di
Andrea Degl'Innocenti
09-11-2011
Il premier Silvio Berlusconi ha annunciato che rimetterà il mandato nelle mani di Napolitano dopo il voto sulla legge di stabilità. Il Capo dello Stato dovrà allora decidere se tentare la strada di un governo tecnico, che avrebbe il compito di portare avanti i tagli e le privatizzazioni richieste dalla comunità internazionale, oppure procedere a nuove elezioni.
Berlusconi lascia. Dopo aver dominato la scena politica per 17 anni il Cavaliere ha annunciato ieri che si dimetterà non appena sarà approvato il maxi emendamento alla legge di stabilità, precisando che non si ricandiderà più. Finisce così un'era buia e controversa del nostro paese, costellata di leggi ad personam, amicizie mafiose, società off shore, caratterizzata dall'indifferenza più totale verso la volontà popolare. Se ne apre un'altra, pur fra mille punti interrogativi.
A convincere il premier a lasciare è stato il voto sul rendiconto statale, avvenuto ieri alla Camera attorno alle 16. La legge è passata ma con soli 308 voti favorevoli su 630 (1 contrario, 321 gli astenuti). La votazione, che aveva assunto il valore di una sorta di test per la maggioranza, ha dimostrato una volta per tutte che il governo Berlusconi non aveva più l'appoggio del Parlamento.
Così il Cavaliere è salito al Colle ed ha annunciato al Presidente della Repubblica le proprie dimissioni. Prima però dovrà essere approvata la legge di stabilità. Come si legge in una nota diffusa dal Quirinale infatti “egli ha espresso viva preoccupazione per l'urgente necessità di dare puntuali risposte alle attese dei partner europei con l'approvazione della Legge di Stabilità, opportunamente emendata alla luce del più recente contributo di osservazioni e proposte della Commissione europea".
Solo dopo tale approvazione Berlusconi riconsegnerà il mandato nelle mani di Napolitano, assieme alla volontà di non ricandidarsi più. Spetterà al Capo dello stato, vagliando le proposte delle varie fazioni politiche, giudicare se esiste già un'altra maggioranza in Parlamento in grado di governare il paese – probabilmente rappresentata da un governo tecnico come quello di Lamberto Dini nel '95 – o se sarà necessario ricorrere alle elezioni anticipate.
Su quest'ultimo punto Berlusconi non ha dubbi: “non spetta a me decidere cosa dovrà succedere – ha dichiarato - ma io vedo solo la possibilità di nuove elezioni perché ora il Parlamento è paralizzato". Concludendo "In democrazia non si può pensare che può governare chi ha perso le elezioni". Il Cavaliere lancia poi Alfano come suo successore: “penso che in pole position ci sia Angelino Alfano e che questo comporterà un ricambio generazionale in tutta la politica. Io farò quello che il partito mi chiederà di fare nell'interesse del Paese".
L'eventualità di un governo tecnico è caldeggiata dalla comunità internazionale - e dunque dai mercati, potente arma di ricatto -. Bce e Fmi spingono per l'approvazione delle cosiddette "misure anticrisi": privatizzazioni, liberalizzazioni, tagli allo stato sociale e alla spesa pubblica. Un governo tecnico si farebbe garante di tali riforme, e imporrebbe con ogni probabilità della politica ultraliberista al nostro paese.
Il nome da molti associato a questa eventualità è quello di Mario Monti, commissario europeo già presidente della Trilateral Commission, un gruppo di interesse di orientamento neoliberista fondato nel 1973 da David Rockefeller.
Napolitano dovrà decidere nelle prossime ore. Nel farlo sarà soggetto a molte pressioni: da parte della comunità internazionale, da parte dei partiti e della fazioni politiche, da parte di lobby finanziarie e gruppi d'interesse. In questo strano gioco di potere l'unica volontà che rischia di essere messa a tacere è quella dei cittadini. Quei cittadini che con dei referendum popolari, il 12 e 13 giugno scorsi, avevano condannato le politiche neoliberiste e già iniziavano a parlare di beni comuni e gestione partecipata dei servizi. Solo dando loro voce potrà aprirsi un nuovo periodo storico.
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