Bangladesh, l'ennesima strage di lavoratori

Oltre 380 corpi senza vita sono già stati estratti dalle macerie del Rana Plaza a Savar, nella regione di Dhaka in Bangladesh, crollato mercoledì scorso. Il fatiscente edificio era costituito da otto piani, quasi tutti occupati da aziende tessili con oltre 3000 operai e soprattutto operaie che producevano capi di abbigliamento per grandi marchi occidentali.

Bangladesh, l'ennesima strage di lavoratori
Oltre 380 corpi senza vita sono già stati estratti dalle macerie del Rana Plaza a Savar, nella regione di Dhaka in Bangladesh, crollato mercoledì scorso. Il fatiscente edificio era costituito da otto piani, quasi tutti occupati da piccole aziende tessili con oltre 3000 operai e soprattutto operaie tessili. Secondo le indagini il palazzo poggiava sull’area di uno stagno riempito con terreno friabile e secondo le autorità era privo di permessi regolari. Come hanno riferito i lavoratori sopravvissuti, i proprietari delle fabbriche del Rana Plaza non avevano mai dato peso agli allarmi sulle crepe sospette lanciati dagli operai, costretti a lavorare malgrado il pericolo. La polizia ha arrestato mentre cercava di scappare oltre frontiera il proprietario del Rana Plaza, accusato insieme ai titolari delle ditte di non aver fatto sgombrare il palazzo dopo la scoperta delle pericolose crepe sui muri, dovute anche all’innalzamento di un altro piano per ospitare ancora più operai. Mohammed Sohel Rana verrà processato con le accuse di costruzione pericolosa e responsabilità diretta nella strage. Due ingegneri, che hanno firmato senza verifiche le autorizzazioni, sono stati arrestati insieme ai capi delle fabbriche che non hanno voluto chiudere dopo l’allarme delle crepe. Contro i mancati controlli di sicurezza del governo, le opposizioni politiche hanno annunciato uno sciopero il prossimo 2 maggio, quando si saprà quante sono state davvero le vittime del crollo. Intanto continuano le manifestazioni dei lavoratori e dei parenti delle vittime del più grave incidente nella storia industriale del Bangladesh. I lavoratori morti e feriti stavano producendo capi di abbigliamento per grandi marchi occidentali. E proprio a questi ultimi si rivolgono ora gli attivisti della Campagna Abiti Puliti (sezione italiana della Clean Clothes Campaign), insieme con i sindacati e le organizzazioni per i diritti dei lavoratori attivi in Bangladesh e in tutto il mondo, per chiedere un intervento immediato. Riusciti ad accedere alle macerie del Rana Plaza, gli attivisti dei diritti umani hanno trovato  etichette e documentazione che collega alcuni grandi marchi europei a questa tragedia: la spagnola Mango, l’inglese Primark e l’italiana Benetton, oltre ad altri marchi italiani. “La gravità della situazione richiede un’assunzione di responsabilità immediata da parte dei marchi internazionali coinvolti, del governo e degli industriali bengalesi, che devono porre fine per sempre a tragedie come questa, l’ennesima per totale negligenza del sistema imprenditoriale internazionale”. È quanto ha dichiarato Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti. “Aziende importanti come la Benetton – aggiunge Lucchetti - hanno la responsabilità di accertare a quali condizioni vengono prodotti i loro capi e di intervenire adeguatamente e preventivamente per garantire salute e sicurezza nelle fabbriche da cui si riforniscono”. Il Bangladesh è il secondo esportatore di prodotti tessili al mondo. Nel Paese vi sono oltre 4.000 fabbriche che producono vestiti per i grandi marchi occidentali e che occupano più di 3 milioni di persone, il 90% donne, in condizioni di lavoro spesso disumane. Per soddisfare gli ordini di molte celebri ditte multinazionali, gli incidenti in Bangladesh sono sempre più frequenti. Secondo le stime dell’International Labor Rights Forum, oltre mille operai tessili hanno perso la vita in Bangladesh dal 2005 in incidenti causati dalle scarse condizioni di sicurezza dei laboratori. L' ultima tragedia si è verificata a novembre, quando 112 persone hanno perso la vita nel rogo della Tazreen Fashion Limited, a Dacca. Anche quella fabbrica riforniva aziende italiane. Secondo Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, “tragedie come questa mostrano la totale inadeguatezza dei sistemi di controllo e delle ispezioni condotte dalle imprese senza il coinvolgimento dei sindacati e dei lavoratori”. “Non possiamo continuare ad assistere ad un tale sacrificio di vite umane dovuto alla totale irresponsabilità di un sistema produttivo basato sulla competizione al ribasso. Le famiglie delle vittime e i feriti rimaste senza reddito e supporto ora hanno diritto a cure adeguate e risarcimento appropriato da parte delle imprese coinvolte per gli irreparabili danni subiti, oltre a giustizia immediata e assunzione di responsabilità da parte di tutti colore che dovevano prevenire questa carneficina”. Per mettere fine a questi incidenti, la Clean Clothes Campaign esorta i marchi che si riforniscono in Bangladesh a firmare immediatamente il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement. Insieme con i sindacati locali e globali e le organizzazioni per i diritti dei lavoratori, la Campagna Abiti Puliti ha messo a punto un programma specifico di azione che include ispezioni indipendenti negli edifici, formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica e revisione strutturale delle norme di sicurezza. L'accordo è già stato sottoscritto lo scorso anno dalla società statunitense PVH Corp (proprietaria di Calvin Klein e Tommy Hilfiger) e dal distributore tedesco Tchibo. “È il momento che tutti i principali brand del settore si impegnino per garantirne una rapida attuazione. Il programma può salvare la vita di centinaia di migliaia di lavoratori attualmente a rischio in fabbriche insicure e costruite illegalmente”.

Commenti

leggere toccante articolo in proposito di vijaj prashad(counterpunch.org)trad.in italiano su comedonchisciotte
gigi, 01-05-2013 12:01

Lascia un commento


Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.