Elogio del niente

Cosa accade quando lo "scollocamento" è forzato e non è una scelta? Cosa accade quando il lavoro che si perde è stato un pilastro? Cosa accade quando le relazioni giungono a una fine necessaria? Cosa accade quando qualche amico cui si tiene si allontana perché non ti riconosce più? Chi di noi non ha vissuto almeno una volta nella vita una esperienza simile? Chi di noi non si è mai sentito sul baratro per poi capire che il baratro, il niente, il vuoto non sono insostenibili come si credeva? Ecco, allora, una esortazione, una riflessione, uno spunto, un'àncora per chi in quel vuoto c'è adesso. Perché... nessun cambiamento arriva per caso o invano. In questi momenti in cui tanti si trovano in crisi o in difficoltà, è bene tenere a mente poche cose, ma sincere.

Elogio del niente

Perdere tutto. Tutto ciò su cui si basava la tua vita. O almeno credevi che così fosse. Non c'è più nulla di quei tre o quattro sostegni che avevi faticosamente costruito. Sgretolati in meno di un istante. Ti aspetteresti che tutto crollasse. Non aspetti altro. A sostenere la tua vita adesso c'è il niente.

Il niente si sfugge, si rifiuta, non si accetta, si teme come la peste. Il niente è il fratello del vuoto, della mancanza tagliente, amico spudorato della tua paura.

Il tempo del niente è il tempo che temevi, quello necessario a liberarti, è quello che scorre lentamente fissandoti negli occhi. Quello che una volta arrivato, esiste. E non puoi che viverlo.

Il niente ti fa sprofondare nell'ignoranza di te stessa. E inizia la conoscenza autentica, quella dolorosa, quella degli abiti e delle abitudini che indossavi furtivamente, quella dell'essere quello che facevi, quella stesa al sole della tua paura ed esposta al vento delle dicerie degli untori di turno.

Eppure è un viaggio verso la sorgente, un ritorno che riconosci a tratti, che non ti risparmia ferite, che non ti applaude ma neppure si accanisce, non ti loda ma neppure giudica quello che sei, frantumandoti in pezzi da battezzare come fragilità, insicurezze, difetti e lati oscuri. Per il niente sei semplicemente intera. E mentre scompari nel suo buio riemergi alla luce dell'inizio, cominci a ricomporre quel senso che più volte hai sfiorato senza afferrarlo. Perché non c'era.

Sei tu stesso il niente. E ne scopri gli innumerevoli vantaggi, le lusinghe, la sana leggerezza dello smettere la pelle del ruolo-serpente in cui eri imprigionata. E la guardi allontanarsi da te quella pelle morta, sbiadita di toni di grigio, sul ciglio della strada che hai battuto, accartocciata e inerte, pronta a dissolversi come mai esistita. Quasi a tornar facile polvere ai raggi del primo sole, a disperdersi arresa al soffiare del primo vento.

Così ti accorgi che puoi persino rinunciare a tutti i tuoi nomi. Che quanti più ne disconosci tanto di più sarai. Puoi rinunciare alla ricerca di quel senso perché non ce n'è più bisogno: sei tu il senso, è il presente il senso, è la vita il senso. E' solo l'orrore che ti faceva chiedere il senso, la paura, il dolore, il senso di sconfitta, la sensazione del non vivere ha bisogno del senso. Quando la vita sta da un'altra parte ti metti a cercare il senso.

Il niente è pastoso, plastico, della tua stessa profondità, del tuo stesso calore, della tua esatta misura. Il niente è il tuo mezzo di contrasto, dove finalmente e senza trucchi appari a te stessa.

Il niente ha una sua struttura portante, una sua forza dirompente che scopri solo quando smetti di averne terrore. Non c'è arrivo senza una successiva e improvvisa ripartenza. Dal niente.

Rimane solo l'esistenza, il nocciolo, il nucleo essenziale, quello utile, l'unico necessario. Dove abita l'amore, la fiducia, il vuoto ad aprirsi, lo scorrere della nostra natura primaria. Solo dal niente ci si può ricostruire e solo al niente possiamo anelare per essere quanto più possibile noi stessi. Felici.

Il niente ha il valore dei nostri bisogni che affamiamo con i nostri obiettivi irraggiungibili, inutili il più delle volte, che ci fanno stare male perché non sono i nostri ma solo imposti da ciò che ci gira intorno, da ciò che noi stessi abbiamo creato e credevamo vero ma non ci rispetta e non ci riconosce.

Abbiamo bisogno periodicamente del niente affinché possiamo accorgerci dell'insostenibilità del tutto, del tanto, del troppo che soffoca le nostre vite, che corrode la nostra lucidità e ci sottomette a modi che ci trattengono, ci trasformano, nutrono le nostre malattie. Malattie del tanto, del troppo.

Il niente non è la fine. E' solo l'inizio della gratitudine a chi ci ha vinto. E' l'inizio di un viaggio difficile, necessario, senza sconti per nessuno né aspettative a sostenerci. E' solo aver preso al volo l'opportunità di essere più autentici, più veri, più ridimensionati in ciò che abbiamo e ciò che avremo ma senza più confini a delimitare ciò che siamo e ciò che autenticamente vogliamo essere.

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Commenti

io penso che la verità stia nel mezzo,avere troppo o troppo poco è ugualmente deleterio,rimanere improvvisamente senza casa,senza un lavoro a 50 anni e con figli da mantenere non è salutare,è un dramma.Questo articolo mi sembra scritto da una persona che il suo stipendio ce l'ha,e che per fortuna non conosce il dramma della povertà,povertà a cui sempre più persone stanno arrivando.La via di mezzo,quella che ci permette di vivere una vita dignitosa,è l'unica che riconosco come auspicabile,per quanto mi riguarda.
claudia, 12-02-2016 11:12
Ciao Claudia. Questo articolo è scritto proprio, invece, da chi uno stipendio non ce l'ha più. Perdere il lavoro, avere 50 anni e dei figli da tirar su è, come dici tu, un dramma. Ma non è solo questo. Se a questo si aggiunge il reset delle relazioni diventa ancora più profondo. Tuttavia, non è ancora solo deleterio come dici. Il niente che ci pervade in certi momenti è una terra fertile che non abbiamo il coraggio di guardare perché troppo presi dal dramma. Il niente è un'opportunità di riordino, di pulizia estrema, di luce, di verità, di riscoperta. Per poi ripartire ma su basi diverse. Se queste esperienze così impegnative non mi avessero insegnato che il buio ha un significato di profondo rinnovamento non ne avrei mai parlato. Il niente ha molto da insegnare. A patto che, naturalmente, sia temporaneo e non permanente. MA sono riflessioni che non pretendo siano condivise da tutti. Sul resto sono d'accordo a patto che non si scambi la sobrietà per povertà.
marica spagnesi, 13-02-2016 09:13
Tutta la vita ho vissuto con poco per scelta,ho 58 anni,sono cresciuta durante il boom economico, sono stata circondata da troppo,troppo di tutto,ma ho imparato tanto dalla frugalità,c'è stato un periodo in cui mangiavo così poco(per scelta) da avere esperienze che oserei chiamare mistiche,ho scelto di guardare dentro me stessa,perchè li c'era un tesoro,sono stata fortunata,la maggior parte delle persone che conoscevo si è persa nel consumismo,avevano di tutto, ma non erano mai davvero gioiose,quindi conosco la ricchezza e il mondo che si cela se si ha il coraggio di abbandonare quasi tutto,o tutto.Ma quando non si è più soli,se si hanno dei figli,come me che ho avuto una bambina,ammalata spesso, sarei stata disperata nel vederla soffrire fisicamente per non avere i soldi x le cure,e per lei ho cercato un lavoro e una casa.Io,come ogni mamma posso soffrire e resistere,ma vedere i figli soffrire la fame,o il freddo,è qualcosa che ti distrugge,per questo credo che la via di mezzo,sia la più giusta.Poi sono d'accordo con te che se ci si ritrova in una situazione drammatica non bisogna lasciarsi andare alla disperazione e cercare soluzioni.Grazie per avermi risposto.ciao
claudia, 15-02-2016 10:15
Credo che la questione è "riconoscersi in quello che si fa" e erroneamente credere di esserlo, e "non riconoscersi più quando non c'è più l'obbligo di fare" e sentirsi smarriti. Purtroppo la vita moderna è molto codificata e strutturata in modo da ingabbiarti "piacevolmente" nei suoi binari. Uscire dai binari, volontariamente o no, spaventa e disorienta. Vivere il niente, quando si prende consapevolezza di farlo e non lo si subisce solo come una trauma, credo sia un'esperienza sorprendente che può portare una profonda comprensione di se stessi. Sempre che si sia dotati della necessaria sensibilità.
Andrea, 15-02-2016 03:15

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