La Commissione europea è tornata a richiamare l'Italia affinché conformi alle norme UE le procedure nazionali in materia di efficienza energetica degli edifici e contribuisca agli obiettivi comunitari in materia di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2020.
Italia di nuovo nel mirino dell'esecutivo UE. La Commissione ha inviato al governo un parere motivato in cui denuncia l'insufficienza della legislazione nazionale volta ad incrementare il risparmio energetico e a ridurre le emissioni inquinanti prodotte dagli edifici.
Già destinataria nel novembre 2010, insieme alla Spagna, di un primo monito da parte di Bruxelles per l’inosservanza della norme sul rendimento degli edifici, l'Italia risulta ancora inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dalla Direttiva 2002/91/CE.
Attualmente agli edifici si deve il 36% delle emissioni di CO2 dell’Unione e il 40% del consumo di energia; la direttiva ha l'obiettivo di ridurre gli sprechi introducendo una serie di prassi che permettono di controllarne e migliorarne l'efficienza.
In particolare, la legislazione vincola gli Stati membri a stabilire una metodologia per il calcolo delle performance energetiche degli edifici e una serie di requisiti minimi di rendimento, sia per gli immobili di nuova costruzione che per quelli esistenti, se di metratura superiore a 1000 mq e sottoposti a ristrutturazioni significative.
Ogni immobile, alla costruzione, ma anche in caso di compravendita o locazione, dovrebbe poi essere accompagnato da un certificato di rendimento energetico che informi il nuovo proprietario o inquilino dei consumi dell'edificio.
Tali attestati di certificazione energetica (ACE) devono essere rilasciati con l'intervento di esperti qualificati indipendenti e fornire indicazioni circa possibili metodi per ridurre i consumi.
In virtù del crescente utilizzo degli impianti di condizionamento dell'aria e della necessità di monitorare il funzionamento e i consumi delle caldaie, la direttiva chiede infine ai Paesi membri di istituire un sistema di ispezioni periodiche per il loro controllo.
In Italia la legislazione comunitaria è stata recepita con l'approvazione del Decreto Legislativo n. 192 del 19 agosto 2005. La Commissione, tuttavia, ne contesta la piena conformità alle indicazioni comunitarie e quindi la capacità di contribuire agli obiettivi ambientali comuni.
In particolare Bruxelles giudica inadeguato lo strumento dell'autocertificazione dell'efficienza energetica, introdotto nel 2009 dalle Linee Guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici, cui è possibile ricorrere se si dichiara che l'immobile in questione, di superficie inferiore o pari a 1000 mq, appartiene alla classe energetica G, quella a più alto consumo, e che i costi per la gestione energetica sono molto elevati.
Inoltre, nel caso dei contratti di locazione, gli ACE sono obbligatori solo per gli immobili di nuova costruzione, e non per quelli già esistenti come prevede la direttiva UE.
Infine, per quanto riguarda il controllo delle caldaie e degli impianti di condizionamento, non è stato introdotto alcun obbligo e i cittadini sono per lo più ignari delle soluzioni che consentirebbero loro di inquinare e spendere meno.
L'Italia ha ora a disposizione due mesi di tempo per adeguare la propria legislazione alle attese della Commissione, che in caso contrario potrebbe rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Unione europea e ottenere l'applicazione di una sanzione pecuniaria.
Un rischio che già si prospetta, tra l'altro, in relazione alla questione dei rifiuti in Campania, oggetto - con l'invio, lo scorso 29 settembre, di una lettera di messa in mora da parte di Bruxelles - di una nuova procedura di infrazione alle normative ambientali.