Idee con i denti: questo è il termine colloquiale con cui si riferisce alla Banca Mondiale (BM) l’incipit del primo dei 5 articoli di una serie dedicata recentemente alla stessa dal British Medical Journal (BMJ), in collaborazione con alcuni ricercatori dell’Università di Edimburgo. Idee con i denti perché la BM combina prestigio intellettuale e potere finanziario, due elementi necessari per garantire che ciò che i suoi vertici decidono si traduca in realtà. In questo primo articolo, gli autori analizzano in dettaglio le politiche di credito al settore salute della BM, credito quasi sempre accompagnato da un sostegno “tecnico” su come usare il denaro e da alcune condizioni.
Condizioni che chi, come me, ha attraversato gli ultimi 4 decenni di politiche sanitarie internazionali conosce bene: piani di aggiustamento strutturale, tagli ai finanziamenti pubblici, pagamenti a prestazione, privatizzazione dei servizi sanitari. Il tutto imposto per circa 2 decenni dall’inizio degli anni ’80 del secolo scorso. Le chiamavano riforme, e credo che risalga a quell’epoca il cambiamento semantico che ha trasformato il termine “riforma” da positivo a negativo. Attualmente, quando sentiamo parlare di riforme, ci mettiamo a tremare, perché sappiamo ciò che ci aspetta.
La BM poteva imporre le sue riforme, perché controllava i cordoni della borsa. Per lungo tempo è stata il maggiore finanziatore di programmi e progetti sanitari a livello globale. E lo è ancora, anche se in proporzione un po’ meno dopo l’entrata di altri attori nel mercato dei fondi per la salute. All’inizio della sua storia, dalla sua fondazione nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods fino al 1968, quando è stato nominato alla presidenza Robert McNamara, già ministro della difesa negli USA della guerra in Vietnam, la BM non spendeva in salute; tutti i fondi andavano in grandi progetti infrastrutturali (dighe, strade, industria, agricoltura). Fu McNamara il primo ad investire in salute, cominciando dalla pianificazione familiare e dal controllo dell’oncocerchiasi. Ma ancora nel quinquennio 1985-89 gli investimenti per la salute ammontavano a poco meno di 1.4 miliardi di dollari, l’1% del totale investito. Da allora però la crescita è stata impressionante, fino ad arrivare agli oltre 32 miliardi del quinquennio 2010-14, il 12% del totale investito. E se all’inizio la totalità dei fondi per la salute andava a programmi verticali, il sostegno ai bilanci nazionali per la salute è andato progressivamente aumentando, fino a raggiungere la percentuale del 32% dei fondi per la salute nel quinquennio 2010-14. La svolta si è verificata all’inizio di questo secolo, ma si è avuta un’accelerazione con la nomina a presidente, nel 2012, di Jim Yong Kim, un medico statunitense (ma nato a Seoul) impegnato in attività umanitarie e un attivista per il diritto alla salute. È con la sua presidenza che la BM rinnega definitivamente la politica dei pagamenti a prestazione e, al contrario, appoggia programmi e progetti che hanno per obiettivo l’accesso universale alle cure.
Come risulta chiaro da quanto scritto sopra, la BM può condizionare il bello e il cattivo tempo nel settore salute. Lo può fare perché tratta direttamente con i ministri delle finanze, in generale molto più potenti dei ministri della salute. Perché coopera strettamente con gli altri importanti attori nella salute internazionale: l’OMS, la Fondazione Bill e Melinda Gates (BMGF), il Fondo Globale per AIDS, Tubercolosi e Malaria (GFATM), il GAVI (l’alleanza per le vaccinazioni), che spesso sono solo dei gestori di fondi detenuti dalla BM. Perché ha ottimi rapporti con l’industria e il mercato della salute. E perché dai suoi uffici transitano i migliori tecnici della salute, che poi spesso vanno a ricoprire ruoli centrali nei ministeri e nelle istituzioni nazionali.
Il peso della BM nell’espansione dell’accesso alle cure (UHC, Universal Health Coverage) e nel rafforzamento dei sistemi sanitari è al centro del secondo articolo della serie. Come evidenziato in precedenza, il ruolo storico della BM in termini di UHC è stato sicuramente regressivo. E regressive sono state anche le sue politiche di Primary Health Care (PHC) selettiva imposte con la pubblicazione, nel 1993, del rapporto annuale dal titolo “Investing in Health”. Politiche che, assieme a quelle sul pagamento a prestazione, hanno diminuito l’accesso a cure integrate per i più poveri, contribuendo ad aumentare diseguaglianze ed iniquità. Tutto il contrario di quanto previsto dalla PHC comprensiva ed integrale della Dichiarazione di Alma Ata nel 1978. E tutto il contrario anche di quanto preconizzato negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), di cui l’UHC è uno dei targets. La BM avrebbe sicuramente i mezzi e il potere per invertire le politiche di molti paesi in direzione UHC. Ma lo farà? Le strategie che sta mettendo in atto a questo scopo, come per esempio la Global Financing Facility (GFF), non sembrano offrire garanzie. Si basano infatti, tra gli altri principi, su quello per cui bisogna “rafforzare le partnerships pubblico-privato”, stabilendo i “giusti meccanismi di pagamento”. L’impressione è che il mandato per la BM di creare nuovi mercati abbia sempre la prevalenza sul principio secondo il quale la salute è un diritto. Nonostante un presidente che si professa campione dell’aiuto umanitario.
Il terzo articolo della serie analizza le diverse modalità di finanziamento alla salute della BM e ne discute rischi e benefici. Negli ultimi anni, la BM ha modificato i suoi meccanismi di finanziamento. Se prima i principali canali erano le sue banche regionali per lo sviluppo, ora usa soprattutto i fondi fiduciari, nei quali accumula i contributi versati dai governi, cioè dai suoi azionisti, dagli organismi, come BMGF, GFATM e GAVI, che affidano alla gestione della BM i fondi destinati ai propri progetti, e da donatori privati tra cui, per esempio, alcune multinazionali farmaceutiche. I meccanismi per la gestione sul campo variano: dalla gestione diretta da parte della BM, a quella totalmente affidata ai governi o ad organismi non governativi (ONG), a forme ibride di vario tipo, compresa l’assegnazione a servizi sanitari privati profit e non-profit. Circa il 40% di questi fondi fiduciari è usato per programmi e progetti di salute; nel 2013, ciò corrispondeva a circa 5 miliardi di dollari. Una particolarità di questi fondi fiduciari è di essere molto flessibili, di permettere cioè di finanziare rapidamente nuovi programmi e progetti, ove necessario. Un’altra particolarità è di essere earmarked, cioè destinati ad attività scelte dal donatore. La BMGF, per esempio, preferisce spendere buona parte dei fondi gestiti dalla BM in innovazione tecnologica. Il rischio di questa particolarità è che i donatori possano influenzare le politiche e le priorità della BM, che tra l’altro non sempre corrispondono con i bisogni dei paesi più poveri e che sono stabilite dai maggiori azionisti (in pratica i governi dei paesi più ricchi, con potere di veto da parte del più grande di tutti, gli USA). Per completare il quadro, la gestione di questi fondi fiduciari da parte della BM è tutt’altro che trasparente.
Gli ultimi due articoli descrivono e analizzano i meccanismo di investimento della BM per due specifici programmi: la salute riproduttiva (madre, neonato, bambino e adolescente) e la nutrizione, e il miglioramento della preparazione necessaria per gestire le pandemie globali. Per il primo, la BM propone un GFF con il quale si impegna a moltiplicare fino a 5 volte ogni dollaro investito dai finanziatori; secondo la BM, questo è l’unico modo per colmare il gap nei fondi per salute riproduttiva e nutrizione e poter quindi raggiungere i targets per il 2030 previsti dagli SDG, stimato in circa 33 miliardi di dollari l’anno. Questo GFF è partito nel 2015 con attività in 7 paesi e con una dotazione iniziale di oltre un miliardo di dollari forniti da Norvegia (600 milioni), Canada (220), USA (200), Giappone (100) e BMGF (75); vi è anche un contributo di 10 milioni da parte della multinazionale Merck Sharp & Dohme. Le redini del GFF, tuttavia, restano nelle mani della BM e degli investitori; gestendo l’erogazione dei fondi, questi influenzano anche le decisioni strategiche dei governi coinvolti. I quali, inoltre, proprio perché hanno un grande carico di malattia legato a salute riproduttiva e nutrizione, hanno anche dei sistemi sanitari non sempre in grado di gestire le attività e mostrare risultati e, soprattutto, a rendere i programmi sostenibili nel tempo.
Per quanto riguarda le pandemie globali, l’interesse della BM è stato suscitato dall’epidemia di Ebola in alcuni paesi dell’Africa Occidentale nel 2014 e dalla dimostrata incapacità della comunità internazionale di farvi fronte in maniera tempestiva. In linea con il suo mandato – creare nuovi mercati – la BM propone un nuovo tipo di sistema assicurativo che, partendo da un investimento iniziale di un gruppo di donatori, attiri capitali privati. Nel maggio del 2016 la BM ha annunciato la creazione del PEFF (Pandemic Emergency Financing Facility), uno schema assicurativo destinato ai paesi più poveri e alle agenzie e organizzazioni internazionali che si occupano di interventi in caso di pandemia, con una copertura delle spese che inizialmente può arrivare a 500 milioni di dollari, sborsabili rapidamente a pandemia certificata. Ma il premio per questa assicurazione non è pagato dagli attori di cui sopra, bensì da investitori pubblici e privati. Questo meccanismo, secondo la BM, trarrebbe vantaggi sia per i beneficiari dell’assicurazione, motivati a stabilire dei sistemi di allarme e pronto intervento per poter godere della copertura assicurativa, sia agli investitori pubblici e privati, che perderebbero sì una parte dei loro investimenti in caso di scoppio di una pandemia, ma otterrebbero alti interessi sugli stessi se non scoppiasse nessuna pandemia entro 3 anni dal loro investimento iniziale. Gli investitori potrebbero trarre ulteriori benefici dall’eventuale mercato delle obbligazioni che sarebbero emesse per finanziare il PEFF. Da notare che l’idea e lo sviluppo di questo strumento finanziario provengono da BM e OMS, in collaborazione con 3 grosse compagnie di assicurazioni, con intrinseci conflitti d’interesse. Ovviamente non sappiamo se il PEFF funzionerà, dato che finora non c’è stata ancora occasione di metterlo alla prova.
Alcune considerazioni finali:
. Cercando di capire come funzionano i complessi meccanismi finanziari che la BM ha messo, mette e metterà in atto per finanziare la salute, mi sembrava di avere in mano Il Sole 24 Ore, non il BMJ. E confesso di non aver molta fiducia sul fatto che la finanza possa dare una mano a risolvere i problemi di salute globale, soprattutto quelli dei gruppi più poveri e impoveriti nei vari paesi. Difficile pensare ad un sistema finanziario che abbia come obiettivo l’equità.
. È evidente che la BM gioca due ruoli: quello di banca (e come tutte le banche moderne tende sempre più a finanziarizzarsi, cioè a guadagnare denaro comprando e vendendo denaro) e quello di agenzia di sviluppo (sottraendo funzioni ad altre agenzie di sviluppo che si occupano degli stessi settori, la salute in questo caso).
. Quanto sono conciliabili questi due ruoli, senza che uno sia svolto a discapito dell’altro? Molte persone, e sicuramente la maggioranza degli operatori sanitari, considerano la salute un diritto. Il mandato di una banca, e della BM in particolare, è creare nuove occasioni di mercato e ottenere un buon ritorno sugli investimenti. Queste due visioni mi sembrano del tutto inconciliabili (senza punto interrogativo).
Si ringrazia Salute Internazionale