Le uova che troviamo confezionate sui banchi del supermercato sono spesso il prodotto della sofferenza patita dalle galline negli allevamenti intensivi. Il potere di mettere fine a questo sistema che violenta gli animali e obbliga le persone a nutrirsi di sostanze sempre più inquinate è, come spesso accade, nelle mani del consumatore. Ecco come compiere una scelta consapevole dal punto di vista etico e salutistico.
Un uovo, infatti, può essere il prodotto di una gallina che vive in condizioni dignitose oppure può essere il prodotto di una gallina completamente privata della sua natura di animale e ridotta a macchina per sfornare uova a ritmi forzati.
Le galline dei moderni allevamenti intensivi sono condannate ad una vita di torture e vivono, o meglio soffrono, in un gabbia grande come il loro corpo (pari a un foglio A4 ossia 20 x 30 cm) che non permette loro nemmeno di aprire le ali né di compiere il minimo movimento.
Così immobilizzate, durante la loro penosa esistenza non vedono altro che le sbarre della gabbia, dalla quale non usciranno mai se non dopo due anni, quando, deperite, consumate, martoriate nel corpo e nella mente, verranno mandate al macello. Per questi animali quindi la morte, per quanto anch’essa molto cruenta, è una vera liberazione, la fine di una tortura…
Sembra impossibile ma l’uomo, con infinita crudeltà, è riuscito a privare le povere galline persino del diritto al riposo e al sonno, seviziandole con luce artificiale sparata negli occhi 24 ore su 24 che le stressa, le rende iperattive e quindi le induce a mangiare in eccesso; tutto questo per esasperarne la produzione di uova. Le galline non conoscono praticamente la notte perché non sanno nemmeno cosa sia il naturale susseguirsi della luce diurna e notturna!
Il 90 % delle uova che troviamo sui banchi del supermercato - ben confezionate in insospettabili cartoni colorati dove viene ipocritamente riprodotta la foto della gallina felice che si crogiola in un prato - provengono da questo atroce sistema di produzione.
Ammassati all’inverosimile questi animali, che evidentemente non sono fatti per vivere in tali condizioni, manifestano fin da subito chiari segni di stress che li induce al cannibalismo.
Anziché restituire loro lo spazio vitale necessario ci si è ostinati a tenerli in gabbia e per evitare che si uccidano a vicenda gli viene tagliato il becco, trinciandone il nervo al vivo. La terribile pratica del taglio del becco viene fatta sui pulcini, senza anestesia, con un dolore inimmaginabile. Come si può arrivare a tanto? Chi ha permesso che tutto ciò diventasse “normale”?
Tenute rinchiuse in capannoni sovraffollati, con ventilazione e illuminazione artificiali, dove le file di gabbie raggiungono anche i quattro piani di altezza, le galline sono obbligate a respirarne l’aria malsana e satura dell’ammoniaca che si sviluppa a causa dell’alta concentrazione di feci e urine.
In queste condizioni è inevitabile che si ammalino continuamente e si contagino, pertanto vengono sottoposte a massicce terapie antibiotiche, molto invasive e spesso somministrate addirittura in maniera preventiva. Tutta la sofferenza, lo stress e le sostanze nocive che si concentrano in ogni singola gallina si ritrovano poi nelle loro uova. L’uovo è un prodotto di sofferenza:questo è l’unico ingrediente veramente autentico che contiene.
L’unico antidoto a questo sistema che violenta gli animali e obbliga le persone a nutrirsi di sostanze sempre più inquinate è, come spesso accade, interamente nelle mani del consumatore. Solo una scelta consapevole durante i nostri acquisti può salvare milioni di galline da queste sofferenze, ed è sorprendente quanto sia facile!
Una piccola attenzione in più nel momento in cui si scelgono le uova, nient’altro. Le confezioni che portano la dicitura allevamento in gabbia e allevamento a terra sono entrambe da evitare perché le galline sono tenute in condizioni inaccettabili. Se leggiamo invece allevamento biologico siamo sicuri che le galline hanno per lo meno avuto una vita degna, con la possibilità di razzolare in uno spazio all’aperto e di dare libero sfogo alle loro esigenze comportamentali, tra cui principalmente il movimento.
Qui le galline sono nutrite con mangimi naturali non modificati geneticamente e non subiscono il taglio del becco ed altre barbare mutilazioni; inoltre l’allevamento biologico vieta l'uso di sostanze sintetiche che favoriscono la crescita, aumentano l'appetito e ostacolano il naturale sviluppo dell'animale: tutti trattamenti che purtroppo non sono vietati negli altri tipi di allevamenti e dove quindi vengono regolarmente praticati, sempre con l’unico obiettivo di ridurre i costi. D’altra parte il fine di tutti gli allevatori che non utilizzano i metodi biologici è proprio quello di abbattere i costi, non certo di fornire un prodotto sano al consumatore!
Per poter identificare senza alcun dubbio la provenienza delle uova (la dicitura sulla confezione a volte può non esser chiara) è necessario guardare il codice impresso su ciascuna di esse. La prima cifra del codice è quella che ci dice da quale tipo di allevamento proviene l’uovo, ed è quella che dobbiamo guardare: ‘1’, ‘2’ e ‘3’ indicano rispettivamente allevamento all’aperto, allevamento a terra (che significa al chiuso, stipate nei capannoni), e allevamento in gabbia; lo ‘0’ indica invece l’allevamento biologico.
È importante precisare che allevamento a terra è una dicitura che trae in inganno: la ‘terra’ non è altro che la terra battuta che costituisce il pavimento del capannone, quello stesso capannone che non lascia mai trapelare aria e luce naturale e nel quale le galline sono così ammassate che non è possibile vederne nemmeno i pavimento!
Acquistando solamente uova di tipo ‘0’ quindi si dà un concreto segnale al mercato orientando la produzione verso sistemi eticamente più accettabili di quelli attualmente utilizzati e si salvano così milioni di galline da una vita di sofferenza (attualmente in Italia sono ben 40 milioni le galline che vengono allevate nei terribili sistemi in batteria!).
Nessuna persona che ama definirsi civile accetterebbe di nutrirsi di uova provenienti dagli allevamenti intensivi, questo è certo. Il problema sta nel fatto che la gente non conosce i fatti, non sa cosa siano realmente questi allevamenti; basterebbe visitarne uno per smettere di acquistare uova. Il consumatore viene costantemente ingannato, fuorviato, distratto da false informazioni e pubblicità ingannevoli.
Quanti spot mostrano bambini accompagnati dai nonni nella fattoria di famiglia dove gli animali vengono rispettati e lasciati pascolare liberi? Un certo numero. Quanti mostrano invece la realtà delle gabbie in batteria, dei capannoni sovraffollati? Nessuno. Questo è il primo elemento sul quale riflettere. Se davvero non ci fosse nulla di male - da un punto di vista etico e salutistico – non avrebbero problemi a mostrarci la realtà. Invece non lo fanno. L’obiettivo di chi vende questa merce chiamata ‘cibo’ è sempre quello di allontanare dagli occhi dell’acquirente la filiera produttiva, ossia tutto ciò che sta a monte di quella apparentemente innocua confezione sullo scaffale illuminato.
Perché quello che c’è a monte è solo cosa di cui vergognarsi.
Un’ultima osservazione che riguarda il prezzo: facendo qualche semplice raffronto tra una confezione di uova ‘0’ e una di uova ‘3’ vedrete una minima differenza di prezzo. Le uova 0 costano di più: è normale, sono più etiche, più genuine, più salutari e più naturali! Pagare quei pochi centesimi in più per un uovo è l’unico gesto, concreto, efficace e mirato, con cui possiamo veramente combattere queste crudeltà legalizzate e schierarci senza compromessi dalla parte di chi si rifiuta di alimentare un mercato altamente immorale.
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