di
Andrea Degl'Innocenti
20-01-2012
La strategia del governo, dall'attacco indistinto alla cittadinanza della legge 'salva-Italia', sembra essere passata ad una seconda fase impostata sul "divide et impera". Ad essere sotto tiro adesso sono le categorie, più facili da attaccare in quanto spesso presentate come invise ai consumatori. Ma siamo prima cittadini o consumatori?
“Divide et impera” dicevano gli antichi romani, che usavano la locuzione per intendere il loro modo di governare il territorio italiano e di evitare rivolte da parte delle popolazioni italiche sottomesse. Due millenni e mezzo dopo la strategia sembra essere ancora valida, ed è utilizzata comunemente dal potere. Ne è un esempio il decreto liberalizzazioni che verrà varato oggi.
Dopo la cosiddetta manovra 'salva-Italia', che colpiva tutti più o meno indiscriminatamente – senza ombra della tanto sbandierata equità – dalle parti di palazzo Chigi devono aver pensato che era cosa assai rischiosa inimicarsi l'intera popolazione, coesa, tutta assieme.
Ed ecco che nel nuovo decreto liberalizzazioni si adotta la strategia del motto latino. Non si attacca più un'indistinta cittadinanza, ma tanti suoi piccoli sottogruppi diversi: le categorie. Ciascuna di loro, vedendo i propri interessi attaccati, sarà così portata a reagire separatamente.
Prendiamo l'esempio dei tassisti. Il decreto prevede la liberalizzazione delle licenze, e l'annullamento della territorialità. Chi è in possesso di una licenza adesso – l'avrà pagata attorno ai 150mila euro, prezzo medio in Italia – con ogni probabilità si sarà immaginato, al momento dell'acquisto, di rivenderla a fine carriera, facendosi così una sorta di pensione, o buonuscita che dir si voglia. E la territorialità, ovvero del fatto che ogni licenza fosse limitata ad un determinato territorio in cui esercitare, serviva a proteggere il lavoro dei tassisti “autoctoni”, nei periodi di maggior richiesta.
Dunque immaginiamoci un tassista giunto più o meno ad età pensionabile, senza grandi risparmi da parte. Egli immaginava di trascorrere in pace la vecchiaia grazie ai soldi della licenza, che a suo tempo pagò una cifra ragguardevole, ed invece si ritrova con niente in mano e costretto a lavorare in condizioni peggiori di quelle a cui è sempre stato abituato, gettato nella mischia della competizione nazionale. Non ha diritto di protestare?
E il discorso fatto per i tassisti vale anche per i benzinai, che annunciano scioperi prolungati – fino a dieci giorni – per protesta contro la scelta di intervenire sull'esclusiva di fornitura nella rete carburanti, che rischia di schiacciare gli esercenti fra i pesi dei colossi petroliferi e le richieste dei mercati.
Ma per gli altri cittadini – per i cittadini non tassisti e non benzinai – queste proteste non sono che potenziali disagi. Il fatto è che le categorie sono facili da attaccare. Basta chiamarle caste, convincere i cittadini che quelli di cui godono sono dei privilegi che ricadono sulle loro spalle, che i servizi che offrono potrebbero essere molto più economici ed il gioco è fatto. Con l'aiuto dei media mainstream, si può così far sorgere nella cittadinanza una certa insofferenza nei confronti delle categorie, i cui membri ci appariranno come estremamente egoisti: arroccati a difesa dei propri interessi senza pensare al bene del paese.
Ma osservando la situazione più da vicino ci si accorge che non è così. Pur procedendo separatamente, per compartimenti stagni, la manovra del governo sta compiendo un furto complessivo dei diritti dei lavoratori (e dei cittadini), in nome di più generici diritti dei consumatori. Si sta in pratica compiendo un passo enorme da uno “stato di diritto”, dove ad essere tutelati sono i cittadini in quanto tali, ad uno “stato di mercato”, dove i cittadini sono tutelati solo nella loro dimensione di consumatori.
Il problema è che, se da un lato ci attaccano separatamente, perché ciascuno di noi apparterrà ad una soltanto delle categorie che via via passeranno sotto la macina delle liberalizzazioni, dall'altro si promettono benefici comuni, in quanto tutti rientriamo nella odiosa categoria dei consumatori. Dunque, a meno che non sia la nostra categoria ad essere attaccata in quel preciso momento, con ogni probabilità ci schiereremo dall'altra parte, dal lato dei consumatori, pronti ad attaccare i privilegi delle caste.
Ma siamo davvero consumatori prima che cittadini? E siamo sicuri che il libero mercato sia lo strumento adatto per regolare al meglio le nostre necessità? Torniamo per un attimo ai tassisti. Cosa comporteranno le liberalizzazioni? Probabilmente molti più taxi in giro, a prezzi sicuramente più economici. E chi li utilizzerà? In parte chi fino ad ora si spostava con il proprio mezzo; in buona parte – una parte probabilmente maggiore – chi utilizzava per convenienza, o per mancanza di mezzi propri, i mezzi pubblici.
Ma ha senso, proprio adesso, in piena crisi ambientale, con l'aria delle città sempre più irrespirabile, le riserve di petrolio mondiali giunte agli sgoccioli – e posizionate in luoghi sempre più difficili da raggiungere – incentivare il trasporto privato? Non preferiremmo piuttosto – come cittadini non come consumatori – avere un servizio di trasporto pubblico efficiente, di cui usufruire tutti a costi accessibili, e limitare i taxi ed i mezzi privati alle emergenze ed alle eventualità?
Ma i mercati non ascoltano i cittadini ma solo i consumatori. Non sanno cosa “è meglio”, solo cosa è “più conveniente”. Sono un meccanismo ottuso, che risponde soltanto a stimoli economici. È contro questo sistema che dobbiamo ribellarci, tutti assieme, mettendo da parte le categorie. Essere cittadini, una volta tanto.
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