Tratto dal Corano (XIV, 24-25) Fare e scrivere poesia, può non solo abbellire un linguaggio quotidiano, ormai impoverito e depredato da tutte le sue delicate sfumature e ricchezze, ma può anche originare nuovo pensiero e nuova vita. Riscoprendo, riabbellendo e scegliendo la “parola nuova”, che io chiamo “ecologica”, poiché come una melodia può raggiungere il nostro e l’altrui orecchio creando benessere, procediamo anche ad un atto di libertà individuale e collettivo, ad un “nuovo” modo di abbracciare senza violenza più mondi e non solo uno. Questo processo di rielaborazione, impegnando sia il pensiero, che il corpo, che il cuore (fonte d’ispirazione poetica), ridona circolarità al respiro, riarmonizzando in noi il doppio piano “terra e cielo”. Altresì, la poesia con le sfumature e i mondi che essa cela, è un naturale ed innato strumento di pace, interiore ed esteriore, che consente di rispettare la soglia e lo spazio armonico, sia quello proprio che quello altrui. Infatti, quando parliamo con qualcuno stiamo cercando di bussare alla porta dell’altro e vorremmo che quella porta ci venisse aperta... Il tono, la scelta delle parole, il respiro, l’intensità dell’emissione della voce, possono permettere di entrare armoniosamente in empatia con l’altro e di interagire in maniera più pacifica ed ecologica con il nostro interlocutore. Quante volte vi sarà capitato di provare una grande serenità dopo aver parlato con qualcuno? O di aver provato ansia? Il parlare, questo comunissimo atto quotidiano, va riscattato proprio dalla sua dimensione di sterile quotidianità e di espressività solo logica ed anaffettiva, affinché possa riacquistare la sua innata dignità e ricchezza di toni e di forme. “La poesia è come un raggio di sole che illumina il cammino”, “è come il vento che soffia libero, senza confini” ed ancora “la poesia è come una donna umile e gentile”, così descrivono le parole poetiche alcune mie alunne dell’Istituto L.Mangano di Catania, in seguito ad un laboratorio sulla poesia e la fiaba da me stessa tenuto. Lo scrittore Alves Rubem Azevedo usa la definizione “parole da mangiare”, io amo usare la metafora del “giardino delle parole”, che dovrà essere ricco di diversi esemplari e di fiori di tutte le specie, per poter vivere della sua integrale bellezza, nutrendo coloro che lo visitano. Reimparare a “fare parola”, serve a individuare le personali gradazioni e sfumature “cromatiche” e ad esprimersi utilizzandole. Questa ricerca implica anche una chiarezza d’intenti ed un accrescimento della propria sensibilità, grazie ad un più profondo ascolto di se stessi e dell’altro. Ne deriva un miglioramento della comunicazione, una crescita della fiducia e quindi una trasformazione positiva della relazione o dello scambio in atto; giacché la parola, reintegrata dei suoi antichi valori, si fa strumento di bellezza e consente agli interlocutori di raccontarsi e di rispettarsi maggiormente. Il nuovo parlare, inteso come armonica chiave d’accesso agli altrui mondi, richiede un rispetto e una sensibilità nell’ascolto della soglia altrui, ormai spesso dimenticato. Le parole hanno quindi bisogno di essere dosate, abbellite, decorate, persino cantate... Per abituarsi a questo piacevole lavoro si possono usare la poesia e la fiaba, come fonti di ricchezza e di riscoperta dei propri paesaggi interiori. Scrive il pedagogista e poeta trentino Mario Bolognese : “la poesia sa riscoprire orme, anche nostre, che il vento sembra aver cancellato, camminando sulla spiaggia della vita...” Grazie all’ascolto, alla lettura e alla sperimentazione creativa, la parola in tal modo diverrà come una casa pronta ad accogliere un ospite: ripulita, profumata, non troppo rumorosa, una parola che invita a sedersi e ad ascoltare, una parola angelo che vuole svelare tesori remoti e non solo messaggi d’azione.
affondano le radici nella terra del cuore,
per poi innalzare i loro canti di foglie al cielo.
Dopo, se si resta ad aspettare, loro, le armoniose parole,
ritornano indietro come eco di angeli tra i brulli campi dorati...
CB
e la musica-vento
del suo cosmico respiro
ridona a chi sogna
l’usignolo smarrito.
Mario Bolognese
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