Il Consiglio Comunale di Napoli ha approvato la delibera che richiede la trasformazione dell'azienda Arin S.p.a. in Acqua Bene Comune Napoli, un ente di diritto pubblico che gestirà le risorse idriche. Soddisfazione dei comitati: "Si compie il primo storico passo verso la ripubblicizzazione del servizio idrico nel nostro Paese". Intanto, continua la querelle sul profitto minimo garantito relativo alla gestione delle risorse idriche.
La delibera per l'acqua pubblica presentata dalla Giunta partenopea è stata approvata dal Consiglio Comunale di Napoli, che sarà quindi la prima città italiana a rispettare la volontà dei cittadini emersa dagli ultimi referendum in tema di pubblicizzazione degli enti che gestiscono il servizio idrico. Il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua e il Comitato Acqua Pubblica Napoli in una nota di commento esprimono "gioia e soddisfazione il voto del Consiglio Comunale di Napoli che ha approvato, sostanzialmente all'unanimità, la trasformazione dell'azienda Arin S.p.a. in Acqua Bene Comune Napoli, un ente di diritto pubblico che gestirà le risorse idriche".
Si tratta delle prima effettiva attuazione del voto referendario, e della volontà di 27 milioni di cittadini, in una grande città, spiegano i comitati cittadini: "a Napoli l'acqua torna pubblica".
Si tratta del "primo, storico, passo verso la ripubblicizzazione del servizio idrico nel nostro paese - spiegano ancora i comitati-. Ci aspettiamo adesso che tutte le altre città seguano l'esempio napoletano e che oltre alla ripubblicizzazione si vada nella direzione di una reale partecipazione dei cittadini e dei lavoratori nella gestione del Servizio Idrico Integrato".
Insomma, da ieri, 26 ottobre, a Napoli è iniziato un nuovo percorso, quello della gestione pubblica e partecipata del servizio idrico, a cui tutti i cittadini e tutte le cittadine saranno chiamati a contribuire. "L'acqua torna ed essere un bene comune e nessuno, d'ora in poi, potrà dire che non si poteva fare. Su acqua e referendum indietro non si torna" sottolineano i comitati.
Intanto, però, continua a livello nazionale la querelle sull’eliminazione del profitto relativo alla gestione del sistema idrico integrato, pari al 7% del capitale investito, che era stata chiesta dal secondo quesito referendario e che già in Puglia aveva scatenato polemiche a margine dei referendum.
Nonostante la volontà popolare di abrogare la normativa che consente questo profitto, finora i gestori degli acquedotti hanno continuato a includere la voce in bolletta secondo l'interpretazione che quella percentuale non è eliminabile perché considerata una "voce di bilancio". Una interpretazione ribadita anche di recente dal Conviri (Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche), come spiega bene Andrea Palladino sul Fatto Quotidiano di ieri, e che rischia in sostanza di rendere inefficace l'esito dei referendum.