Dopo aver visitato oltre venti allevamenti di fabbriche di uova in Emilia Romagna, il gruppo di attivisti 'EssereAnimali' divulga un nuovo video per mostrare le condizioni in cui vengono ancora allevate le galline ovaiole dopo il recepimento della Direttiva europea entrata in vigore il 1 Gennaio 2012. Lo scopo dell'indagine è di mostrare a tutti e chiaramente, cosa realmente si cela dietro il commercio delle uova.
EssereAnimali è un gruppo di persone che segue uno stile di vita vegan (non consumano né acquistano prodotti che implicano lo sfruttamento o la morte degli altri animali), condanna l'industrializzazione, concentrandosi sull'autoproduzione e l'autostentamento.
"Abbiamo deciso di impegnarci per portare alla luce molti aspetti del nostro mondo che troppo spesso vengono tenuti nascosti: dalle torture a cui sono costrette innumerevoli specie animali per soddisfare i consumi della nostra società agli abusi sugli ambienti naturali perpetrati dallo stile di vita umano e civilizzato in ogni angolo del pianeta", dichiara il gruppo eco-animalista.
Per denunciare lo sfruttamento delle galline ovaiole, da fine dicembre fino a fine febbraio, gli attivisti si sono introdotti in circa 20 allevamenti situati in Emilia Romagna, per documentare immagini attuali e provenienti da ogni tipologia di allevamento praticato in questa regione, dopo il recepimento della Direttiva europea 1999/74/CE in vigore dal 1 Gennaio 2012.
“È stato molto difficile reperire strutture che hanno investito in questo adeguamento, e quando è successo”, dichiara il gruppo, “le condizioni degli animali erano del tutto simili a quelle che avevamo già visto negli allevamenti in batteria, secondo alcune stime pare che il 50% delle aziende produttrici si debba ancora conformare alla nuova legge”.
Solo in Emilia Romagna vengono allevate circa 8 milioni di galline in circa 200 strutture attive, quindi, statisticamente è come se avessero visitato circa il 10% dell'attività di questo settore; dopo aver preso le dovute precauzioni igienico-sanitarie necessarie sono entrati negli allevamenti, scattando più di mille fotografie e ottenendo più di 15 ore di registrazioni che hanno montato per lanciare il video in rete il 5 marzo scorso.
“Non abbiamo tentato di filmare casi particolarmente drammatici, o ricercato condizioni limite o palesemente fuori norma”, sottolineano gli eco-animalisti. Le immagini sono eloquenti e dimostrano che non è la tipologia di allevamento il vero problema ma l'allevamento in sé; tutti gli animali rinchiusi da diversi mesi presentano le stesse problematiche sia se allevati in gabbie 'arricchite', sia se allevati a terra o negli allevamenti biologici.
La cattività e il sovraffollamento provocano negli animali forte stress e aumentano la loro aggressività; anche la disumana pratica del debeccaggio praticata dagli allevatori seppur possa evitare solo parzialmente che gli animali si feriscano, non è sufficiente a prevenire la plumofagia. Gli animali non solo non riescono a fare piccoli spostamenti o a spiegare le ali ma sono addirittura costretti a calpestarsi tra loro solo per svolgere le normali funzioni vitali quali mangiare e dormire. L'amputazione provoca loro sia delle gravi malformazioni dovute al diverso modo di beccare per nutrirsi, sia un dolore costante che li accompagnerà per tutta la vita in quanto questa brutale pratica lascia spesso scoperti i terminali nervosi presenti nel becco.
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Nel video possiamo vedere che gli animali hanno creste, bargigli, zampe di un colore pallido dovuto a carenze nutrizionali indotte da una dieta non adatta alla loro specie e alla totale mancanza di luce naturale. Sempre parlando di alimentazione, spesso, gli allevatori per far crescere gli animali in breve tempo e trarre dunque maggiori profitti, tendono a nutrirli con l'alimentazione forzata, accendendo le luci artificiali e non rispettando l'alternanza tra giorno e notte. “Nei casi in cui abbiamo trovato animali al buio, abbiamo notato un fenomeno esplicativo. Ogni qualvolta li abbiamo illuminati per le riprese video o le fotografie abbiamo assistito ad una vera e propria corsa al cibo”, testimoniano gli attivisti.
Ovunque siano andati hanno trovato animali con le stesse problematiche: stressati, feriti, malati, senza piume, spaventati, con deformazioni alle zampe; hanno trovato molti cadaveri abbandonati nella sporcizia, con carcasse in decomposizione, calpestate o beccate da altri animali, utilizzate per deporre le uova dalle altre galline, si sono imbattuti in animali agonizzanti o incapaci di muoversi o di reggersi sulle zampe. “È frequente trovare nei capannoni delle tabelle nelle quali sono conteggiati i morti giornalieri a dimostrazione di quanto questa eventualità non sia solo accettata ma prevista e monitorata per valutare fino a che punto incide sul profitto generato”.
Dall'indagine emerge anche che in nessuno dei sette allevamenti all'aperto o biologici visitati dal gruppo, c'erano galline che razzolavano all'aperto; tutti gli allevamenti erano dotati di aperture che avrebbero permesso agli animali di uscire se non fossero state sigillate. Possiamo, dunque, dedurre che anche le uova che provengono da allevamenti biologici non sono poi così etiche come abbiamo potuto pensare fino ad ora!
Cosa possiamo fare noi consumatori? Non contribuire ad acquistare prodotti che derivano dallo sfruttamento animale.
Il desiderio di coloro che hanno lavorato su questa indagine è divulgare il più possibile il video e le immagini affinché ci possano far riflettere su quanto non siano considerati gli altri animali nella nostra società; tramite la consapevolezza possiamo forse avvicinarci ad una cultura basata sul rispetto di tutti gli esseri viventi e della terra che abitiamo.
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