di
Andrea Degl'Innocenti
21-12-2011
Un Natale così povero non si vedeva da cinquant'anni in Grecia, dove un cittadino su quattro è ormai sotto la soglia della povertà. Aumentano i suicidi, crolla l'occupazione. Intanto il governo Papademos prepara nuove misure, che forse miglioreranno i bilanci statali ma sferreranno un colpo mortale al paese. Quello che succede oggi in Grecia potrebbe accadere domani in Italia, non è il momento di distogliere lo sguardo.
Neonati denutriti perché i genitori non sono più in grado di alimentarli a sufficienza; bambini che in classe arrivano senza il pranzo e dicono di esserselo dimenticato e insegnanti che cercano disperatamente di rimediare cibo per i loro alunni che fanno la fame. Intanto negli ospedali i pazienti che pagano bustarelle ai medici pur di essere curati, e le grandi case farmaceutiche iniziano a sospendere la rifornitura di farmaci.
Non è un film, né un reportage da un paese del terzo mondo. Siamo in Grecia, a pochi chilometri da noi, a pochi giorni da Natale. Il Natale più povero che i greci possano ricordare, almeno da una cinquantina d'anni a questa parte.
Per le strade di Atene, quasi nessuno. I negozi che vendono regali sono praticamente deserti. Il meccanismo si è rotto: nessuno spende più, nessuno lavora più. Fra i giovani la disoccupazione è alle stelle. Il 40 per cento di quelli compresi fra i 18 e i 30 anni è disoccupato; altri lavorano gratis. Tutti, o quasi, vorrebbero fuggire, molti lo fanno. Chi va in Germania, chi in Svezia, chi prova ad andare in Australia. Vanessa, 26 anni, intervistata dal Corriere della Sera, arriva a dire di odiare il proprio paese, di volersene andare immediatamente per non tornare più.
Secondo i dati della Confederazione nazionale del commercio ellenica, nove greci su dieci hanno abolito le spese per il vestiario e per le calzature, otto su dieci le spese per i divertimenti, e ben uno su quattro non riesce ad avere i soldi per acquistare generi di prima necessità, dunque si trova al di sotto della soglia di povertà.
Se sino a tre anni fa la Grecia, paese del sole, del Sirtaki e del quieto vivere, era il paese europeo con meno suicidi, oggi la situazione è capovolta, la Grecia occupa la prima posizione.
E le brutte notizie non finiscono qui. Proprio oggi il governo Papademos si appresta a sferrare un altro duro colpo ai propri cittadini. Il Consiglio dei Ministri sarà chiamato a decidere sull'ipotesi di tagliare ancora le pensioni, per la terza volta negli ultimi cinque mesi. Le riduzioni previste dal disegno di legge del ministero del Lavoro parlano di tagli che vanno dal 15 al 40 per cento, a seconda della situazione finanziaria dell'Ente Previdenziale. Un'altra mazzata ad un paese moribondo. Entro il 2015, poi, la troika composta da Fmi, Bce e Ue ha chiesto il taglio di altri 150mila dipendenti statali.
Per strada, così come sui giornali e nei salotti televisivi, si fa a gara a trovare i colpevoli della crisi. Chi accusa la corruzione della classe politica, chi la Germania, chi il sistema finanziario, chi gli stessi cittadini rei di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità. Ciò che sembra piuttosto ovvio, è che la cura Papademos non salverà il paese. La medicina dell'austerità, somministrata in dosi così massicce, sembra piuttosto infierirgli un colpo mortale. Dunque il peggio deve ancora venire. Il 2012 si prospetta come l'annus horribilis per la Grecia, che difficilmente riuscirà ad alzare la testa.
All'inviata del Corriere della Sera, Vanessa dice, concludendo, “state attenti voi italiani, anche se non sembra la crisi dilaga. E voi potreste essere i prossimi”. Già, la Grecia dista solo una sottile striscia di mare dalle nostre coste. E la cura Monti somiglia molto a quella dell'amico Papademos. È vero, probabilmente saremo i prossimi. È importante saperlo.
Non è il tempo di negare l'evidenza, di chiudere gli occhi e sognare ancora per quei pochi istanti prima della sveglia. Ma neanche il tempo di disperarsi e strapparsi i capelli. È importante capire a fondo, trovare alternative condivise, magari prendendo spunto da quanto avviene in Islanda, o in Ecuador; comprendere che un momento di rottura è un passaggio ormai inevitabile nella transizione ad una società diversa.
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