di
Giancarlo Tarozzi
02-04-2012
Sabato 31 marzo si è celebrata la giornata del pianeta Terra, di 'Pachamama'. Quale significato può assumere a livello globale questo tipo di celebrazione nel 2012? Ce lo spiega Giancarlo Tarozzi, studioso di culture sciamaniche e processi di guarigione.
Sabato 31 marzo 2012 è stato un giorno dedicato alla celebrazione del pianeta Terra, di Pachamama. Celebrare il pianeta, Madre Terra, è una cosa che le popolazioni matriarcali fanno da millenni. Ma quale significato assume a livello globale, per molte persone, questo tipo di celebrazione?
Spesso, troppo spesso, queste occasioni per molti sono solo un pretesto per mettere a posto la coscienza, per sentirsi più 'buoni' un giorno ogni tanto, per poi continuare allegramente a dilapidare e sprecare risorse.
Voglio approfittare dell'occasione per proporre un tema che ho già accennato in passato, ma che a parer mio diventa sempre più pressante: la situazione che in questo momento l'umanità sta vivendo, con il surriscaldamento globale, con l'inquinamento. In realtà, non è un problema del pianeta, della vita che lo abita nella sua totalità. È un qualcosa che riguarda, tutto sommato, solo gli esseri umani ed alcune specie che vivono in simbiosi con essi.
Questo non vuol dire, naturalmente, che non sia essenziale un drastico mutamento di rotta a livello sia individuale che collettivo per evitare che, presto, questo pianeta risulti inabitabile per la razza umana.
Anzi, semmai è esattamente il contrario: rendersi conto che la vita su questo pianeta preesiste agli esseri umani, comprende gli esseri umani, e sopravviverà comunque agli esseri umani stessi sposta l'attenzione da una forma di 'buonismo' - quasi ci si sentisse evoluti per il fatto di prendersi cura del pianeta - ad un qualcosa che è legato alla sopravvivenza di quella fetta di esseri viventi che costituisce appunto la razza umana.
Più volte ho avuto occasione di citare quel maestro sciamano che molto tempo fa mi disse: “Voi bianchi vi chiedete troppo spesso cosa potete fare per il pianeta, invece di chiedere che cosa conviene fare prima che la vita del pianeta decida che liberarsi della razza umana sia un bene per molte altre forme viventi”.
Molto spesso, i movimenti ecologisti si propongono come forme evolute, aperte nel considerare gli altri esseri che abitano insieme a noi questo pianeta. Ma il vecchio retaggio delle culture patriarcali che stacca l'uomo dall'ambiente, considerando le altre forme viventi come un qualcosa di cui può disporre a proprio piacimento è duro a morire.
Per esempio, ogni volta che sento definire 'innaturale' l'utilizzo delle risorse del pianeta, lo stesso inquinamento, il transgenico e così via, mi viene da riflettere proprio su questo termine: 'innaturale'.
Non esiste nulla di innaturale per il semplice fatto che l'essere umano è (ovviamente, anche se troppo spesso la cosa viene dimenticata) parte della natura. Parlare di disarmonia, parlare di dilapidazione, parlare di 'segare il tronco su cui siamo seduti' illustra molto meglio la situazione.
E non si tratta di una questione semantica, ma di un profondo rispetto per quella pellicola organica costituita da infinite specie vegetali, animali, e cristalline, per quella serie di fratelli e sorelle che si manifestano sotto le forme più diverse.
Significa, quindi, rendersi conto che la Terra ha già vissuto e attraverserà indubbiamente ancora estinzioni di massa, come un fatto perfettamente 'naturale'; è ovvio che per i grandi rettili non era piacevole rimanere estinti, né lo é stato per altre forme viventi che non abitano più il pianeta, ma quando definiamo innaturale il proliferare dei topi o degli scarafaggi rispetto al rischio di estinzione dei panda o delle balene siamo sicuri di non scegliere tutto sommato quelle forme vitali che ci sembrano più vicine, che ci piacciono di più esteticamente o psicologicamente?
Quando si legge che gli antibiotici hanno dato vita al proliferare di nuove forme di microbi, ebbene, per questi microbi l'essere umano ha avuto una funzione di demiurgo, e creatore.
L'equilibrio dinamico di un processo evolutivo in continua trasformazione ricorda continuamente che qualunque attaccamento ad uno status quo è sinonimo di morte. Nel diciannovesimo secolo, con il trionfo della cultura delle macchine, l'uomo si è illuso di poter rimodellare il pianeta a suo piacimento, ma per fortuna non è così.
Allora, propongo un punto di vista diverso: vogliamo tutti quanti - a partire da chi sta dettando queste parole, per arrivare a chi le sta leggendo, e così via - iniziare nel nostro privato, e poi allargare la cosa intorno, ad agire per far sì che il pianeta rimanga in una condizione più piacevole ed armoniosa per noi in quanto esseri umani, senza pretendere arrogantemente di essere padroni ed artefici dell'evoluzione del pianeta stesso?
E se questo concetto in qualche modo è chiaro, potete provare ad iniziare a riferirlo anche alla vostra crescita individuale: crescere, vivere felici ed in armonia, è una cosa che riguarda e conviene profondamente ad ognuno: il processo evolutivo procede lo stesso. Non si tratta di 'essere buoni' nel lavorare per abbattere il proprio egocentrismo, i propri attaccamenti, la propria paura. Si tratta di una conseguenza inevitabile, se non si vuole essere lasciati indietro dall'onda lunga dell'evoluzione.