di
Simone Perotti
23-11-2010
Prendere il largo: uscire dal sistema, smettere di lavorare e cambiare la propria vita per cercare di avvicinarsi quanto più possibile all'idea che si ha di sé. "Adesso basta". Molti lo hanno detto, qualcuno lo ha fatto. Simone Perotti, che ha lasciato l'impiego che aveva e ora vive di scrittura e di mare, ci spiega come.
Se il Paese non fosse pronto da tempo al cambiamento, il mio libro non sarebbe diventato un best seller. E neppure (tanto meno) il Long Seller che è.
Invece a distanza di sei mesi e oltre dalla sua uscita, il libro (Adesso Basta – Smettere di lavorare e cambiare vita, Editore Chiarelettere) continua a generare enorme interesse, ad alimentare blog e communities, a far scrivere i giornali.
Si sostiene erroneamente che io abbia inventato il downshifting, cioè il fenomeno del lasciare un lavoro avviato per rallentare e cercare un equilibrio esistenziale migliore seguendo le proprie passioni. Non è così. Io ho solo consentito a migliaia di storie di italiani di venire allo scoperto. Storie che la dicono lunga su quanto in crisi sia ormai il nostro modello economico e sociale, e su quanto il nostro Paese sia ricco di energie, desideri, progetti.
La comunità dei più reattivi al messaggio di Adesso Basta, non c’erano dubbi, si è rivelata quella dei 30-35enni (oltre a quella degli appassionati di vela. Il mio interesse per questo mondo, come ho già avuto modo di dire molte volte, è forte).
Smettere di lavorare, cambiare la propria vita, prendere un anno sabbatico, navigare, che sia per sempre o per molto, che sia per il mondo o nel Mediterraneo, che sia questo o altro, sono cose comprensibilmente collegate alle aspirazioni di tanti.
La rotta per il cambiamento è lunga e perigliosa. Non è semplice districarsi tra luoghi comuni e paure ancestrali. Dirigersi verso l’isola che c’è (una volta tanto esiste…), e cioè un modo di vivere migliore, più in sintonia con quello che siamo, senza perdere tempo prezioso, senza soggiacere ai condizionamenti di un mondo che ci vuole consumatori e basta (cioè gente che spende soldi che non ha per comprare beni che non vuole e impressionare persone da cui non verrà amata) può sembrare una via tutta rosa, tutta bella. Ma non lo è.
Io ho lasciato il lavoro che avevo, e oggi vivo di scrittura (scrivo e pubblico romanzi, saggi, articoli di giornale) e di mare (pulisco barche, faccio trasferimenti, faccio lo skipper, l’istruttore). L’ho fatto senza aver messo da parte un tesoretto, senza avere ereditato, senza una famiglia ricca alle spalle, senza pensione (ho maturato solo 17 anni di contributi), vivendo in una casa che costa 50.000 euro, che ho in gran parte ristrutturato da solo, senza riscaldamento (taglio e brucio la mia legna, ora anche il pellets), coltivando un orto, spendendo 700 euro al mese che tra scrittura e mare riesco (fino ad ora…) a guadagnare.
Vivo in barca un bel po’ di mesi l’anno, tra rotte meravigliose (da Genova Tel-Aviv d’inverno, o nell’arcipelago delle Quirimbas del Mozambico, di cui un giorno vi racconterò) e tour nei nostri mari. Corono un sogno durato vent’anni, ma a cui ho lavorato più di dodici con tenacia, scostando uno ad uno i tronchi che la corrente di questo sistema drogato e ingiusto mi lanciava contro.
Non ho avuto alcun privilegio, e se io ce l’ho fatta ce la possono fare tutti (o comunque tantissimi), perché il punto di questa scelta è tentare, più fortemente di quanto si immagina, di quanto i moderni sacerdoti del benessere urlino i loro tremendi ammonimenti, senza perdere di vista la rotta che conduce ai propri sogni.
Un amico, tempo fa, mi raccontò che sognava di comprare una barca a vela. Era il suo grande sogno. Un giorno, quando ormai sembrava di essere vicini all’obiettivo, il figlio lo vide sfogliare avidamente i depliant raccolti al Salone di Genova, e gli chiese: "ma papà, se compri la barca, poi che cosa sogni?". L’amico mi raccontò questa storia per spiegarmi perché, alla fine, la barca non l’aveva più comprata.
Ecco, io sono della religione opposta. Io a chi dice "la cosa peggiore di un sogno non è tanto non realizzarlo quanto realizzarlo" (Oscar Wilde, la sua unica massima venuta male), oppongo una salute ideale e reale diversa, quella dell’impegno a realizzare ciò che sappiamo di essere già. In questo tentativo, cioè nello sforzo di somigliare il più possibile all’idea che abbiamo di noi stessi, risiede la nostra autenticità.
Morire senza averci provato mi è sempre parso il rischio più grande, quello da evitare con maggior forza. Ecco perché ho detto adesso basta, perché l’idea che avevo di me era quella di scrivere e navigare. E questo faccio, oggi, ora, prima che forze e speranze mi abbandonino, vale a dire quando sarebbe troppo tardi.
Certo, sognare è facile, non costa nulla. Il difficile è fare. Ma per esperienza vi racconterò anche la storia inversa, e cioè che le nostre paure sono tutte corrette, però si può. In realtà sognare in modo ambizioso ma realistico non è semplice. Tempi, insidie, denaro, psiche, mari, barche, costi fanno da venti contrari alle vele delle nostre passioni. Ma ripeto: si può fare. Ecco dunque questa rubrica, un breviario sul cambiamento, un vademecum teorico e pratico, una mappa non da seguire, ma su come disegnare la propria.
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