di
Claudia Bruno
15-11-2010
Aung San Suu Kyi, la leader democratica birmana di opposizione, ha ritrovato la libertà sabato scorso per decisione del governo militare, a sei giorni dalle elezioni politiche che di fatto l'avevano esclusa. Ora non è chiaro quale sarà il suo ruolo politico a livello nazionale, ma c'è già chi ipotizza che dietro la liberazione e l'ondata di solidarietà globale che l'evento ha scaturito, si nasconda il gioco di una partita geopolitica tra occidente e Birmania.
Libera, dopo sette anni consecutivi di arresti domiciliari. Aung San Suu Kyi, la leader democratica birmana di opposizione ha ritrovato la libertà sabato scorso, a sei giorni dalle elezioni politiche del 7 novembre che l'avevano esclusa, per decisione del governo militare.
La leader democratica oggi è tornata a lavoro nella sede del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (LND), fondato da lei stessa nel 1989 dopo una violenta repressione dell'opposizione popolare contro il regime militare. Negli ultimi ventun'anni della storia della Birmania San Suu Kyi ne ha passati quindici agli arresti domiciliari come prigioniera politica, una vita di resistenza contro la giunta militare che le è valsa anche il Nobel per la Pace nel 1991.
"Non c'è ragione di perdere la speranza. Non vi smarrite" ha detto San Suu Kyi nel suo discorso pubblico ai cittadini ieri, il primo dopo un silenzio durato anni. Il principio che deve essere alla base di una democrazia, ha continuato, è la libertà d'espressione.
Adesso, però, non è ancora chiaro quale ruolo politico nazionale spetterà alla rappresentante della Lega per la democrazia, anche perché le elezioni ci sono state - e non a caso - pochi giorni prima della sua liberazione da parte del governo, che già nel '90 annullò la vittoria elettorale della LND.
'Riconciliazione' sembra comunque essere la parola al centro del programma politico della leader birmana: "Voglio lavorare con tutte le forze democratiche - ha detto infatti - voglio ascoltare la voce del popolo, e dopo decideremo cosa fare. Lavoreremo per un modello di vita più elevato". "Credo nello Stato di diritto - ha aggiunto anche - e nei diritti umani. Non nutro ostilità verso chi mi ha tenuto in arresto. Le guardie mi hanno trattato bene. Chiedo che il popolo sia trattato altrettanto bene"
Una vicenda, quella di Aung San Suu Kyi, che già fa discutere per la rilevanza che il sistema mediatico occidentale ha deciso di riservarle nelle ultime ore. Rimasta nell'oblio per anni, la leader d'opposizione birmana si trova ora ad incarnare le sembianze di una paladina mondiale della democrazia e non è un'esagerazione usare questa espressione dopo che Obama l'ha definita come "la sua eroina". Ma a più di qualcuno questa non sembra semplicemente un'ondata di solidarietà globale. La liberazione di San Suu Kyi aprirebbe infatti la strada a un dialogo strategico tra l'Occidente e la Birmania, soprattutto per quanto riguarda le sanzioni che impongono l'embargo da parte di Usa, Australia e Ue.