di
Andrea Degl'Innocenti
20-09-2011
Sulla carcassa del belpaese è giunto il turno degli avvoltoi. I titoli di Stato italiani sono merce infetta e nessuno li vuole più. Gli unici disposti ad acquistarli sono i cinesi, che chiedono come contropartita l'ingresso in Eni ed Enel. Ma alle loro spalle si prospetta un pericolo anche peggiore: l'Fmi ha avanzato una proposta di prestito all'Italia.
L'Italia fa pensare oggi a quelle grosse carcasse di animali che marciscono sotto il sole della savana africana. I leoni vi si nutrirono quando la sua carne era fresca e sana. Poi sono venute le iene. Adesso che il corpo è purulento ed in avanzato stato di decomposizione i predatori rifuggono le sue carni; solo gli avvoltoi volteggiano alti in attesa del proprio pasto. Gli, oggi, avvoltoi si chiamano Cina e Fondo Monetario Internazionale.
I titoli di stato italiani sono merce infetta; nessuno li vuole più da tempo – ed ancor meno li vorranno dopo che questa notte l'agenzia di rating Standard & Poor's ha comunicato il downgrade dell'Italia da A+ ad A. Neppure la Banca Centrale Europea vuole avere a che fare col debito nostrano: troppo rischioso. Mario Draghi, in procinto di succedere a Trichet alla guida della Bce, se ne guarda bene, consapevole che se vuole mantenere buoni rapporti con gli altri paesi membri – in primis la Germania, da sempre ostile alla candidatura di un italiano – deve dimostrarsi estremamente rigido proprio nei confronti dell'economia del proprio paese d'origine.
Ma l'Italia ha urgente bisogno racimolare un po' di liquidità per risanare la sua finanza pubblica. Ecco allora farsi avanti gli avvoltoi. I primi sono stati i cinesi, che già possiedono il 4 per cento del debito pubblico italiano – circa 76 miliardi di dollari – ma sarebbero disposti ad aumentare la loro percentuale. In un incontro fra Lou Jiwei, presidente della China Investment Corp., fondo sovrano cinese, ed il nostro ministro delle finanze Giulio Tremonti, il primo sembrerebbe aver garantito la disponibilità di Pechino ad acquistare in futuro obbligazioni del Tesoro italiane.
Come è ovvio, però, l'acquisto del rischioso debito nostrano non è l'obiettivo principale della Cina; ne è piuttosto la contropartita. Pare infatti sia emerso un interessamento dei cinesi per i due colossi energetici nostrani, l'Eni e l'Enel, attualmente a maggioranza pubblica; se l'affare andasse a buon fine, è probabile che Pechino acquisti una quota di azioni delle due società, ancora da definire.
Ma ecco sopraggiungere il secondo avvoltoio. Rivela il Wall Street Journal che l'Fmi sarebbe intenzionato a sbloccare una cifra ingente – si parla di quasi 600 miliardi di dollari – per coprire le perdite dei debiti sovrani europei. E l'Italia sarebbe probabilmente coinvolta nell'operazione, assieme alla Spagna. Una vera e propria candidatura al salvataggio, quella dell'Fmi, che avviene per la prima volta nella storia nei confronti di un paese membro del G8 come l'Italia.
In un interessante articolo la blogger Debora Billi enuncia i vari motivi per cui l'intervento dell'Fmi sarebbe da considerarsi decisamente catastrofico, decisamente peggiore di quello cinese, al punto da essersi meritato il nome, fra gli analisti, di “bacio della morte”.
Per capire meglio cosa si intende con queste parole ci siamo rivolti a Vincent Geraud, giornalista francese esperto in materia di economia internazionale. “L'Fmi – ci ha spiegato il collega transalpino – è stato creato alla fine della seconda guerra mondiale per facilitare la ricostruzione dei paesi. Da allora le sue ricette di salvataggio non sono cambiate un gran che e sono sempre basate su un concetto di economia capitalista ed ultraliberale”.
Una tattica che, a detta del premio Nobel Joseph Stiglitz, è utile nel rimborsare i paesi creditori, ma che spesso peggiora le condizioni di chi beneficia del prestito. “Col sistema del prestiti – continua Geraud – l'Fmi favorisce la crescita ma non lo sviluppo. Permette l'aumento dei capitali investiti, stimola l'ingresso nell'economia di mercato, nella competizione, ma questo tipo di crescita non include lo sviluppo sociale, né il miglioramento delle condizioni di vita delle persone che anzi generalmente peggiorano.”
“Fra le contromisure che il paese viene obbligato ad adottare vi sono quasi sempre inclusi tagli alla sanità pubblica, privatizzazioni, innalzamento dell'età pensionabile, aumento delle tasse, drastico ridimensionamento della spesa pubblica”. Misure che, in una sorta di spirale senza via d'uscita, danno un'ulteriore spinta alle politiche neoliberiste che sono alla base dell'attuale crisi economica.
Insomma, come al solito si somministrano a mo' di cura gli stessi ingredienti che danno origine alla malattia, ed in dosi persino maggiori. Il risultato è che, se in un primo momento le finanze statali prendono una boccata d'ossigeno grazie alla consistente iniezione di liquidità, alla lunga esse sono destinate a peggiorare nuovamente in quanto privatesi di buona parte del proprio apparato.
"L'Argentina dopo dieci anni dal prestito ancora fatica a rialzare la testa - spiega Geraud -. Alla Grecia sono state imposte misure a dir poco drastiche per la cittadinanza. Non sono note ancora le condizioni in serbo per l'Italia ma si può supporre che siano simili".
Alla fine, gli unici a guadagnarci sono i grossi gruppi economici, le grandi aziende, le multinazionali, che approfittano dello stato d'emergenza del paese di turno per accaparrarsi, ai saldi, pezzi di "cosa pubblica" altrui. Gestione di sevizi, amministrazioni, beni statali acquistati a prezzo d'occasione per via dell'impellente bisogno. Non già carne infetta, quella, ma un goloso banchetto per gli amanti delle privatizzazioni, una triste carneficina per il resto della popolazione.
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