in un progetto concreto con la collaborazione di esperti, vanno individuate le opportunità concrete che ci sono sul mercato in termini di località, aziende e professionalità. Non è raro trovare occasioni di acquisto soprattutto nelle aree interne o di montagna dove l’attività di coltivazione e di allevamento è più difficile, ma si possono cogliere opportunità per il turismo rurale. Inoltre occorre verificare le alternative dell’acquisto, dell’affitto o della semplice gestione aziendale considerato che sono molti gli agricoltori anziani che non hanno intenzione di cedere la propria azienda, ma sarebbero disponibili a collaborazioni. Verificare le eventuali ipotesi di dismissioni di terreni pubblici da parte delle autorità pubbliche. Successivamente, una volta individuato il fabbisogno finanziario complessivo, soprattutto per i giovani sotto i 40 anni di età, occorre appurare l’esistenza di agevolazioni per lo specifico progetto considerato. Le agevolazioni per la maggioranza sono di natura comunitaria e vengono erogate attraverso le regioni con la consulenza dei centri Caa avviati anche dalla Coldiretti. Per l’acquisto della terra alcune banche offrono condizioni specifiche anche grazie ad accordi con il Consorzio fidi Creditagri Italia, promosso dalla Coldiretti per la ricerca delle migliori condizioni di accesso al credito e che ha già garantito circa 300 milioni di euro di investimenti proprio a favore dei giovani agricoltori. Dal punto di vista burocratico sono tre i passaggi fondamentali: apertura di una Partita Iva presso l’Agenzia delle Entrate, iscrizione al Registro delle imprese, sezione speciale Agricoltura, presso la competente Camera di Commercio e iscrizione e dichiarazione presso l’Inps. Una formazione di base in campo agricolo è importante, ma non decisiva anche perché sono numerosi i corsi di formazione professionale organizzati a livello regionale per acquisire competenze e avere la qualifica di imprenditore agricolo dal punto di vista fiscale».
Quali sono, indicativamente, i costi da affrontare?
«Tutto dipende dal progetto imprenditoriale che si vuole sviluppare. Lo strumento produttivo principale è la terra ed oggi il suo costo è elevato, soprattutto per i giovani che si affacciano all’impresa agricola come prima esperienza lavorativa, per chi non ha garanzie familiari sufficienti e per chi è uno startupper. Questo è dovuto ad una scarsità di terreno disponibile sul territorio nazionale per via della cementificazione selvaggia, per gli utilizzi impropri per colture no-food, per impianti fotovoltaici o di biogas da rifiuti industriali. Inoltre il costo della terra varia da zona a zona in virtù delle specificità produttive territoriali e della morfologia. Questo però non è un ostacolo insormontabile, sia perché esistono strumenti finanziari che agevolano l’investimento sia perché è erroneo pensare che la sostenibilità economica di un’attività agricola sia direttamente proporzionale alla superficie aziendale. Quello che conta è saper generare il maggior valore aggiunto per ettaro e questo si ottiene puntando sulla diversificazione della produzione, sulla multifunzionalità, sulla vendita diretta, sulle produzioni di eccellenza. Esistono tante realtà positive di giovani imprenditori agricoli che hanno fondato e conducono aziende di tutto rispetto su appena 6mila metri quadri di terra».
Esiste un percorso specifico per chi vuole dedicarsi al biologico?
«Per il settore biologico, tra i regolamenti dell’UE che permettono agli operatori nel campo dell'agricoltura biologica di avere aiuti finanziari c’è il Reg.2328/91 ed è accessibile a tutte le aziende agricole per il miglioramento delle strutture. Esistono anche interventi specifici per aziende in zone svantaggiate e per l'istituzione di associazioni agricole. L’applicazione di tali regolamenti è rimandata alla legislazione dei singoli Paesi e, per quanto riguarda l’Italia, sono le Regioni a stabilirne le modalità. In generale, comunque, gli ultimi orientamenti della PAC sono stati guidati da una maggiore consapevolezza circa la necessarietà di una sostenibilità ambientale che ha contribuito ad assegnare all'agricoltura biologica un ruolo di primo piano nelle strategie di sviluppo. Ci tengo a ricordare che l’Italia è al primo posto nella classifica europea per numero di operatori biologici nel comparto agricolo: questo è un buon dato che testimonia la nostra continua attenzione per la sicurezza alimentare e per la tutela della biodiversità. Con questo però non voglio screditare l’agricoltura convenzionale che in Italia segue i disciplinari più rigidi e restrittivi a livello mondiale, seguendo delle norme ferree volte a regolare l’utilizzo dei prodotti di sintesi».
Ci sono sostegni europei?
«I sostegni europei rappresentano di certo importanti incentivi per la conduzione quotidiana dell’attività, soprattutto perché vengono vissuti ed interpretati come un’integrazione al reddito; quel reddito agricolo che in alcune situazioni oggi è ancora troppo basso e inappropriato rispetto alla grande valenza economica e sociale che risiede nella figura dell’agricoltore. Detto questo, credo che sia scorretto impostare la propria attività imprenditoriale solo in funzione degli aiuti comunitari, che probabilmente un giorno potranno subire una diminuzione in termini di valore. Così come in altri settori, la capacità imprenditoriale e l’idea progettuale sono le variabili fondamentali per garantire la sostenibilità economica dell’impresa».
Si può far conto su canali alternativi alla grande distribuzione per la vendita dei prodotti?
«I canali di vendita alternativi alla grande distribuzione rappresentano una grande opportunità per recuperare da una parte il valore del prodotto che rimane in mano all’agricoltore e che altrimenti andrebbe smarrito nei lunghi passaggi di mano delle filiere lunghe, dall’altro per garantire qualità e sicurezza al consumatore finale. Un esempio lampante di questo cambio di approccio alla vendita è rappresentato dai mercati di Campagna Amica che presente in quasi 2 mila comuni italiani ha generato 10 mila posti di lavoro coinvolgendo circa 8 mila imprese agricole. Solo nell’ultimo anno, hanno accolto più di 15 milioni di cittadini che sono sempre più consapevoli del ritorno economico e di salute che si guadagna consumando prodotti locali, rigorosamente Made in Italy e che provengono direttamente dai campi coltivati del proprio territorio. E’ per questo che i nuovi canali di vendita rappresentano una fonte di sviluppo per l’economia locale, per l’occupazione, e per una nuova socialità».
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