di
Alessandra Profilio
13-01-2012
È entrato in vigore il 1° gennaio 2012 in tutta Europa il divieto di allevare le galline ovaiole nelle cosiddette 'batterie'. A 12 anni dall'apertura dell'iter legislativo, ben 11 Paesi su 27 si devono ancora adeguare. Tra i 'fuorilegge' vi è anche l'Italia.
È entrato in vigore il 1° gennaio 2012 in tutta Europa il divieto di allevare le galline ovaiole nelle cosiddette 'batterie', ovvero le gabbie grandi all'incirca come un foglio A4.
In base al divieto sono consentiti esclusivamente allevamenti con sistemi alternativi alle gabbie e l’allevamento nelle gabbie modificate o cosiddette 'arricchite'.
Il percorso legislativo dell'Unione europea che ha portato al divieto in vigore da qualche giorno è iniziato nel'99 con la Direttiva 1999/74/CE che stabilisce le norme minime per la protezione delle galline ovaiole. Tuttavia, sebbene siano trascorsi 12 anni, ben 11 Paesi su 27 si devono ancora adeguare. Tra i paesi 'fuorilegge' vi è anche l'Italia.
Come rivela un dossier della LAV, ogni anno sul territorio dell’Unione Europea vengono allevati oltre 400 milioni di galline ovaiole, circa il’68% delle quali sono rinchiuse nelle gabbie di batteria degli allevamenti intensivi.
In Italia il divieto interesserebbe ben 55 milioni di galline e 4970 allevamenti nazionali. Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna sono tra i maggiori produttori.
La natura altamente restrittiva delle gabbie non modificate (gabbie in batteria) non permette alle galline di esprimere la maggior parte dei normali modelli di comportamento, come la ricerca del foraggio, la cova delle uova nei nidi, beccare sul terreno, distendere le ali. La mancata soddisfazione di tali primari bisogni provoca negli animali un alto grado di frustrazione e stress.
Gli allevamenti di galline in batteria sono dei luoghi infernali, dove gli animali vengono privati di tutti quei bisogni e piaceri irrinunciabili per ogni essere vivente. Negli allevamenti le galline vengono costrette a produrre uova come macchine, fino allo sfinimento.
Per far conoscere cosa si cela dietro l'industria delle uova, gli attivisti dell'associazione Nemesi Animale hanno documentato la sofferenza delle galline prigioniere degli allevamenti della ditta Bruzzese, una delle principali produttrici di uova della regione Lombardia. Nel suo allevamento di Olgiate Olona (VA) sono attualmente prigioniere 200.000 galline che 'riforniscono' catene di supermercati e discount, negozi di alimentari, mense, asili.
I capannoni della Bruzzese sono soltanto un esempio. In Italia, infatti, sono 40 milioni le galline costrette a vivere in queste condizioni.
Nelle mani del consumatore è però il potere di mettere fine a questa industria della sofferenza compiendo, al momento dell'acquisto, una scelta consapevole dal punto di vista etico e salutistico. È sufficiente una piccola attenzione in più nel momento in cui si scelgono le uova sugli scaffali dei supermercati.
Per poter identificare la provenienza delle uova è necessario leggere il codice impresso su ciascuna di esse. La prima cifra del codice è quella che indica da quale tipo di allevamento proviene l’uovo: ‘1’, ‘2’ e ‘3’ indicano rispettivamente allevamento all’aperto, allevamento a terra (che significa al chiuso, stipate nei capannoni), e allevamento in gabbia; lo ‘0’ indica invece l’allevamento biologico.
Le uova provenienti da allevamento in gabbia e allevamento a terra sono entrambe da evitare, perché in entrambi i casi le galline sono tenute in condizioni inaccettabili. Scegliendo invece le uova di un allevamento biologico abbiamo la garanzia che queste provengono da galline che hanno condotto una vita degna, in uno spazio all'aperto, nutrite con mangimi naturali e senza aver subito il taglio del becco ed altre atroci sofferenze.
Consulta la GUIDA per una scelta consapevole delle uova
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