di
Daniel Tarozzi
30-12-2010
"Lo sviluppo sostenibile è un ossimoro, perché lo sviluppo è di per se insostenibile e la sostenibilità prevede l’abolizione dello sviluppo". Come uscire, dunque, dalla logica della crescita? Vi proponiamo la terza parte dell'intervista di Daniel Tarozzi a Maurizio Pallante.
Ritieni che la gente capisca cosa significa decrescita?
Si avvicinano a questi ideali coloro che hanno già delle motivazioni. Se io vado per strada e parlo di decrescita, le persone mi guarderanno come un marziano. Però tutte le persone che vivono diversamente e che sentono un disagio nel muoversi nella società contemporanea questo discorso lo percepiscono bene cogliendone anche la valenza esistenziale e non solo di carattere politico.
La decrescita sta diventando dunque una calamita che attrae e attira tutte le persone che non sono contente di come si vive, che fino adesso avevano delle intuizioni ma non avevano chiara una prospettiva alternativa. La cosa importante è che attrae individui di tutte le fasce d’età.
Dove si sta diffondendo maggiormente?
Il maggior riscontro si ha al nord-est; ultimamente c’è un interesse molto forte nella provincia del cuneese. Provincie come queste, più contadine che non industriali, si ritrovano molte bene in quelli che sono gli ideali proposti dal movimento. Il 'libretto' della decrescita felice ha superato le 10.000 copie, cifra che per la saggistica italiana rappresenta un dato veramente incredibile. E risulta ancor più clamoroso se consideriamo che non era stata fatta nessuna recensione e gli Editori Riuniti (che lo hanno editato) non sono distribuiti benissimo.
Moltissime persone che ho incontrato mi hanno raccontato di aver ritrovato e riconosciuto in quel libro delle idee che avevano già intuito e che stavano già praticando. Io mi sono quindi limitato a dargli una forma più organica e sistematica.
Perché spesso polemizzi contro il concetto di sviluppo sostenibile?
Lo sviluppo sostenibile è un ossimoro, perché lo sviluppo è di per se insostenibile e la sostenibilità prevede l’abolizione dello sviluppo.
Bisogna quindi prima di tutto decidere che cosa si intende per sviluppo. Quando noi utilizziamo il concetto di paesi sottosviluppati ci riferiamo, ad esempio, a dei paesi che non hanno il nostro stile di vita, che viene da noi generalmente considerato come il metro di tutto ciò che si basa sulla crescita che, in quanto tale, comporterebbe un miglioramento.
La parola sviluppo è un modo di edulcorare la parola decrescita perché nessuno di quelli che parla di sviluppo pensa che si possa ottenere uno sviluppo attraverso la decrescita. Lo sviluppo sostenibile è il concetto secondo il quale siccome dobbiamo continuare a crescere e siccome la crescita comporta l’esaurimento delle risorse non rinnovabili dobbiamo puntare a sviluppare quelle rinnovabili.
È una maniera di continuare a fare quello che si è sempre fatto in un modo diverso da come si è fatto in passato (cosa non particolarmente rivoluzionaria visto che ormai sarebbe impossibile continuare a farlo).
Anche nel caso di estremo di povertà, il concetto da proporre non dovrebbe essere quello di sviluppo, perché sviluppo significa mercificazione. Bisognerebbe invece aiutare queste persone ad uscire dalla povertà mettendone in grado di auto-prodursi i propri beni.
Invece succede tutto l’opposto; ad esempio la Tata, industria automobilistica indiana - d’accordo con la Fiat - ha espropriato i terreni di 30.000 contadini per costruire una fabbrica che occuperà solo 2000 persone. C’è riuscita utilizzando la persuasione, la truffa, la menzogna. Ma i bisogni reali di queste persone non saranno appagati dallo sviluppo. Lo saranno se riusciranno a mantenere la loro condizione contadina.
Lo sviluppo è un concetto indissolubilmente legato alla crescita del Pil. La crescita del Pil è la mercificazione, perché se non si mercifica tutto non cresce il Pil .
Questo è un modello che bisogna abbattere. Tutti hanno diritto ad una vita dignitosa e di conseguenza tutti hanno diretto di accedere alle risorse necessarie all’ottenimento di tale obiettivo.
In che modo un paese può uscire dalla logica della crescita?
Il caso di Cuba è emblematico e va studiato approfonditamente. Quando a Cuba c’è stata la rivoluzione l’Unione Sovietica ha garantito a Fidel Castro che avrebbe comprato tutto lo zucchero che loro producevano anche ad un prezzo superiore a quello di mercato, ponendosi così nell’ottica dello sviluppo della monocultura e della mercificazione. Quando poi l’Unione Sovietica è crollata e la Russia non ha più comprato lo zucchero Cuba si è trovata improvvisamente sul lastrico!
A quel punto, però, i cubani sono usciti dalla povertà non entrando nella logica della crescita, ma valorizzando appieno la loro autoproduzione. Ha funzionato ed oggi il 50% del cibo che si mangia all’Havana è autoprodotto.
Questo fenomeno ultimamente si sta sviluppando anche negli Stati Uniti. New york, Los Angeles, Chicago, San Francisco hanno visto nascere nel loro territorio gli orti urbani, i pollai urbani e le conigliere; si tratta di piccole aree di terreno tra le case che si vanno rivitalizzando tanto che la principale azienda specializzata nella vendita di semi negli USA quest’anno ha raddoppiato il fatturato.
E in Italia come va la vendita dei semi?
Il tema dei semi è un tema molto delicato e importante. Io mi sono trasferito qui (in Piemonte) all’inizio del 2000 e ho cominciato a farmi l’orto comprando le piantine al mercato di Castel Nuovo Don Bosco. Pian piano sono arrivato all’autoproduzione dei semi e quindi alla possibilità di avere una grande varietà di semi che ancora molte famiglie contadine si tramandano da oltre 100 anni.
(Mentre parla Pallante si alza e, da una cassetta poggiata poco distante dall’angolo del grande terrazzo in cui ci troviamo, prende alcuni pomodori gialli. Ci invita ad assaggiarli. Poi riprende a parlare mostrandoci l’orto che lui stesso cura con la compagna e che sorge a pochi metri da lì).
I pomodori originariamente erano gialli. Pomi d’oro. Si chiamano così appunto perché dorati, gialli. L’orto lo seguiamo personalmente io e la mia compagna. Nonostante i mille impegni e gli imprevisti, a volte anche dolorosi, che segnano la vita di chiunque, ogni sera - quando fa meno caldo - ti metti qui e ti dedichi all’orto. In particolare la mia compagna è una che con le piante ci parla, le cura con un coinvolgimento autentico in queste vite che si manifestano, in queste forme vegetali e sembra quasi che le piante le rispondano. Di quest’orto regaleremo tanta di quella roba… già adesso la regaliamo. Ne produce molta più di quella che riusciamo a consumare.
Siamo arrivati alla fine di questa terza puntata. Nella prossima (quarta e ultima parte) analizzeremo il rapporto tra decrescita felice e città urbanizzate e ci confronteremo sul ruolo della donna all'interno di questo paradigma culturale.