Le opportunità della blue economy

La blue economy affronta le problematiche della sostenibilità al di là della semplice conservazione: lo scopo non è investire di più nella tutela dell’ambiente ma di spingersi verso la rigenerazione affinché tutti possano beneficiare dell’eterno flusso di creatività, adattamento e abbondanza della natura. Così facendo si possono creare nuove imprese e nuovi posti di lavoro, Gunter Puali, il fondatore della blue economy ha previsto in 10 anni, 100 innovazioni e 100 milioni di nuovi posti di lavoro.

Le opportunità della blue economy
Introduzione Il finanzcapitalismo è una mega-macchina creata con lo scopo di massimizzare il valore estraibile sia dagli esseri umani sia dagli ecosistemi. La grave crisi economica (ambientale, culturale e politica) che stiamo vivendo è la crisi di questa civiltà-mondo dominata dal sistema finanziario [1]. L’economia della sostenibilità necessità ancora di percorrere molta strada se vuole contrastare efficacemente i problemi ambientali fra cui il riscaldamento globale. Una parte della green economy ha procurato più danni che benefici al nostro pianeta. Il modello di green economy ha richiesto alle imprese di investire di più e ai consumatori di spendere di più per ottenere la stessa cosa preservando nel contempo l’ambiente. Sebbene ciò fosse già arduo durante il periodo d’oro della crescita economica, è una soluzione che ha poche speranze in un periodo di congiuntura economica negativa. La blue economy affronta le problematiche della sostenibilità al di là della semplice conservazione, lo scopo non è investire di più nella tutela dell’ambiente ma di spingersi verso la rigenerazione affinché tutti possano beneficiare dell’eterno flusso di creatività, adattamento e abbondanza della natura. Effetti perversi della Green Economy Anni fa alcune piccole aziende innovatrici iniziarono a sostituire i tensioattivi petrolchimici con ingredienti biodegradabili, gli acidi grassi dell’olio di palma. Ben presto tutti i maggiori produttori cavalcarono la biodegradabilità con il risultato che enormi aree di foresta pluviale sono state convertite a colture intensive di palma da olio, distruggendo l’habitat dell’orango, dello scimpanzé e di moltissime altre specie, che in pochi anni sono diventate a serio rischio di estinzione. Il Rapporto denominato “Lo scandalo Oil for Ape” evidenzia come la produzione dell’olio di palma stia minacciando la sopravvivenza degli Orango Tango, primati che, vivono nella foresta indonesiana e sono costretti a spostarsi o a morire, perché le foreste pluviali sono abbattute e sul terreno disboscato, si piantano le palme da olio. La palma produce frutti che hanno un nocciolo duro ed una polpa morbida composta per il 40-65% di olio. L’olio ricavato è inviato in Occidente e bruciato in qualche centrale a biomassa per ricavare energia elettrica incentivata con tariffe promozionali nate per sostituire petrolio, metano o carbone. Insomma alla fine, l’energia 'pulita' dell’Occidente è responsabile della distruzione della foresta pluviale indonesiana, che assorbe fortemente le emissioni carboniche, e in più pregiudica la sopravvivenza dei primati. L’uso perverso dei CDM (clean devolement mechanism) previsto dal Protocollo di Kyoto segue un percorso, ancora più inquietante. Il CDM consiste nell’applicazione di tecnologie a basso impatto nei paesi in via di sviluppo, con la finalità di ridurne le emissioni. La riduzione conseguita è riconosciuta a chi realizza il progetto e ne ricava un attestato che certifica il risparmio di emissione e che può essere 'venduto' sul mercato. Questo certificato è chiamato CER (riduzione certificata delle emissioni) e vale una tonnellata di biossido di carbonio. In questo periodo i 'cacciatori del verde' stanno intercettando discariche esaurite dell’Africa, per la costruzione di generatori di biogas. Per questo si elabora un progetto, magari parzialmente finanziato con fondi internazionali, e lo si invia per approvazione agli organismi competenti internazionali che si occupano di cambiamenti climatici. I certificati CER ottenuti sono venduti a qualche proprietario di acciaieria, centrale termoelettrica, impianto chimico o cartiera: insomma, tutte quelle lavorazioni che sono per legge costrette a ridurre le emissioni. Acquistando il CER 'prodotto' in Africa l’imprenditore può continuare a emettere una pari quantità di biossido di carbonio, avente come limite solo quello fissato dal cosiddetto Piano Nazionale delle Autorizzazioni. Il CER potrebbe anche essere trattato per una speculazione finanziaria: un Fondo speculativo concentra gli acquisti di CER per trattenerli e decidere di farne crescere il prezzo, stabilendo poi quando metterli in vendita per massimizzarne il guadagno. Questi CER sono supportati da contratti di garanzia, esattamente omologhi ai CDS (Credit Default Swap) dei titoli pubblici. Oggi poi assistiamo alla corsa verso l’auto elettrica, che localmente produce zero emissioni. Ma se poi produciamo l’elettricità necessaria bruciando carbone da qualche altra parte, abbiamo spostato altrove il problema, senza risolverlo. La Relazione Annuale di Banca Italia evidenzia un dato che va valutato proprio in chiave ecologica: fino al 2006 le importazioni italiane di “dispositivi fotosensibili a semiconduttore, incluse le 'celle fotovoltaiche', registravano un valore di 300 milioni di euro, quattro anni dopo, nel 2010, sono passati a 8,3 miliardi! I paesi da cui importiamo le celle fotovoltaiche: 3,4 md di euro dalla Cina, 1,9 mld dalla Germania, 577 milioni dalla Spagna, 380 mld dall’Olanda e 274 da Taiwan. La produzione di pannelli fotovoltaici richiede una grande quantità di energia, considerando altresì che questa energia, nel caso della Cina proviene per i quattro quinti da carbone e che i pannelli poi bisogna trasportarli in Europa. Con la produzione e distribuzione dei pannelli produciamo più CO2 di quella che evitiamo di immettere nell'atmosfera utilizzando poi gli stessi pannelli! La Blue Economy La Blue Economy [2] nell'ipotesi più moderata può essere considerata un’evoluzione della Green Economy, in realtà è qualcosa di più e di diverso. È un sistema di pensiero e di azione complesso in cui la dimensione economica della proposta parte sempre dal livello sociale e globale della condizione della persona, sia dei paesi dove avviene la produzione sia dei paesi ove avviene il consumo di beni prodotti. Uno dei beni per i quali non abbiano limiti è la nostra creatività ed è su questa che ci dobbiamo basare per introdurre innovazioni che non portino solo nuove tecnologie, ma anche e soprattutto nuovi modelli economici che tengano conto della decrescita dei rendimenti marginali della produttività degli attuali sistemi di produzione. La Blue Economy non si basa solo sull’innovazione, ma anche su nuovi modelli produttivi che cambiano il nostro modo di guardare alla produzione, alla distribuzione e ai consumi. I prodotti migliori devono essere anche i più economici. Ciò che acquistiamo deve contribuire alle esigenze fondamentali di tutti, i prodotti e i servizi che acquistiamo regolarmente devono contribuire alla costruzione di un capitale umano e creare nuovi posti di lavoro. È un approccio completamente nuovo, fresco, di cui abbiamo urgente bisogno. Oggi tutto quello che i governi e le dirigenze riescono ad immaginare sono austerità e tagli dei costi. Ma questo non è possibile. Dovremmo evolvere, come fa la natura, dalla penuria alla sufficienza e all’abbondanza. La natura evolve sempre verso l’abbondanza. E noi in un momento di crisi riusciamo solo a pensare a fare meno, mentre dovremmo trasmettere alla gente il messaggio di fare di più con quello che abbiamo. Questo è il messaggio che viene dalla Natura. La natura è un incredibile fonte di ispirazione, perché ci mostra che col tempo usando soluzioni creative è sempre possibile evolvere verso il meglio. Pensiamo per esempio al problema dell’occupazione. In Natura non esiste disoccupazione, tutti contribuiscono al meglio delle loro possibilità. E se parliamo di materie prime, non esistono scarti o inquinamento. O meglio, ciò che è scarto per qualcuno è sempre materia prima fonte di energia per qualcun altro. In questo modo, ci rendiamo conto che possiamo sfruttare a cascata nutrienti, energia e materiali. La natura continua a semplificare il modo in cui produciamo e consumiamo. Pensiamo a quanti apparecchi oggi abbiamo che non servono. La Natura ci insegna come farne a meno. Questo è un approccio nuovo e che ci apre a nuove prospettive. Pensiamo per esempio alle pile: in Natura tutto è basato sull’elettricità ma non esistono pile, non esistono reti o generatori a metano o petrolio. In natura tutto è alimentato con energia elettrica, interessante, no? Come è possibile? Noi abbiamo bisogno di batterie inquinanti, di estrarre litio dalle miniere per produrle, di estrarre il rame necessario per le reti, di produrre energia nucleare che pone il problema delle scorie. La natura è basata prima di tutto su un sistema a cascata interconnesso e ci insegna a fare molto di più con meno, ad eliminare anche quello che ci sembra indispensabile come le pile, filtri, sistemi osmotici e tutte quelle apparecchiature che continuiamo a utilizzare e gettare via. Il concetto stesso di rifiuto è un'invenzione umana. Nei sistemi naturali nessuno produce qualcosa che non serve a nessuno. Ci chiamiamo homo sapiens, sapiens ma forse dovremmo definirci in altro modo. I principi della Blue Economy - Le soluzioni si basano principalmente sulle leggi della fisica. I fattori chiave sono la pressione e la temperatura, come sono conosciuti a livello locale. - Qualcosa viene sostituito con niente se è davvero necessario produrlo. - I nutrienti, materia ed energia, nei sistemi naturali non c'è spreco. Ogni sottoprodotto è una materia prima per un nuovo prodotto. Un rifiuto per uno è un alimento per un altro. - La ricchezza della natura è la biodiversità. Standardizzazione industriale è l'opposto. - La natura offre spazio per gli imprenditori che producono di più con meno. La natura è in contrasto con il monopolio. - La gravità è la fonte principale di energia, la seconda risorsa rinnovabile è l'energia solare. - L'acqua è il solvente primario. - La natura è in continua evoluzione. Ci sono sempre novità. - La natura funziona solo con ciò che è localmente disponibile. La cultura economica sostenibile rispetta e valorizza le risorse locali. - La natura si basa su esigenze di base e si sviluppa poi in abbondanza. L'attuale modello economico è basato sulla scarsità come base per la produzione e il consumo. - I sistemi naturali sono semplici. - In natura, tutto è biodegradabile - è solo una questione di tempo. - In natura tutto è sempre in collegamento e sviluppato simbioticamente. - In natura, acqua, aria e suolo sono un bene comune, libera e abbondante. - In natura, un processo crea molti benefici. - Sistemi naturali pongono rischi. Ogni rischio è una motivazione per l'innovazione. - La natura è efficiente. Pertanto, la massima sostenibile economico utilizza materia esistente e di energia, in modo che scende il prezzo per i consumatori. - La natura propone il meglio per tutti gli interessati. - In natura gli svantaggi sono vantaggi. I problemi sono un'opportunità. - La natura si fonda sulla biodiversità. Un'innovazione naturale offre numerosi vantaggi per tutti. - Produrre con quello che abbiamo, sviluppare innovazioni ispirate dalla natura, ottenere una sostenibilità mai immaginata, quali creare posti di lavoro e capitale sociale, offrendo di più con meno. Esempi concreti di blue economy e nuove attività economiche Utilizzo degli scarti di caffé Quando beviamo [3] una tazza di caffè utilizziamo, ingeriamo solo lo 0,2% della biomassa raccolta da un agricoltore in Kenya o Colombia. Il resto, il 99,8% è gettato via. Ma non è materiale di scarto. Adesso ci sono più di 20 città in tutto il mondo in cui questi scarti vengono utilizzati per coltivare funghi shitake, un alimento di alta qualità privo di colesterolo e di acidi grassi saturi. Funghi che vengono prodotti direttamente in città; in questo modo possiamo metterli sul mercato ad un prezzo che è la metà rispetto a quello dei funghi che arrivano dalla Cina. In questo modo in città si creano posti di lavoro producendo cibo sano a prezzo contenuto. Questa è la Blue Economy: fare di più con quello che abbiamo. Una volta creato questo sistema, dopo aver raccolto i funghi coltivati sugli scarti, resta comunque del materiale di scarto. Ma non si tratta di uno scarto, bensì di un prodotto ricco di aminoacidi che può essere utilizzato come alimento per cani e gatti, o per gli animali da cortile. Le bucce di arancia Questi scarti sono ricchi in d-limonene, un ottimo detergente che può essere usato per lavare biancheria o per lavarci le mani e che non rimane attivo a lungo. Così quando “beviamo la spremuta possiamo anche lavare i vestiti”: tutto quello che dobbiamo fare è spremere il d-limonene dalle bucce. Ma oggi in Brasile ci sono otto stabilimenti che fanno proprio questo, un altro stabilimento è stato appena aperto in Messico. In questo modo, invece di utilizzare per detergenti quell’orribile olio di palma, un materiale che è stato presentato come biodegradabile ma che ha distrutto le foreste tropicali, possiamo utilizzare questo prodotto estratto dagli scarti degli agrumi, produrre detersivi meno dannosi per l’ambiente e produrre molti più posti di lavoro. Gli scarti di macellazione Un chilo di carne prodotta comporta in media un chilo di scarti. Di questi cosa ne facciamo in Europa? A causa della malattia della mucca pazza li bruciamo tutti! Mentre in Africa, nel Songhai Center di Porto Novo in Benin e a Città del Capo, in Sudafrica, si coltivano larve. Ossia mosche che trovano in questi scarti un terreno ideale per deporre uova da cui poi si sviluppano le larve. Queste larve mangiano tutto, in tre giorni consumano un bovino e hanno un sistema digestivo così efficiente che producono proteine pulite prive di virus o batteri che possono essere utilizzate a nutrire le quaglie, le cui uova servono poi a nutrire galline. Quindi abbiamo un alimento per quaglie e pollame creato da rifiuti animali trasformati in un prodotto composto per l’80% da proteine di buona qualità. Queste larve hanno anche una saliva che può essere usata come disinfettante ed è più efficace di tintura di iodio o altri disinfettanti: se la si mette su una ferita aperta la fa guarire più rapidamente. Non dimentichiamo che se in Africa abbiamo gravi problemi di Aids e malaria, le persone che muoiono a causa di piccole ferite non curate sono molte di più. Noi sappiamo che - in Africa - l’assistenza sanitaria non arriva nei piccoli villaggi ma in questi posti ci sono dei macelli che producono, su piccola scala, moltissimi scarti. L'equipe di studio e di ricerca di Pauli Gunter ha calcolato che se convertissimo in proteine per alimentazione animale e disinfettante tutti gli scarti di macellazione proveniente dai macelli ufficiali in Africa produrrebbero tra 500.000 e un milione di posti di lavoro. Blue economy e salute Un intervento al cuore e un pacemaker con relativa batteria di costa mediamente $50,000. Vista la conducibilità della pelle se noi inseriamo un filo di carbonio che arriva al cuore la conducibilità del corpo crea elettricità che può fare funzionare il pacemaker. Questo piccolo filo di carbonio può essere inserito attraverso un catetere, senza nessun intervento chirurgico e costando circa $500. La blue economy in Europa e nel Mediterraneo La Sicilia ha costruito, in questi ultimi anni nel settore della pesca, un modello di sviluppo economico e sociale ispirato ai principi della Blue Economy. ll Distretto Produttivo della Pesca di Mazara del Vallo (TP) e il Consorzio di Valorizzazione del Pescato (COSVAP) hanno promosso la refrigerazione passiva e applicato le nanotecnologie agli scafi. Queste e altre applicazioni si basano su alcuni principi della Blue Economy del Mediterraneo [4]: - pensare alle risorse ittiche e marine sulla base dell’effettiva capacità produttiva del mare. - Protezione e preservazione dell’ambiente marino. - Internazionalizzazione, intesa non come conquista di nuovi mercati ma in termini di cooperazione fra mercati. - Gestione attraverso l’approccio scientifico, privilegiando ricerca e formazione. - Disponibilità pubblica delle informazioni. - Procedimenti decisionali trasparenti ed aperti. - Approccio cautelativo e sistemico. - Utilizzo sostenibile ed equo delle risorse. - Responsabilità degli Stati quali controllori dell’ambiente marino globale e dei singoli individui. Conclusioni Diciamo sempre che i bambini sono il futuro ma i bambini sono il nostro presente. Quel ragazzino che non capisce perché il papà debba consumare così tante pile, quando la balena può percorrere gli oceani dall’artico all’equatore, generando energia dal cibo per far circolare mille litri di sangue a ogni battito del cuore, e questo per ottanta anni. Quando un bambino capisce questo, non capisce perché discutiamo sull’energia nucleare, non capisce la nostra dipendenza dal petrolio, perché questa vecchia balena si sposta per gli oceani senza bisogno di pile o energia nucleare. Per superare la crisi che viviamo oggi in Europa dobbiamo imparare di nuovo a navigare tra realtà, visione e fantasia. Possiamo superare la crisi economica facendoci domande di cui non abbiamo le risposte. La scienza è lì per darci le risposte, se siamo capaci di fare le domande giuste. Bibliografia e sitografia [1] Gallino L., Finanzcapitalismo, La civiltà del denaro in crisi, Einaudi, 2011 [2] Pauli G., The Blue economy – 10 Years, 100 Innovation, 100 Milion jobs Report to the Club of Rome, Paradigm Publication, 2010 [3] Blue Economy [4] Distretto produttivo della pesca

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