di
Francesco Bevilacqua
30-09-2011
In una lettera strettamente confidenziale Jean Claude Trichet e Mario Draghi elencano una serie di suggerimenti di politica economica che il Governo italiano dovrebbe applicare. Suggerimenti che però, in barba all’inalienabile principio di autodeterminazione e sovranità nazionale, suonano più come delle severe imposizioni.
Si sapeva che la sovranità nazionale, politica ed economica, con l’avvento della moneta unica e ancora prima delle istituzioni europee avrebbe considerevolmente perso peso. Ma oggi il limite è stato oltrepassato. Dopo il proditorio annuncio dell’Islanda – che, esasperata dalle vessazioni del Fondo Monetario Internazionale e fedele alla volontà del proprio popolo, ha deciso di ripudiare il debito contratto con le banche private inglesi e olandesi, di uscire dal FMI e di darsi una nuova costituzione seguendo un iter partecipato e interattivo che la mettesse al riparo dalla politica dell’usurocrazia – la Banca Centrale Europea ha forse ritenuto opportuno dare una stretta al laccio che cinge il collo dei paesi europei, in questo caso del nostro, quello dell’Italia.
Furbescamente, senza ricorrere all’atto ufficiale ma affidandosi all’iniziativa privata e discreta di Jean Claude Trichet e del suo successore Mario Draghi, la BCE ha inviato una lettera al Primo Ministro italiano per metterlo al corrente delle conclusioni che il Consiglio Direttivo ha tratto nella riunione del 4 agosto scorso. Solo l’incipit è paradossale e tradisce la natura quasi grottesca della situazione in cui si trovano i governi soggiogati dai vertici del sistema bancario internazionale.
“Tutti i paesi dell’euro – premettono Trichet e Draghi – riaffermano solennemente la loro determinazione inflessibile a onorare in pieno la loro individuale firma sovrana e tutti i loro impegni per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali”. Individuale firma sovrana? Che sovranità è quella che prevede un’imposizione che, ipocritamente mascherata dietro la formula della lettera informale, impone a un paese decisioni e politiche palesemente lesive nei confronti della sua popolazione e delle sue stesse istituzioni? E come può essere sovrano un governo che viene ricattato da un’istituzione sopranazionale che fissa i parametri in base ai quali l’economia dei paesi membri sopravvive o collassa?
Ma proseguiamo analizzando i vari punti sui quali si articola il 'caloroso' suggerimento della coppia Trichet-Draghi.
La prima voce riguarda le misure atte ad aumentare il potenziale di crescita. Quasi seccate, le istituzioni europee prendono atto che “alcune misure sono in discussione con le parti sociali”, come se queste ultime fossero solo un irrilevante ostacolo da rimuovere il prima possibile. L’obiettivo primario è migliorare la competitività delle imprese e questo deve avvenire attraverso una radicale riforma improntata sulla privatizzazione dei servizi – ecco una interessante chiave di lettura per la grande battaglia dell’acqua della scorsa primavera.
È altresì necessario un ripensamento dei contratti collettivi di lavoro, che naturalmente vada a favorire le imprese a discapito dei lavoratori. Lavoratori che, secondo il terzo punto, debbono essere considerati alla stregua di merci regolamentati da una nuova normativa che favorisca il ricambio, la flessibilità e la mobilità dei lavori stessi, a tutto vantaggio della competitività dell’economia.
La seconda voce riguarda invece il bilancio. Che i conti italiani non siano propriamente in salute non è un segreto; naturalmente ai quadri della BCE non importa nulla dell’Italia e degli italiani in sé, ma il problema è che una tale palla al piede rischierebbe di frenare la crescita del sistema-Europa, così come sta facendo la Grecia, per la quale si sta infatti preparando un’uscita di scena dall’economia comunitaria discreta ed elegante – cosa sarà poi dell’economia ellenica spolpata e indebitata non è un problema di Trichet e soci.
Si rendono quindi necessari un giro di vite alle pensioni quindi, un anticipo dell’entrata in vigore delle novità della Manovra 2011 – 2013 anziché 2014 – e una sensibile riduzione dei costi del pubblico impiego, da attuarsi attraverso una razionalizzazione, una più veloce turnazione dei lavoratori e addirittura un taglio dei salari. Infine, come spesso accade, sono le istituzioni locali, le più deboli, a essere prese di mira: la BCE ritiene infatti necessaria una riduzione del loro indebitamento, limitando conseguentemente la loro capacità di spesa.
L’ultima voce sembra un consiglio sensato: migliorare l’efficienza amministrativa, da sempre tallone d’Achille del Belpaese. Questo però deve avvenire “assecondando le esigenze delle imprese” e adottando criteri di redditività anche in quei settori – sanità, istruzione e giustizia – che, pur dovendo necessariamente fare i conti con esigenze di bilancio, hanno comunque il compito di fornire un servizio mirato a migliorare il benessere della comunità e non a conseguire un utile.
La lettera termina con un inquietante auspicio da parte degli scriventi che “il Governo assuma le azioni appropriate”, che suona come una vera e propria minaccia. Riduzione della spesa pubblica, liberalizzazioni, precarizzazione del lavoro, snellimento amministrativo ai danni degli enti locali sono quindi i punti principali della “lettera strettamente confidenziale” di Trichet e Draghi. Per tutelare gli italiani? Assolutamente no, è ovvio. Semmai per tutelare gli investitori che, spaventati dallo spettro del declassamento dell’Italia, rischiano di ridurre gli investimenti nel nostro paese.
La 'coda di paglia' della BCE è testimoniata anche dalle dichiarazioni di qualche giorno fa, quando infuriava il dibattito se rendere pubblica o meno la lettera in questione. “Abbiamo deciso di non fornire accesso al documento richiesto, poiché la divulgazione recherebbe pregiudizio alla tutela dell’interesse pubblico”, spiegava il direttore generale del Segretariato e dei servizi linguistici della Banca Centrale.
Dopo quest’ultima goccia si può dire che il vaso sia già quasi colmo. Quanto dovremo aspettare ancora prima di fare la fine della Grecia? Ricordandoci sempre, fra l’altro, che esiste una strada alternativa, indicata dall’esempio virtuoso dell’Islanda.
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