di
Andrea Degl'Innocenti
20-07-2012
La Sicilia rischia il default o si è trattato solo di una sparata mediatica del numero due di Confindustria Ivan Lo Bello? Che le casse siciliane versino in pessimo stato si sapeva da anni, ma dal governo arrivano voci rassicuranti. E intanto la drammaticità della situazione viene sommersa da un grottesco teatrino politico fra le istituzioni coinvolte.
Al di là del teatrino politico di questi giorni, che ha ondeggiato come un pendolo fra il drammatico ed il grottesco, il fatto è di per se piuttosto sconvolgente: una regione d'Italia rischia seriamente il fallimento. Poi sono arrivate le smentite del caso, le controdichiarazioni, le rassicurazioni. Ma le parole dette restano scolpite, pesano come macigni sulle teste dei Siciliani.
I problemi finanziari della Sicilia non sono certo una novità. Da anni gli esperti del settore ripetono che la regione è sull'orlo del baratro. La Sicilia si trova infatti al primo posto nella classifica italiana per volume di crescita dell'indebitamento: nel 2011 il debito siciliano è cresciuto del 3 per cento, rispetto ad una crescita media nazionale dello 0,8 e ad una del Sud che si attesta all'1,7.
Già qualche giorno fa il procuratore generale della Corte dei conti per la Regione siciliana, Giovanni Coppola, aveva usato parole non certo rassicuranti nella sua relazione all'udienza pubblica del giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione per l'esercizio 2011: "Siamo da diverso tempo in una situazione economica drammatica dagli esiti incertissimi e la Sicilia in questo frangente è come il manzoniano vaso di terracotta”. Ovvero fragile, in mezzo ai vasi di ferro. Ma che a dichiararlo pubblicamente sia stato il numero due di Confindustria Ivan Lo Bello è un segnale ancor più allarmante. Suona come una sorta di ultima chiamata.
Ora è lecito domandarsi, cosa succede se una regione fallisce? A livello istituzionale niente di eclatante. Una regione non è uno stato sovrano dunque non può fare default in senso classico. In genere una regione – o un ente pubblico - che non riesce più a pagare i propri debiti viene commissariata dallo Stato. In altre parole lo Stato sospende l'autorità degli organi direttivi dell'ente e li sostituisce con un commissario.
Il commissario è chiamato a risanare le casse della regione. Detto in altre parole, a tagliare la spesa pubblica, gettando al macero, tutto nello stesso fascio, tanto gli sprechi quanto i servizi garantiti ai cittadini. A svolgere dunque la stessa funzione per cui è stato chiamato Monti alla guida dell'Italia. Con la differenza che nel caso del paese sono stato i mercati a commissariare il governo Berlusconi e a scegliere il professore come premier.
Gli ultimi aggiornamenti, ad ogni modo, diffondono notizie più “tranquillizzanti”. Fonti governative, cui l'Ansa ha dato diffusione, sostengono che “non vi è rischio default per la Sicilia” e che il problema non è strutturale ma di “temporanea mancanza di liquidità ed è stato risolto con trasferimenti per 400 milioni di euro già programmati”.
Ma nel tragicomico teatrino mediatico che ha tenuto banco in questi giorni, c'è stato anche chi ha proposto provvedimenti ben più drastici. Mario Borghezio, col suo solito stile moderato e pacato, ha proposto di vendere la Sicilia a qualche investitore straniero. “Inutile negare che la mafia in Sicilia e la Camorra in Campania sono saldamente radicate nel territorio, quindi una soluzione potrebbe essere che Monti la venda a uno stato estero o a qualche miliardario visto che non si riesce ad estirpare il malaffare troppo radicato”.
La grande vendita di Borghezio non si limiterebbe poi alla sola Sicilia. “Venderei la Sicilia agli Usa o a qualche pool di miliardari russi o americani. Molto volentieri la Sicilia, ma prima ancora la Campania, perché siamo di fronte a zone completamente improduttive. Sarebbe un po’ alleggerita quella palla al piede che finché siamo tutti insieme appesantisce il nord”.
Le parole di Borghezio, che in altre circostanze potrebbero quasi far sorridere, si portano dietro un macabro alone di verità. Se infatti è assurdo immaginare che uno Stato possa vendere una propria regione, non lo è altrettanto pensare che essa possa essere nei fatti acquistata pezzo dopo pezzo, senza dare nell'occhio da compratori stranieri.
Un allarmante articolo pubblicato da Italia Oggi a firma del gen. Piero La Porta testimonia come le banche tedesche stiano di fatto aumentando la propria presenza sull'isola facendo credito a tassi da usurai. “La Germania conquista la Sicilia con l'usura, sottraendola agli Usa [...]. Un usuraio agisce aprendo crediti insostenibili alla vittima, accrescendone poi il debito attraverso ulteriori prestiti, resi inestinguibili proprio perché a tassi usurari e a lungo termine. I beneficiati offrono in garanzia ipotecaria immobili di valore doppio dell'importo nominale del prestito. Un edificio da 200mila euro garantisce un prestito nominale di 100mila euro dei quali il contraente riceve 88mila per restituire, entro un anno, 104.500euro, pena l'esproprio dell'immobile. Bankitalia sa e sta a guardare. Entro uno o due anni la presenza tedesca nel centro del Mediterraneo sarà concreta e pesante di gran lunga più avvertibile di statunitense, nonostante le basi militari. Dopo si vedrà.”
Si accresce invece la lista di coloro che, piuttosto che risanare le casse della Sicilia, auspicano un default dell'Italia intera. Alla già folta schiera si è aggiunta l'autorevole opinione di Serge Latouche. L'ideologo francese della decroissance intervistato da Lettera 43 ha affermato che la bancarotta dello stato, con conseguente uscita dall'euro e cancellazione del debito, è l'unica soluzione possibile alla crisi italiana. O meglio, per usare le sue parole “è più che altro la condizione per trovare le soluzioni”.
Ma ben lungi dal cercare soluzioni percorribili, qui in Italia il dibattito fra istituzioni è continuato con toni quasi surreali. Lombardo, governatore della Sicilia cui il premier Monti ha chiesto ripetutamente le dimissioni, ha commentato l'intera vicenda intervenendo alla trasmissione “La Zanzara” di radio 24: "Non ho mai provato l'ebbrezza di una canna, sarebbe uno dei tanti piaceri che potrei concedermi quando non sarò più governatore della Sicilia, dal 31 luglio". Aggiungendo: "Mi dedicherò all'agricoltura e coltiverò anche la marijuana, so che è illegale ma pazienza".
Incalzato poi sul suo processo per reato elettorale aggravato da favoreggiamento ad associazione mafiosa, ha avuto a dire: "La mafia non mi fa schifo, molto di più, mi fa schifissimo". Si è scordato di aggiungere che i mafiosi non sono cattivi, sono cattivissimi.
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