di
Francesco Bevilacqua
28-12-2010
Leggiamo sempre più studi e previsioni, spesso di segno opposto, riguardanti la situazione economica italiana e l’uscita da una recessione che non accenna ad arrestarsi. La soluzione tuttavia non va rintracciata nei dati in crescita o in calo, ma nell’analisi di un meccanismo che rende questa crisi strutturale e quindi infinita.
Stiamo attraversando in questi mesi un periodo di grande incertezza che alcuni considerano di riflusso, di transizione, addirittura di ripresa dopo la crisi che sta affliggendo le economie occidentali dal 2008.
Purtroppo, com’è ormai costume in casi come questo, è molto difficile farsi un’idea precisa della situazione poiché i mezzi di informazione riportano notizie frammentarie, manipolate, quando non palesemente false a seconda delle direttive che vengono loro dettate dai meccanismi di controllo.
Un paio di articoli usciti recentemente però sfiorano il grottesco, poiché non solo leggendoli è impossibile capire l’effettiva condizione economica di noi italiani, ma perché dicono l’esatto opposto, ponendo due punti di vista differenti che in teoria dovrebbero essere basati su dati concreti. Insomma, per le famiglie italiane la crisi si sta risolvendo o si sta aggravando?
Della prima idea è Il Giornale, che il 21 dicembre è uscito con un articolo titolato Sorpresa, siamo più ricchi di quanto immaginiamo . L’autore Marcello Foa pone in primo piano il confronto fra lo stato dell’economia italiana e quello degli altri paesi mondiali ed europei. La fonte dei dati che vengono analizzati è il bollettino della Banca d’Italia, una pubblicazione che da decine di anni rappresenta una delle fonti più autorevoli per monitorare l’andamento degli indicatori economici dell’Italia e dell’Europa.
La prima confortante notizia ci dice che la ricchezza netta delle famiglie italiane costituisce il 5,7% di quella mondiale, a fronte di un contributo al PIL che non supera il 3%. Questo vorrebbe dire che i privati cittadini italiani sono mediamente fra i più ricchi al mondo. Il dato riguardante l’indebitamento privato sembra rilevare che oltre che ricchi siamo anche responsabili: il debito privato è pari al 78% del reddito disponibile e costituisce un virtuoso primato nei confronti dei tedeschi (100%), degli americani (130%) e degli inglesi, che sono gravati da debiti che ammontano a quasi il doppio della loro disponibilità economica.
Fra l’altro sembra che i nostri investimenti siano orientati verso beni sicuri, come immobili (il 40% dell’indebitamento è rappresentato da mutui) e denaro liquido. Infine, l’Italia è anche uno dei paesi caratterizzati dalla maggiore equità, dal momento che il 10% delle famiglie, la parte più ricca, possiede 'solo' il 45% della ricchezza complessiva, mentre negli Stati Uniti la stessa porzione di popolazione possiede il 70% della ricchezza.
Di tutt’altro tenore è il comunicato stampa che ha diffuso solo tre giorni prima la CGIA di Mestre, un’associazione di artigiani e piccole imprese. Il dato principale è l’indebitamento medio nazionale, che negli ultimi due anni (settembre 2008 - settembre 2010) è cresciuto del 28,7%.
L’analisi che fornisce il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi rileva che, dal punto di vista territoriale, le zone più indebitate sono anche quelle più ricche, segno che induce a pensare che la tendenza al consumo eccessivo non è stata intaccata dalla crisi economica. Le zone più arretrate, in particolare il mezzogiorno, sono tuttavia gravate dal primato delle erogazioni da parte degli istituti di credito, che vuol dire che le fasce più deboli della popolazione non hanno liquidità neanche per reperire i beni primari.
Questa preoccupazione è rafforzata dal dato sulle insolvenze, che vede ai primi i primi posti occupati da comuni meridionali: Crotone, dove il 5,9% dell’erogato non viene restituito, Caltanisetta col 5,7% e Benevento ed Enna a pari merito col 5,5%. Da questa seconda analisi si può dedurre che la crisi economica ha colpito forte e in maniera differenziata: nelle aree più ricche provocando un aumento dell’indebitamento, nelle aree più povere aggravando una situazione già critica.
Un ulteriore arricchimento del quadro viene da una nota dell’ Associazione Contribuenti, che considera la crisi solamente un’aggravante di una serie di tendenze e cattive pratiche economiche che costituiscono la solida base dell’indebitamento degli italiani.
In particolare si fa riferimento all’usura, purtroppo ancora ampiamente praticata (una stima la dà in aumento del 109% nell’ultimo anno, con circa tre milioni e mezzo di soggetti a rischio fra famiglie e piccoli imprenditori), la politica aggressiva delle esattorie, l’eccessiva rateizzazione – che porta a un accesso al consumo apparentemente agevole ma che poi si rivela insostenibile –, il boom delle carte revolving e addirittura un aumento preoccupante del gioco d’azzardo. Il tutto a fronte di un deciso giro di vite da parte delle banche per quanto riguarda la concessione di crediti e prestiti.
Cosa possiamo dedurre da questa situazione, apparentemente intricata e difficile da spiegare?
Certamente l’uscita dalla crisi non è dietro l’angolo e le previsioni e le interpretazioni ottimistiche assumono la fattezza di miraggi che dovrebbero incoraggiare un’economia che continua ad arrancare.
Andando oltre le analisi ufficiali e il mero monitoraggio delle variabili economiche tuttavia, possiamo affermare che non si tratta semplicemente di una fase di uscita dalla recessione particolarmente difficoltosa, bensì dell’affermarsi di un sistema socio-economico che mantiene le stesse gravissime criticità di quello che è appena entrato in crisi, ovvero la necessità fisiologica di aumentare in maniera illimitata i consumi.
Spesso però questo non è possibile, almeno non nelle quantità e con i ritmi che vengono imposti, così entra in gioco il meccanismo dell’indebitamento, che costituisce da un lato l’opportunità di spendere denaro anche quando non ve ne sarebbe la possibilità, dall’altro un legaccio che viene stretto al collo dei risparmiatori e può essere tirato all’occorrenza, una catena che ci lega in eterno ai nostri creditori e ci pone completamente in loro potere.
Ecco quindi qual è la situazione: ciò che conta davvero non sono dati confortanti che ci dicono che stiamo uscendo dalla crisi – cosa peraltro tutta da verificare –, né preoccupanti statistiche che ci avvisano che siamo sempre più insolventi. Il nodo da sciogliere è il meccanismo del debito, poiché finché la nostra economia e il nostro modo di gestire i risparmi sarà basato sull’indebitamento, al di là di quello che ci dicono i tassi di crescita e l’andamento del PIL, la crisi non finirà mai.
Commenti