I genitori hanno senz'altro la loro parte di responsabilità se si prestano a questo ma gli insegnanti finiscono inevitabilmente per aspettarsi che il genitore si dia da fare in qualche maniera per fare in modo che i figli portino a scuola tutti i compiti assegnati. E se non lo fanno questo è tema di discussioni estenuanti ai colloqui quando non la causa dell'andamento non esattamente brillante dei nostri figli. I bambini stessi si trovano a discutere con i genitori e a confrontare il loro piccolo diario scritto con fatica con il dio whatsapp che ha sempre e comunque l'ultima parola. Il messaggio chiaro per i nostri figli sarà: è inutile che mi dia tanto da fare per fare attenzione a cosa scrivo perché comunque ci pensa poi la mamma, eventualmente, a farselo condividere. E' inutile che io sia sicuro di ciò che ha detto la maestra perché whatsapp è più credibile di me anche se in classe lui non c'è. Il messaggio recepito dal genitore sarà: responsabilizzare mio figlio fino a un certo punto perché tanto poi posso risolvere con il gruppo, abbassare l'ansia quando vado a parlare con gli insegnanti e avere il supporto degli altri genitori col mio stesso problema. Con whatsapp.
Nessuno tra di noi, però, né genitori né insegnanti, mette in discussione il sistema invece di mettere in discussione i bambini. Alcune mamme consigliano nella loro perfetta buona fede che i bambini bisogna farli sforzare e che, in fondo, va bene così perché la vita, in definitiva, là fuori, non è facile. Il consiglio, naturalmente, sempre su whatsapp.
In sostanza neppure noi genitori ce ne rendiamo conto e, anzi, crediamo che la scuola sia sforzo, preparazione a una vita che non è facile, palestra delle infinite prove e ostacoli che nella nostra esistenza troveremo. Che si dia dunque inizio, il prima possibile, a questo allenamento per corpo e mente: ci si abitui a stare fermi al banco a sei anni per otto o nove ore al giorno, si faccia silenzio quando abbiamo voglia di parlare, si trattenga la pipì e la si faccia al momento in cui lo dice la scuola, si mangi o si beva quando è orario per farlo, ci si abitui all'essere continuamente giudicati o lodati per qualcosa che abbiamo spontaneamente detto o fatto, ci si abitui a pensare competitivamente invece che collaborativamente, ci si abitui al concetto di punizione per qualcosa che abbiamo fatto senza capire perché è sbagliato. Magari ci si abituerà anche al non dover ricevere spiegazioni di sorta (forse in qualche caso sì) e al fatto che se si fa qualcosa di sbagliato senza rendersene conto la si dovrà pagare con una punizione senza avere la possibilità di tornare indietro a riparare e senza che quella punizione abbia alcuna coerenza con ciò che si è fatto. Il risultato sarà tristezza, frustrazione, senso di ribellione, umiliazione.
Del resto anche per noi grandi, non è forse così nella maggior parte dei nostri uffici o, in generale, dei nostri posti di lavoro? Dunque è bene iniziare fin da piccoli a frustrare le nostre spontaneità. Perché se non lo faremo saremo giudicati come problematici, malati, in difficoltà, difficili o con deficit di qualche tipo. Nel migliore dei casi non ci saremo “sforzati” abbastanza.
Continuo a pensare che ci sia qualcosa che non va, che non torna.
Non siamo disponibili a mettere in discussione il sistema. Anche noi siamo stati tirati su così, del resto. E l'autorità del maestro e della scuola tutta non deve mai essere messa in discussione. I bambini sono sottoposti a giudizi continui, spesso sbrigativi, o dati in condizioni non ideali per il bambino stesso. E' un sistema che, sempre di più, sembra essere non in ascolto dei nostri figli. I nostri bambini, invece, dovrebbero essere attivi, a loro agio, liberi di essere quello che sono, pronti alla valorizzazione continua e all'incoraggiamento costante dei loro talenti e delle loro attitudini. Perché tutti ne hanno.
Perché ci sembra così naturale preoccuparci di preparare i nostri figli alla durezza della vita, all'infelicità, alla costrizione e alla “naturale” frustrazione delle loro spontaneità e capacità? Perché ci sembra così scontato lo sforzo quando ogni bambino lasciato libero, impara senza difficoltà ciò che gli serve? Dovrebbe, piuttosto, essere l'esatto contrario: la scuola come luogo di assoluta libertà, in cui esprimersi e trovare se stessi con l'aiuto dei grandi. Un luogo che prepari a sentirsi valorizzati e adeguati. Un luogo in cui il punto di vista di ogni bambino valga quanto quello di un adulto. Un luogo in cui ogni bambino sia considerato un essere speciale e non un individuo da programmare alla lotta o un essere imperfetto continuamente da correggere. Questi circoli diventano viziosi riflettendosi anche nelle famiglie che finiscono in molti casi per sentire inadeguatezza e ansia che si riversano a loro volta ancora sui figli. Mentre, al contrario, la scuola dovrebbe significare solo felicità.
Siamo abituati a riderci su o a prendere con leggerezza la cosa quando i bambini ci dicono che non amano andare a scuola. Ci siamo abituati alle nostre ansie e preoccupazioni. Abbiamo smesso di ascoltare e di ascoltarci senza pensare che noi per primi potremmo, insieme, cambiare le cose se solo ci fermassimo un momento a farci delle domande.
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