di
Andrea Degl'Innocenti
15-03-2012
Dalle pagine del New York Times, Greg Smith, ex direttore esecutivo di Goldman Sachs, accusa il gruppo di aver abbandonato la propria cultura aziendale e di ricercare solo il profitto più sfrenato, senza il minimo rispetto del cliente. Quella che nelle parole dell'ex dirigente appare come una deriva morale potrebbe però essere frutto di una strategia molto più a lungo termine.
Ambiente “tossico e distruttivo”, clienti chiamati “pupazzi” cui si cercano di affibbiare titoli spazzatura con l'unico scopo di massimizzare i profitti, neanche un briciolo di “cultura aziendale”, piuttosto il messaggio per i nuovi arrivati che solo essendo spregiudicati riusciranno a fare carriera. Questa la descrizione, non proprio confortante, che il dirigente Greg Smith, al suo ultimo giorno di lavoro, fornisce dalle pagine del New York Times della sua quasi-ex azienda: Goldman Sachs.
Ebbene sì, pare proprio che alla banca di investimenti che ci ha generosamente donato due primi ministri (Romano Prodi ed il mai eletto Mario Monti), un governatore della Banca d'Italia (Mario Draghi, ora assurto a presidente della Banca centrale europea) e che ha avuto un ruolo chiave negli attacchi al nostro debito sovrano assieme alla Deutsche bank – per non parlare del debito greco -, non siano proprio degli stinchi di santo.
Bella scoperta, direte voi. Eppure quando lo stesso Smith afferma che non sempre è stato così, che un tempo “Si ruotava intorno a lavoro di squadra, integrità, spirito di umiltà, e sempre cercando il bene dei nostri clienti”, potrebbe non avere tutti i torti.
Greg Smith è stato ai vertici di Goldman Sachs per 12 anni, come direttore esecutivo per i derivati in Usa, Europa, Medio oriente ed Africa. Nella lettera accusatoria che ha deciso di scrivere nello stesso giorno in cui abbandonava l'incarico sostiene di aver assistito ad un cambiamento enorme nel modo di gestire l'azienda.
“Potrà suonare sorprendente ad un pubblico scettico - afferma Smith – ma la cultura è stata sempre una parte vitale del successo di Goldman Sachs”. E continua: “La cultura era l'ingrediente segreto che ha reso questo posto fantastico e ci ha permesso di guadagnare la fiducia dei nostri clienti per 143 anni. Non era solo di fare soldi, questo da solo non può sostenere una società per così tanto tempo. Aveva qualcosa a che fare con l'orgoglio e la fede nella organizzazione”.
Per poi concludere amaramente, “Mi dispiace dire che oggi mi guardo intorno e vedere praticamente alcuna traccia della cultura che mi ha fatto amare a lavorare per questa azienda per molti anni. Non ho più l'orgoglio, o la convinzione.”
Qualcosa, secondo l'ex dirigente, ha smesso di funzionare; la banca sta affrontando una deriva semi-criminale che la conduce ad abbandonare del tutto gli interessi dei propri clienti per rincorrere facili profitti. Ma è davvero una deriva? Un “declino nella fibra morale della società [che] rappresenta la singola minaccia più grave per la sua sopravvivenza a lungo termine”, come afferma Smith?
Ci sono elementi che fanno ritenere che invece il nuovo volto di Goldman Sachs sia frutto di una strategia molto più a lungo termine di quanto l'ex dirigente non ritenga. Quando Smith entrò nell'azienda, l'economia mondiale era ancora in fase di espansione (pur essendoci già avvisaglie della crisi imminente). Per una grande banca d'affari, quando un'economia è in espansione è il momento di “curare il cliente”, ovvero di cercare di creare una ricchezza più diffusa possibile nella società. Perché? Semplicemente perché più saranno cresciuti i beni materiali, la ricchezza reale di quella determinata società, più ci sarà da arraffare nel momento della crisi.
Adesso è il momento della crisi. È il momento in cui la ricchezza creata nel periodo di espansione viene redistribuita verso l'alto, in cui le banche smettono di emettere credito ma traggono profitto dall'enorme debito accumulato negli anni; in pratica convertono il debito, frutto della somma degli interessi della moneta da esse stesse emessa, in beni materiali.
Per questo le crisi sono cicliche: l'economia capitalista ha bisogno di rigenerarsi di volta in volta, di azzerare il debito accumulato, di distruggere i diritti acquisiti dai lavoratori, creare manodopera a basso costo e povertà diffusa per poi ripartire da zero. E le banche sanno esattamente come muoversi in ogni momento. Sanno quando è il momento di favorire la crescita, quando quello di fare sciacallaggio. Lo sgomento di Smith nasce probabilmente dall'interpretare in maniera lineare quel frammento di circonferenza che si è trovato a vivere.
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