Non esiste persona che di fronte alle immagini sconcertanti di violenza e incuria nei confronti degli animali da allevamento, dica che sia giusto o rimanga indifferente alle denunce che ormai iniziano a diffondersi con sempre maggiore frequenza sui social, sui giornali, su internet e in tv. Le reazioni di chi sostiene la tesi di una sana alimentazione onnivora sono di seria e onesta distanza dai quei produttori così brutti e cattivi che non si fanno scrupoli di tenere esseri viventi (esattamente come noi) in strutture che hanno tutte le caratteristiche e le dinamiche di veri e propri campi di sterminio organizzati. Nessuno è d'accordo.
Ma, si sa, quelli sono casi particolari. Non è davvero così che avviene la produzione di carne. Non è così che si produce il latte o la nostra tradizionale e irrinunciabile mozzarella di bufala. Non è perpetrando ogni giorno e ogni notte della loro tristissima e breve vita maltrattamenti e torture ad esseri senzienti, pensanti e sofferenti (esattamente come noi) che si producono stragi di cuccioli per procurare piacere, diletto, divertimento sottoforma di “gusto”, “tradizione”, “cucina mediterranea” e altre espressioni che coprono come pesantissimi sipari le verità scomode, distanti e vergognose che non vogliamo vedere, che neghiamo, che allontaniamo il più delle volte consapevoli.
Non c'è video di approfondimento, non c'è intervista o articolo che salvi questi modelli di produzione di esseri viventi destinati alla nostra tavola. Certo che sono condannabili, chi vuole essere così cattivo da dirsi favorevole, chi vuole apparire così poco sensibile, empatico o indifferente? Persino gli chef stellati, perfino i nutrizionisti carnivori di tradizione e scelta “scientifica” si dissociano da codesto sistema che per un pugno di dollari è capace di costruire un'intera filosofia del mangiare sano su una tradizione fatta di violenza sempre meno sostenibile.
Non c'è azienda che non si veda pronta a correre la gara del naturale e del rispettoso del benessere animale quand'anche la sua tradizione dice ben altro. Fioriscono pubblicità presentate al pubblico incipriate e confezionate a dovere col nastro brillante della mucca munta a mano o il filtro romantico quanto disonesto dei vitellini con la loro mamma. Ci vuole così poco a comprarci, così poco a farci convincere non perché quelle aziende e il sistema tutto abbiano chissà quali mezzi o siano geni criminali con l'unico obiettivo del guadagno. Ci vuole poco e ci vorrebbe ancora meno perché noi non vogliamo rinunciare al piacere. E' il piacere quello che ci muove. E' in nome del piacere che possiamo chiudere gli occhi davanti a ogni efferatezza che sappiamo molto bene esistere e compiersi nei confronti di milioni di animali ogni anno, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. E' il piacere che ci spinge a liquidare sotto forma di “estremismo” le opinioni diverse dalle nostre. E' il piacere che, ancora, ci muove a prendere le distanze da queste realtà, sapendo bene che gli allevamenti intensivi non sono realtà isolate ma la vera e tristissima norma quotidiana.
E allora gli allevamenti lager esistono perché noi, noi e nessun altro, vogliamo carne, uova, latte e formaggi ogni giorno, a bassissimo prezzo e in quantità industriali per soddisfare la nostra voracità spaventosa mascherata da cultura, tradizione e gusto da gourmet. Noi siamo i responsabili di tutto questo ogni giorno quando facciamo la spesa, quando redigiamo i nostri menu, quando chiudiamo gli occhi pensando che tutto sia giusto perché così è sempre stato. Ogni smorfia di disgusto, ogni parola di distanza in proposito deve essere rivolta a noi e solo ed esclusivamente a noi. Siamo i mandanti, i primi respnsabili, i primi che possono cambiare direzione. Dissociarsi non è più sufficiente. Diventare consapevoli e fermarci a riflettere su ciò che acquistiamo e scegliamo è l'unica, vera e indispensabile strada. Per noi e per gli altri animali (esattamente come noi), se vogliamo continuare a dirci umani.