di
Andrea Degl'Innocenti
28-06-2013
Proseguono senza sosta le rivolte popolari in Brasile. La presidente Dilma Rousseff ha aperto il dialogo con i manifestanti e sta spingendo verso le riforme richieste dalla popolazione. Ma le proteste non si fermano e c'è chi azzarda che dietro ad esse ci sia la mano degli Usa. Tuttavia ai brasiliani non mancano certo i motivi per protestare.
Mentre volge al termine la Confederation Cup, in Brasile proseguono le proteste. Sono almeno 18 le città in cui si svolgono quotidianamente le manifestazioni. A Belo Horizonte, con la nazionale verdeoro in campo nella semifinale contro l’Uruguay, 40mila persone si sono riunite per protestare contro il governo. La polizia brasiliana ha fermato 24 manifestanti in possesso di sassi, spranghe e maschere antigas ed ha respinto con i gas lacrimogeni un tentativo di sfondare il cordone di sicurezza attorno allo stadio Mineirao.
Dal governo sembrano arrivare aperture verso la piazza. La presidente Dilma Rousseff ha dapprima parlato all’intera popolazione, promettendo riforme e mostrandosi particolarmente disponibile verso le richieste dei dimostranti. Ne riportiamo alcuni stralci particolarmente significativi:
“Brasiliane e brasiliani le manifestazioni di questa settimana hanno portato importanti lezioni: le tariffe sono diminuite e gli ordini del giorno dei manifestanti hanno guadagnato priorità nazionale. Dobbiamo sfruttare la forza di queste espressioni per produrre ulteriori cambiamenti, che vanno a vantaggio di tutta la popolazione.
[…] La mia generazione ha lottato duramente perché la voce della piazza venisse ascoltata. Molti sono stati perseguitati, torturati e sono morti per essa. […]Questo messaggio venuto dal popolo brasiliano richiede una maggiore qualità dei servizi pubblici. Vuole scuole di qualità, vuole la qualità dell’assistenza sanitaria, vuole un migliore trasporto pubblico e giusto prezzo, vuole più sicurezza, vuole di più. E per dare di più, le istituzioni e il governo dovrebbero cambiare.
[…] È la cittadinanza, non il potere economico, che dovrebbe essere ascoltata per prima. Voglio contribuire alla costruzione di una riforma politica ampia e profonda che amplia la partecipazione popolare. […] Dobbiamo fare uno sforzo in modo che il cittadino abbia dei meccanismi di controllo più completi sui suoi rappresentanti”.
Alle parole la Rousseff ha anche fatto seguire i fatti. La Pec 37, la proposta di emendamento costituzionale che a detta dei manifestanti avrebbe reso ancor più difficile la lotta alla corruzione, è stata bocciata in parlamento; sono state prese misure urgenti per rafforzare lo stato sociale, con il 75 per cento delle royalties petrolifere destinate all’istruzione e il 25 alla sanità; sono state cancellate le imposte sui trasporti pubblici, facilitando un abbassamento dei prezzi; infine è partita l’attesa riforma del codice penale che definisce la corruzione un “crimine odioso”.
La Rousseff ha persino lanciato la proposta, pur con l’opposizione della maggioranza del parlamento, di una consultazione popolare per convocare un’Assemblea Costituente che abbia il compito di svolgere un’ampia riforma politica e istituzionale.
Tuttavia le proteste non accennano a fermarsi. I rappresentanti dei cinque principali sindacati brasiliani a colloquio con la presidente hanno annunciato la convicazione di una giornata di lotta per il prossimo 11 luglio.
E c’è chi, di fronte al perdurare delle proteste, avanza ipotesi complottiste. Circola su vari blog internazionali (da Zebra Station Polaire a The Excavator) la teoria che dietro alle oceaniche manifestazioni ci sia la mano lunga degli Usa, che vorrebbero incanalare il malcontento popolare per imporre un cambiamento ai vertici del paese. Non è un mistero infatti che il governo brasiliano fin dai tempi di Lula (e assieme ad altri paesi come Argentina, Ecuador, Venezuela) si sia impegnato attivamente per contrastare il dominio statunitense in America Latina.
Tuttavia, per quanto non escludibile a priori, la teoria del complotto non sembra la più probabile.
L’economia brasiliana in rapida espansione ha causato crescenti disparità nella popolazione. Il Brasile è oggi la quinta economia mondiale ma ancora oltre il 15 per cento della sua popolazione vive al di sotto della sogllia di povertà (sebbene la percentuale diminisca ogni anno e vada riconosciuto l’impegno del governo su questo fronte); il tasso di analfabetismo supera il 20 per cento. Insomma le ragioni per protestare non mancano ai brasiliani. Nei prossimi giorni sarà più chiaro se il governo riuscirà ad accogliere le rischieste dei cittadinie dare il via ad una stagione di riforme e di vero cambiamento.