Una trappola nella trappola: è la proposta lanciata da Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini per smarcarsi dai problemi di liquidità e debito. L'analisi di Andrea Strozzi (Llht).
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“Mi passi il vassoio dei pasticcini, per favore?”
“Certo, vuoi quelli alla crema o quelli alla frutta? Sono nuovi e li trovo davvero deliziosi.”
“Dammi quelli alla frutta, allora. Così, se mi vede il mio personal-trainer, si arrabbia solo a metà.”
(Risolini a bocca piena)
“Senti, è un po’ che te ne volevo parlare: vuoi che scriviamo due righe sui CCF? Dicono siano una vera genialata...”
“Guarda, te lo avrei proposto anch’io! Li trovo – mi passi il tè, per favore? – una soluzione geniale: si salva l’Euro e si salvano gli Stati, davvero un colpaccio. Comunque avevi ragione: questi bignè al flan di fragole sono divini.”
E’ più o meno così che ho immaginato la genesi di questo articolo comparso su MicroMega, sull’ultima creazione della stagione autunno-inverno della finanza nostrana. I Certificati di Credito Fiscale sono infatti una specie di moneta alternativa e certificata dallo Stato che, distribuita a pioggia su lavoratori e imprese (si parla di 300 miliardi), viene “congelata” per due anni, garantendo però un alleggerimento differito della pressione fiscale.
In parole povere: io ricevo oggi 500 euro che non posso spendere, ma poiché so che fra due anni li potrò usare per pagare 500 euro di tasse in meno, intanto mi do alla bella vita e vado a farmi un bel weekend a Mirabilandia.
La verità è che si tratta dell’ennesimo gioco di prestigio finanziario, destinato a illudere gli italiani che il tenore di vita che possono (e che devono) permettersi sia quello precedente alla Crisi. La chiave di volta è che questi strumenti, se da un lato non incrementano il debito pubblico (non prevedono tecnicamente un rimborso), dall’altro lato dovrebbero stimolare la domanda interna, distribuendo a pioggia potere d’acquisto sui contribuenti. Per chi ha masticato qualche nozione di macroeconomia, è più o meno come l’elicottero ipotizzato da Milton Friedman, che volava sulle città distribuendo banconote di dollari a tutti i cittadini: più soldi per le imprese, più per i cittadini e più per lo Stato. Unico effetto: inflazione.
Le controindicazioni sono almeno tre. Vediamole brevemente (e, come mio solito, il più semplicemente possibile).
Uno. Nel Paese con una tra le più alte pressioni fiscali d’Europa, l’applicazione di questa misura suona come l’ennesima presa in giro. Anziché diminuire da subito l’imposizione fiscale, si preferirebbe una promessa di alleggerimento differito, nella speranza (tutta da dimostrare) che la percezione di una maggiore ricchezza prospettica induca oggi a consumare di più. Anziché confrontare l’uovo di oggi con la gallina di domani, questo è il classico esempio di… un uovo (forse) domani!
Due. Questa iniziativa dimostra implicitamente, per senza ammetterlo, il totale fallimento delle altre misure introdotte per rivitalizzare la domanda: dai famigerati ottanta euro, ai tassi bancari ai minimi storici, per finire con le iniezioni di liquidità della BCE. La verità è che le persone, finalmente stanche di queste promesse, si stanno ormai rendendo conto che questo modello fondato sull’indebitamento cronico destinato ad alimentare consumi inutili ha smesso di generare benessere.
Tre. Se è vero che per lo Stato ridurre il gettito fiscale mediante un taglio delle tasse oppure mediante una soluzione “naif” come questa non fa molta differenza (al di là dei due anni di attesa, nel caso dei CCF), per i cittadini persuasi da questo gioco di prestigio significherebbe continuare ad alimentare la giostra del consumismo, pur trovandosi ormai con entrambi i piedi nell’era di quella che qualcuno chiama “post-crescita”. Anziché dire alle persone la verità, si cerca in tutti i modi di indurle a mantenere uno stile di vita fallimentare e che sta producendo danni sociali e sistemici ormai sotto gli occhi di tutti.
In pratica questa soluzione, che viene subdolamente spacciata come un rimedio all’austerity impostaci dall’Europa (nonostante gli impacciati tentativi di dissimulazione operati da qualche funambolo nostrano), ha l’unico obiettivo di tentare di alleggerire virtualmente la pressione fiscale, in quanto i CCF, traducendosi in un credito d’imposta, abbatterebbero il gettito fiscale. Gli entusiasti sostenitori di questo strumento (Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini) sostengono che il gettito tributario indotto dalla ripresa dell’attività economica consentita dall’improvvisa pioggia di liquidità – virtuale e prospettica, ricordo – sarebbe in grado di più che compensare lo sconto fiscale garantito dai CCF.
Ammesso che lo stimolo alla domanda interna sia ciò di cui abbiamo realmente bisogno (ipotesi contro cui chi scrive si scaglia ormai da tempo), sarebbe troppo azzardato domandarsi che cosa accadrebbe invece se fra due anni l’attività economica non dovesse essere ripartita e le entrate pubbliche si trovino comunque irreversibilmente sforbiciate dai CCF?
Ma tranquilli: se questi artisti della politica economica nostrana non hanno pensato a un Piano B, possiamo sempre chiederlo a David Copperfield.
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