di
Andrea Degl'Innocenti
13-01-2012
Meno diritti per i lavoratori, con una deroga all'articolo 18, e nuova spinta per la privatizzazione dell'acqua, in barba ai referendum. Dall'altro lato un provvedimento che frena le concessioni selvagge e la cementificazione delle spiagge. Ecco i pro e i contro del decreto liberalizzazioni, che il governo ha intenzione di approvare entro il prossimo 20 gennaio.
Un colpo all'articolo 18, una spintarella alla privatizzazione dell'acqua. Di contro anche nuove regole più restrittive sulle concessioni delle spiagge. E poi nuove norme su benzina, energia, ordini professionali, farmacie, notai, burocrazia, consumatori. Unici settori esclusi, per adesso, quelli delle banche, delle assicurazioni e del gas. Sono molte le carte, per ora soprattutto bozze, presentate sulla scrivania di Monti, che attendono di confluire nel prossimo decreto sulle cosiddette liberalizzazioni.
“Sono solo bozze” sembra essere diventata anche l'espressione preferita di molti ministri, interpellati dalle categorie colpite dal decreto. Lo ha detto un portavoce del governo ai petrolieri, infuriati per l'ipotesi della separazione fra produzione e distribuzione dei carburanti. È stato Antonio Catricalà in risposta ai sindacati, e al ministro del Welfare Elsa Fornero, che lo interpellavano sulle modifiche proposte all'articolo 18.
Proprio l'attacco all'articolo 18 da parte del governo è uno dei punti più discussi. Se l'ipotesi venisse confermata all'interno del decreto, si tratterebbe di una sorta di rivoluzione. Ad oggi l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori impedisce alle aziende sopra i 15 dipendenti il licenziamento senza giusta causa. La norma in questione estenderebbe la facoltà di licenziare senza giusta causa anche ad aziende con fino a 50 dipendenti, se queste sono il frutto di una fusione fra due o più aziende che ne hanno meno di 15.
Dunque avrebbe un doppio scopo: da un lato incentivare la fusione fra le aziende medio-piccole; dall'altro far fare un ulteriore passo indietro ai diritti dei lavoratori, che ormai da qualche anno, complice la crisi, vedono svanire a suon di decreti e riforme i frutti di decenni di scioperi e lotte sindacali.
Altro capitolo che fa discutere è quello relativo ai servizi locali. Il riferimento va soprattutto alla gestione dell'acqua, principale oggetto dei quesiti referendari degli scorsi 12 de 13 giugno. Se allora la maggioranza assoluta del popolo italiano, 26 milioni di cittadini, si era espressa a favore di una gestione pubblica, partecipata e fuori dalle leggi di mercato del servizio idrico, adesso tale volontà rischia di essere ribaltata, e l'annoso processo di privatizzazione – anziché stopparsi – di subire un'ulteriore accelerazione.
Il popolo dell'acqua non ci sta. “In questo modo si vuole mettere all’angolo l’espressione democratica della maggioranza assoluta del popolo italiano, schiacciare ogni voce critica rispetto alla egemonia delle leggi di mercato ed evitare che il 'contagio' si estenda fuori Italia”, si legge in un comunicato diffuso dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua, che chiama a raccolta tutti i cittadini. Tempo addietro è stata lanciata la Campagna di obbedienza civile, che invita i cittadini, in accordo con quanto espresso dal secondo quesito dei referendum, a scorporare dalla bolletta, e dunque non pagare, la percentuale relativa alla remunerazione del capitale investito.
Ora viene lanciato un appello, da sottoscrivere, per chiedere con determinazione “al Governo Monti di interrompere da subito la strada intrapresa” e “a tutti i partiti, a tutte le forze sociali e sindacali di prendere immediata posizione per il rispetto del voto democratico del popolo italiano”.
Un capitolo del decreto che invece sembra riscuotere molto successo, soprattutto fra le associazioni ambientaliste, è quello relativo all'intervento sulle spiagge. Secondo quanto previsto nella bozza di decreto, la concessione del demanio marittimo sarà assegnata con gara pubblica e non potrà durare più di quattro anni; gli attuali concessionari avranno un diritto di prelazione pareggiando l’offerta più alta.
Esulta Legambiente. “Le gare pubbliche per la concessione delle spiagge rappresentano un segnale importante per avvicinare l’Italia all’Europa – ha commentato Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale dell'associazione -. Ci auguriamo che il Governo Monti riesca a realizzare questo importante cambiamento che metterebbe fine alla diffusa pratica della ‘privatizzazione’ delle spiagge garantendo ai cittadini il diritto ad usufruire liberamente degli arenili e darebbe un freno al cemento sulle rive”.
Anche dal Wwf si dichiarano soddisfatti, e si congratulano con il governo. “Il problema delle aree demaniali marittime è anche quello di congelare il rilascio di nuove concessioni visto che gli stabilimenti balneari sono passati da circa 5mila di 10 anni fa a quasi 11mila di oggi. Esiste dunque una grandissima possibilità di aumento degli introiti economici a vantaggio pubblico senza un’ulteriore occupazione di suolo e senza pregiudicare la libera fruizione delle nostre spiagge, e il provvedimento del Governo sta andando in questo senso”.
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