Prima con il rinvio a giudizio dello scrittore Erri De Luca, colpevole di aver espresso la sua opinione, affermando che “La Tav va sabotata. Le cesoie sono utili perché servono a tagliare le reti”; poi con le critiche al sindaco di Almese per aver esposto sulla facciata del Comune due striscioni NO TAV. Tornano a riaccendersi i riflettori sulla questione TAV. Per fare il punto della situazione, abbiamo intervistato Ezio Bertok, del Comitato No Tav Torino, impegnato nella battaglia contro la costruzione della tratta Torino – Lione.
A che punto è la situazione dei lavori per la costruzione del Tav nella vostra zona?
«L’area del cantiere e un’ampia zona circostante sono totalmente militarizzate da più di tre anni. Nonostante i lavori siano iniziati senza un vero e proprio progetto esecutivo, la talpa procede, sebbene a ritmi molto ridotti rispetto alle previsioni. Non c’è trasparenza e gli appalti vengono assegnati a ditte coinvolte in questioni di mafia: è il solito clichè che accompagna le grandi opere ancor prima che inizino i lavori veri e propri. Perché una cosa deve essere chiara: il tunnel geognostico di Chiomonte, detto anche cunicolo esplorativo, è un’opera puramente propedeutica al tunnel vero e proprio, tutto il resto è ancora nelle intenzioni».
Pochi giorni fa, il sindaco di Almese, Ombretta Bertolo, ha esposto sulla facciata del municipio due striscioni NO TAV. Quanti e quali sono gli appoggi dei Comuni alla vostra lotta? E più in generale, delle istituzioni?
«Ecco il tipico caso di politici furbetti che creano un mostro e di media che si prestano volentieri a metterlo in piazza. In questo caso l’attacco è ad un sindaco che si permette di interpretare i sentimenti dei suoi concittadini. Non è certo la prima volta che degli striscioni vengono appesi su balconi di palazzi comunali, anche al Campidoglio a Roma: senza andare più indietro nel tempo basti pensare ai due marò italiani, in quel caso mi pare che le polemiche ci siano state quando lo striscione è stato rimosso. Ma a parte le analogie, è doveroso notare che chi opera in difesa del proprio territorio viene criminalizzato perché crea un precedente pericoloso. Ma il sindaco di Almese non è solo, un’ampia maggioranza dei Comuni della valle continua ad essere fermamente contraria e non lo nasconde di certo. Poi, mano a mano che ci si sposta dalla dimensione locale alla regione Piemonte per arrivare al governo, le cose cambiano perché entrano in gioco altri fattori ed è l’intreccio tra politica e affari che detta le regole di comportamento».
Intorno al TAV ci sono molte polemiche, che a volte nascondono le motivazioni della vostra lotta. La stampa ne parla solo in occasione di scontri. Quali sono quindi le ragioni della vostra battaglia? Perché dite no al TAV?
«Il vero problema è che delle ragioni che stanno alla base della lotta NO TAV non si è mai parlato veramente, non c’è mai stato un vero confronto. Il problema principale oggi è che siamo di fronte ad un vero e proprio accerchiamento politico, mediatico e giudiziario che cancella tutto il resto. E’ urgente trovare il modo per riprendere, anzi per cominciare a discutere seriamente del merito delle questioni. Un felice slogan coniato da queste parti dice che “non occorre essere valsusini per essere notav, basta essere onesti e informati”. Il nocciolo della questione è tutto qui. E’ un dato di fatto che la linea attuale è utilizzata meno del 20% rispetto alle sue potenzialità, che è adeguata agli standard per il trasporto delle merci, che sarebbe in grado di sopportare per i prossimi decenni il traffico in crescita. Peraltro bisogna sottolineare che dal 1997 si registra invece un fortissimo e pressoché costante calo. Quindi, un amministratore della cosa pubblica, di fronte alla prospettiva di realizzare una nuova e costosa infrastruttura, dovrebbe chiedersi nell’ordine: “E’ utile? E’ urgente? Quanto costa? Ci sono i soldi? Si creano danni collaterali?”. Rispondendo a tutto ciò, dovrebbe poi fare un bilancio costi/benefici e soltanto dopo decidere. L’ordine delle domande non è casuale e nel caso del TAV Torino-Lione ci si dovrebbe fermare alla prima risposta: no, non è utile, e non occorrerebbe andare oltre».
Avete una proposta alternativa valida?
«Il TAV è il business del secolo, e chi si ostina a volerlo realizzare ha un unico obiettivo: guadagnare nel “costruire” un’opera che sarebbe in costante perdita economica e produrrebbe sempre nuovo debito. Non lo diciamo solo noi, ne sono fermamente convinti anche economisti ed esperti di trasportistica non schierati al nostro fianco. Se questa non fosse la pura e semplice verità, la risposta potrebbe sembrare banale: l’unica alternativa è rinunciare ad un progetto folle, riconoscendone l’inutilità. Verrebbe così evitato uno spreco enorme di risorse e un nuovo oltraggio alla democrazia: perché in questa vicenda i cittadini e le istituzioni locali che li rappresentano vengono considerati alla stregua di sudditi».
Sta facendo scalpore il rinvio a giudizio dello scrittore Erri De Luca per aver dichiarato “La Tav va sabotata. Le cesoie sono utili perché servono a tagliare le reti”. Cosa ne pensate in merito? Qual è la vostra posizione nei confronti dello scrittore?
«Erri De Luca parla poco e pesa le parole. Leggendo i suoi libri ciò che colpisce è l’essenziale: del superfluo non c’è traccia, non c’è mai una parola di troppo e si rimane incantanti scoprendo immagini complesse e ricche di mille sfumature proposte in meno di una riga. La sua affermazione sulle forme di lotta contro il TAV è di una semplicità disarmante e in un mondo in cui si dice e non si dice, si tace per non esporsi, si allude ma non si conclude, Erri è l’eccezione. Nel merito poi ha semplicemente ripreso una scelta dichiarata dal movimento: il sabotaggio è una forma di lotta estrema non violenta, che punta ad inceppare un ingranaggio senza ferire le persone. Ma anche in questo caso occorreva creare un mostro e quella parte di magistratura che si è distinta per lo zelo nel teorizzare la presenza di disegni eversivi non si è lasciata sfuggire l’occasione».
Pochi giorni fa è stata recapitata una lettera all’Ansa da parte dei Nuclei Operativi Armati, in cui vi invitano ad unirvi alla lotta armata, perché la vostra strategia politica è stata completamente sbagliata. Cosa rispondete a loro? E più in generale, alle violenze che ci sono state nel corso di questi anni?
«Rispondere a tutte le provocazioni è un dovere e anche in questo caso il movimento NO TAV ha detto chiaramente che non ha nulla da spartire con chi vorrebbe usare la sua lotta per altri scopi. La strategia del movimento in questi anni è stata tutt’altro che sbagliata e ha consentito di bloccare un progetto che altrimenti non avrebbe incontrato ostacoli. Le caratteristiche della lotta NO TAV, la larga partecipazione popolare sono la garanzia che i due mondi non possono incontrarsi. In quanto alle violenze che ci sono state in questi anni, se non cadiamo nel tranello di confondere la resistenza pacifica ma determinata con la violenza, dobbiamo riconoscere che quest’ultima è arrivata solo dal fronte opposto. Non mi riferisco solo ai manganelli ma anche al disegno criminale che rifiuta il dialogo e riduce il conflitto sociale ad un problema di ordine pubblico che come tale deve essere represso. La democrazia è un’altra cosa, sta scritto in quella Costituzione sempre più spesso derisa, svuotata e a rischio di riscrittura totale per legittimare la dittatura dell’ignoranza ed il trionfo del pensiero unico».
Documentari video hanno dimostrato i danni dell’Alta Velocità del Freccia Rossa per i residenti di Firenze e Bologna. Persone che, dopo una vita di sacrifici, hanno dovuto lasciare le loro case perché rese inagibili dalla linea ferroviaria. O addirittura vivono parzialmente nelle loro case, perché alcune stanze sono inagibili. Una situazione surreale. Alla luce di questo, c’è la sensazione che se un’opera la vogliono costruire, la costruiranno. C’è questa consapevolezza all’interno del comitato NO TAV?
«Il progetto è nato venticinque anni fa, poco dopo è iniziata la resistenza NO TAV e da subito ci siamo sentiti dire: è inutile opporsi, tanto prima o poi la faranno. E’ passato mezzo secolo, i progetti sono ancora sulla carta e stanno scavando un ridicolo cunicolo esplorativo che non ha nulla da esplorare ma che intanto fa circolare un bel po’ di quattrini per i soliti noti. Ne riparliamo tra altri venticinque anni».
Qual è il futuro della vostra battaglia?
«Nonostante tutto continuiamo ad essere ottimisti e determinati. Ci sono poi tanti indicatori per misurare il livello di consenso nei confronti della resistenza NO TAV e direi che sono confortanti. Ne cito solo uno: il Controsservatorio Valsusa, unitamente ad un folto gruppo di sindaci e amministratori, ha recentemente presentato un esposto al Tribunale Permanente dei Popoli prefigurando la sistematica violazione di diritti fondamentali. Una cinquantina di importanti personalità del mondo della cultura e della scienza di diversi paesi hanno subito sostenuto l’iniziativa e nel giro di poche settimane sul sito controsservatoriovalsusa.org sono arrivate migliaia di manifestazioni di sostegno da ogni parte del paese. L’opposizione al TAV in Val di Susa dura da 25 anni, non ricordo casi analoghi nel nostro paese. Questo quarto di secolo è la prova che le ragioni del no sono profonde e condivise dalla popolazione. Per certi versi è proprio questa una grande opera, ma a differenza di quelle inutili, costose e devastanti ha prodotto ricchezza: un’intera popolazione ha preso via via coscienza dei propri diritti, è consapevole che non sta difendendo il suo piccolo cortile ma beni comuni che appartengono a tutti; difendendo l’ambiente, la salute e denunciando l’enorme e inutile spreco di risorse pubbliche a danno della collettività sta dimostrando che un altro mondo è possibile, come si diceva un tempo. E le migliaia di persone che da ogni parte del paese sostengono la loro lotta ne sono la controprova. So bene che per vincere può non essere sufficiente una larga partecipazione popolare, un protagonismo dei cittadini più direttamente coinvolti ed un largo consenso nel paese. Ma la partita è aperta e il campionato è solo all’inizio, nonostante siano già passati 25 anni. E in ogni caso nessuno da queste parti intende farsi derubare del proprio futuro».