di
Andrea Degl'Innocenti
13-02-2012
Senza badare ai 100mila manifestanti che hanno preso d'assedio il parlamento, i politici greci hanno approvato le misure atroci volute dalla troika finanziaria (Fmi, Bce, Ue) per sbloccare gli aiuti da 130 miliardi di euro. Adesso i mercati tireranno un respiro e l'Europa sarà sollevata, ma di certo la Grecia non è salva.
Alla fine il dramma greco si è consumato. Il parlamento ha approvato le misure atroci dettate dalla troika finanziaria (questo il nome con cui ormai comunemente s'intende il terzetto composto da Fmi, Ue e Bce); gli scontri in piazza Syntagma, di fronte alla Camera, hanno generato circa 50 feriti fra le forze dell'ordine, 70 fra i manifestanti, ma non hanno impedito che si compiesse il 'supremo volere'.
199 voti favorevoli, 74 contrari. Proprio nel paese che oltre duemila anni fa ha visto la nascita della democrazia, intesa come governo dei cittadini, un'ampia maggioranza parlamentare ha decretato ieri la fine della stessa, preferendo dare ascolto ai poteri internazionali piuttosto che al proprio popolo sovrano.
D'altronde Papademos era stato chiaro. “È l'ora delle decisioni”, ha esordito con enfasi in aula il premier greco: “abbiamo davanti un piano che ci aiuterà a uscire dalla crisi economica”. Poi ha condito il tutto con un po' di paura, sostenendo che una decisione sbagliata del voto sul piano porterebbe un “catastrofico default, l'isolamento e l'uscita dall'euro”. A dargli manforte è intervenuto anche il ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos: “La scelta non è tra i sacrifici e non fare sacrifici, ma tra i sacrifici e qualcosa di inimmaginabile”.
Infine la stoccata dei leader dei due maggiori partiti greci. Papandreou, leader del Pasok, e Samaras di Nea Dimokratia, hanno minacciato i propri deputati - ed in seguito hanno fatto corrispondere i fatti alle parole - che chiunque avrebbe votato no alle misure non sarebbe stato ricandidato. Ed eccovi in pochi punti la ricetta per una maggioranza facile e abbondante.
E difatti così è stato. Nel volgere dei pochi minuti necessari alla votazione, al popolo greco è stata sottratto quel briciolo di sovranità che ancora gli restava, assieme ad una manciata di diritti fondamentali. 3,3 miliardi di tagli alla spesa pubblica, che andranno ad incidere su welfare e stipendi. Il salario minimo ridotto del 22 per cento, 15mila dipendenti pubblici da licenziare entro l'anno, 150mila impieghi statali da cancellare entro il 2015. Il sistema sanitario subirà tagli del 30 per cento; lo stato svenderà servizi e beni per 50 miliardi di euro. Infine l'esecutivo si impegna a stilare entro giugno un nuovo piano di tagli e austerità da 10 miliardi di euro.
Una carneficina, non c'è altro modo per definirla. Tutto per ottenere una tranche di aiuti da 130 miliardi (cui si vocifera potrebbero aggiungersene altri 15, a mo di compenso per il buon esito del massacro), che a ben vedere potranno finanziare solamente gli interessi sul debito greco, visto che lo stato greco ha venduto e venderà quasi la totalità dei propri asset.
Mentre questo manipolo di schiavi del potere finanziario, chiuso nelle mura del parlamento e protetto da una schiera di seimila agenti, dichiarava la morte del proprio paese, il popolo fuori iniziava a farsi sentire. Dapprima una manifestazione relativamente pacifica ha invaso piazza Syntagma di circa 100mila dimostranti. Poi col passare delle ore la situazione si è fatta più concitata.
I manifestanti, che la retorica dei media nostrani (e di gran parte del mondo) dipinge come black block ma che più verosimilmente rappresentavano una società civile stremata dalla fame e da una povertà sempre più incombente, hanno iniziato a rumoreggiare ed hanno risposto ai lanci dei lacrimogeni da parte delle forze dell'ordine dando il via ad una specie di guerriglia urbana. A diverse banche è stato appiccato il fuoco ed il centro di Atene è diventato per qualche ora palcoscenico di scontri violenti, terminati con un centinaio e più di feriti.
Ad ulteriore testimonianza della eterogenea composizione della protesta, anche il leggendario compositore greco Mikis Theodorakis, 88 anni, autore del sirtaki e storico attivista politico, era tra i dimostranti.
Ma le proteste non sono valse a niente, almeno fino ad ora. Sicuramente non sono riuscite ad impedire che si compisse la volontà dei mercati e del potere economico-finanziario internazionale. Ora la Grecia avrà i suoi aiuti, i mercati tireranno un sospiro di sollievo e per qualche giorno i titoli torneranno a salire. Ma la Grecia è tutt'altro che salva. Così come non lo sono il Portogallo, la Spagna, l'Italia, ed a catena molti paesi europei.
Sulle spalle greche - e di questi altri paesi - grava il peso di un debito ormai impossibile da ripagare. Continuare a chiudere gli occhi di fronte a ciò che sta accadendo in Grecia come se non ci riguardasse, facendo finta - come le ultime dichiarazioni di Napolitano vogliono far intendere - che a noi non succederà, non risolve certo i problemi. Piuttosto i paesi più in bilico, dovrebbero fare fronte comune e richiedere tutti assieme misure più eque e socialmente accettabili per il pagamento, oltre ad una drastica riduzione dell'importo.
E se queste condizioni non venissero accettate, allora sì, ci sarebbe il fallimento. Ma a quel punto non di Grecia, Italia e Spagna, ma di buona parte del mondo industrializzato.
LEGGI GLI ALTRI ARTICOLI SULLA CRISI GRECA
Commenti