Le proteste che stanno abbattendo una dopo l'altra le dittature del nordafrica non hanno risparmiato la Libia e il regime del colonnello Gheddafi. Dopo una settimana di rivolte nella città di Bengasi, ieri sera le proteste si sono estese alla capitale libica Tripoli.
Le proteste che stanno abbattendo una dopo l'altra le dittature del nordafrica non hanno risparmiato la Libia e il regime del colonnello Gheddafi. Dopo una settimana di rivolte nella città di Bengasi, ieri sera le proteste si sono estese alla capitale libica Tripoli.
Secondo al-Jazira sono stati circa in tremila a manifestare verso il palazzo presidenziale di Tripoli stanotte. Una manifestazione sfociata in una repressione violenta e sanguinosa da parte dei sostenitori di Muammar Gheddafi. La polizia avrebbe lanciato lacrimogeni contro la folla, alcuni membri dell'esercito a Bengasi sarebbero passati dalla parte dei manifestanti in opposizione al regime. Il primo bilancio ufficioso degli scontri di Bengasi sarebbe di circa 300 morti e 700 feriti. Se fossero confermate si tratterebbe di un massacro.
La situazione è difficile da interpretare ma soprattutto è fuori controllo, tanto che si è parlato di guerra civile. Il regime di Gheddafi e Gheddafi stesso sono in forte difficoltà tanto che le informazioni che stanno circolando sulle agenzie di stampa internazionali parlano di una 'fuga' del colonnello che avrebbe lasciato il paese per rifugiarsi in Venezuela. Notizia che però ha ricevuto una smentita da parte della televisione Al Arabiya.
A tenere un discorso pubblico ieri è stato proprio il figlio secondogenito di Gheddafi, Saif al-Islam, possibile successore del rais, comparso sugli schermi della televisione nazionale con il doppio intento di intimorire i manifestanti e abbassare i toni della protesta. "Continueremo a combattere fino all'ultimo uomo, persino all'ultima donna... Non lasceremo la Libia agli italiani o ai turchi" ha detto Saif confermando che l'esercito continuerà ad "imporre la sicurezza a tutti i costi".
Adesso la comunità internazionale teme l'impatto della rivolta libica anche fuori dai confini della regione direttamente interessata che è tra i principali esportatori di greggio al mondo. A spaventare è soprattutto la possibilità di un esodo di massa sulle coste italiane e poi il blocco dell'esportazione di petrolio.
Quest'ultima opzione è stata esplicitamente annunciata dal leader della tribù orientale, Al-Zuwayya, che ha minacciato di interrompere le esportazioni di petrolio in occidente se l'oppressione della rivolta non troverà fine entro le prossime 24 ore, lo riporta stamani l'agenzia Reuters.
Certo è che, non si può stare a guardare temendo solo per i propri interessi. Quello che sta succedendo nelle ultime settimane in nordafrica è qualcosa di molto più significativo, e va affrontato nella sua complessità politica e sociale, per l'impatto più ampio di cambiamento che avrà dentro e fuori i confini geopolitici in cui sta avvenendo.