di
Andrea Degl'Innocenti
13-11-2012
Un clima sempre più instabile sembra accentuare i problemi dei paesi che ne subiscono i capricci. In Italia la piaga annosa della cementificazione ha mostrato il suo lato più distruttivo con gli allagamenti di Toscana e Liguria. Negli Usa l'Uragano Sandy è stato usato come pretesto per accelerare ulteriormente i processi di privatizzazione e le politiche neoliberiste.
La pioggia battente spazza via i travestimenti e mette a nudo i problemi. Così in Italia avviene che le prime piogge della stagione rendono evidente il pessimo stato di salute del nostro suolo, ormai incapace di assorbire precipitazioni sempre più scroscianti e copiose. E negli Usa l’uragano Sandy sottolinea le ingiustizie sociali di un paese in cui tutto deve essere acquistato, persino la propria salvezza.
Sull’Italia piove in modo sempre più fitto. Nell’arco di poche ore si è riversata sulla penisola una quantità d’acqua che, in altri tempi, si sarebbe spalmata nell’arco di un mese. D’altra parte sono sempre meno le superfici in grado di assorbire l’acqua piovana, soprattutto nei centri abitati, per via della costante cementificazione del suolo (si stima che in Italia si perda un metro quadro di terreno agricolo al secondo). L’effetto incrociato di questi due fattori determina un rischio idrogeologico che cresce di anno in anno e che, secondo l’ultimo rapporto “Ecosistema Rischio” redatto da Legambiente assieme alla Protezione Civile, interessa ormai intere regioni del paese.
L’acqua scivola lungo i pendii asfaltati, non trova via di fuga nei tombini intasati dalle foglie autunnali e forma veri e propri torrenti, che allagano le vie della città, bloccano il traffico, causano frane e smottamenti. In Toscana e Liguria, le regioni più colpite dal maltempo nello scorso fine settimana, il disastro era annunciato.
Le due regioni sono fra le peggiori: il 98 per cento dei comuni toscani, 280 in totale, ed il 99 di quelli liguri, 232, sono a rischio idrogeologico. Significa che in caso di forti precipitazioni, come quelle avvenute durante il fine settimana alluvioni e inondazioni sono praticamente inevitabili. In Liguria è a rischio tutta la fascia costiera, che occupa una frazione minima del territorio della regione (il 5 per cento) ma ospita il 90 per cento della popolazione. In Toscana 680mila persone sono quotidianamente esposte al pericolo di frane e alluvioni.
Al resto della penisola non va poi così meglio. Secondo Legambiente sono 6.633 i comuni italiani in pericolo per la fragilità del suolo. 8 comuni su 10. L'82 per cento delle amministrazioni ha a che fare con questo problema e in ben 5 regioni la minaccia riguarda il 100 per cento del territorio: Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d'Aosta. Oltre 5 milioni di persone sono in pericolo in tutta Italia.
Il clima impazzito mette a nudo tutte le miserie del genere umano. il cambiamento climatico è una enorme lente d’ingrandimento , che ingigantisce i problemi, li rende più visibili e più pericolosi. Diventa così evidente, d’un tratto, tutto il potenziale distruttore della cementificazione selvaggia, vera e propria piaga italiana, concentrato di tutti i mali della nostra nazione (mafia, politica collusa, cattiva urbanistica, disinteresse per l’ambiente).
Altrove le violenze del meteo mettono in luce e amplificano i paradossi e le ingiustizie di un modello sociale in cui ogni aspetto della vita è ormai stato privatizzato e impostato secondo le leggi del mercato. Parliamo degli Usa e dell’uragano Sandy. Qui addirittura il violento ciclone che ha causato 98 morti è stato l’occasione per molti “capitalisti dei disastri” (secondo la definizione fornita dalla giornalista canadese Naomi Klein) per sperimentare nuove strategie e spingere ancora un poco oltre l’asticella delle ingiustizie dettate dalle politiche neoliberiste.
“Si devono affrontare le due crisi gemelle di disuguaglianza e cambiamento climatico, allo stesso tempo”, ha affermato la Klein in un recente articolo. Ma per adesso più che dirigersi verso una soluzione collettiva i due problemi sembrano alimentarsi l’un l’altro. Solo alcuni esempi, riportati dalla stessa Klein.
Con gli echi dell’uragano che ancora si udivano per New York, Iain Murray del Competitive Enterprise Institute ha già trovato la causa della lentezza dei futuri lavori di ricostruzione: se la ricostruzione andrà a rilento la colpa sarà delle leggi "a favore dei sindacati" come il Davis-Bacon Act, che prevede che i lavoratori occupati in opere pubbliche non vengano pagati con il salario minimo, ma con il salario prevalente nella regione. E la miseria che verrà a cosa è dovuta? Semplice, per Murray alla “resistenza dei newyorkesi a comprare negli ipermercati come Walmart”.
E che dire dei progetti di ricostruzione? Secondo Frank Rapoport, un avvocato che rappresenta diversi importanti costruttori statunitensi, ha affermato lo stesso giorno che questi dovrebbero essere affidati a privati: troppo costosi per lo stato, ma ottimi affari per chi ha soldi da investire e in futuro potrà trarre profitto dalla gestione privata delle nuove infrastrutture. A frenare l’idea di Rapoport c’è una legge che impedisce questi contratti negli stati di New York e New Jersey, ma l’avvocato spera che i bisogni urgenti della popolazione uniti ai pochi fondi pubblici dei governi sbloccheranno la situazione.
La Klein continua portando vari esempi, per giungere fino all’economista ultraliberale Russell Sobel, che ha proposto di creare nei luoghi colpiti dall’uragano "zone di libero scambio, in cui tutte le disposizioni normali, le licenze e le tasse siano sospese". Una sorta di grande esperimento dal vivo del capitalismo dei disastri.
Ma uragani e disastri, piogge e alluvioni potrebbero anche essere occasione per un cambiamento collettivo. Si sa che è nelle situazioni di maggiore disagio che le persone trovano la forza di reagire e ribellarsi. Il fermento, in Italia come negli Usa, non manca. Chissà che fra i miliardi di gocce che si riversano al suolo non arrivi prima o poi anche quella, fatidica, che farà traboccare il vaso?
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