di
Virginia Greco
22-06-2011
Mentre è chiaro quasi a tutti che la produzione di energia nucleare da fissione è una tecnologia ormai vecchia e che presenta troppi effetti collaterali, si diffonde la curiosità sulla fusione nucleare a bassa energia, che potrebbe aprirci ad un futuro libero dalla schiavitù da fonti fossili ed emissioni di gas serra. Sogno scientifico o realtà futuribile?
In un momento in cui si parla tanto di nucleare, a partire dall’incidente presso le centrali giapponesi di Fukushima fino al referendum che ha visto gli italiani esprimersi per la seconda volta in merito a questo tema, potrebbe tornare in auge la ricerca nell’ambito di un’altra forma di energia nucleare, pulita e priva di rischi, ossia quella proveniente da reazioni di fusione.
La cosiddetta fusione fredda ha di nuovo fatto parlare di sé all’inizio di quest’anno, quando Andrea Rossi, filosofo con la passione per l’ingegneria e una grande inventiva, e Sergio Focardi, professore emerito di fisica presso l’Università di Bologna, hanno annunciato di aver realizzato un piccolo reattore, da loro chiamato catalizzatore di energia, che è in grado di produrre energia da fusione fredda a partire da idrogeno e nichel.
A questo proposito occorre ricordare che esistono due fenomeni che conducono alla produzione di energia tramite reazioni nucleari: la fissione e la fusione. Nella prima, quella sfruttata nelle attuali centrali, nuclei di elementi pesanti decadono in nuclei più leggeri, liberando grandi quantità di energia (nonché scorie e radiazioni ionizzanti, letali per gli esseri viventi). Normalmente vengono utilizzati isotopi di uranio e plutonio, bombardati da neutroni.
La fusione si basa su un principio diverso: due nuclei di elementi leggeri si uniscono (fondono) dando origine ad un nucleo più pesante instabile, che a sua volta decade in elementi più leggeri, emettendo energia. Se si riuscisse a realizzare in modo controllato, la fusione permetterebbe di generare energia in quantità pressoché illimitata, senza emettere gas nocivi (e gas serra) e con una produzione di scorie nulla o estremamente limitata.
La difficoltà nell’innescare la fusione sta nel fatto che i nuclei, entrambi carichi positivamente, si respingono, quindi non entrano mai in contatto abbastanza ravvicinato da fondersi insieme. Tale avvicinamento può essere realizzato in regime di altissime temperature e pressioni. In questo caso si parla di fusione calda (o meglio, termonucleare): essa evidentemente non è vantaggiosa, in quanto richiede impiego di molta energia per creare le condizioni di innesco.
La fusione fredda (alla quale sarebbe più corretto riferirsi come “reazione nucleare a bassa energia”), invece, è una fusione in cui la reazione si genera a temperature di poco superiori a quelle ambientali, partendo da isotopi dell’idrogeno, quali il deuterio e il trizio (ossia atomi di idrogeno il cui nucleo contiene uno o due neutroni in più).
Sebbene gli esperimenti su questo processo nucleare siano iniziati più di trent’anni fa, a tutt’oggi non si ha una grossa conoscenza di tali fenomeni e, soprattutto, una riproducibilità affidabile dei risultati. I primi ad annunciare di aver prodotto energia da fusione nucleare a bassa temperatura furono due chimici, Fleischmann e Stanley, i quali nel 1989 realizzarono una cella elettrolitica che generava energia a partire da deuterio e palladio.
Da allora la fusione fredda ha avuto sorti alterne: gli esperimenti realizzati sono stati vari, alcuni hanno prodotto risultati positivi, ma molti invece esito negativo. In generale la scarsa riproducibilità degli esperimenti, la difficoltà di effettuare misurazioni precise, la mancanza di evidenze schiaccianti, hanno fatto sì che l’interesse scemasse e che, anzi, un certo discredito in campo accademico segnasse negativamente le ricerche sui processi nucleari a bassa energia. Qualcuno ha anche ipotizzato che le lobbies delle fonti fossili e del nucleare tradizionale remassero contro questo tipo di ricerca, ostacolandone lo sviluppo.
Ciò nonostante, piccoli gruppi di ricercatori hanno continuato ad interessarsi a questa branca della fisica, sviluppando nuovi esperimenti. Ed alcuni hanno cercato anche di mettere a punto delle teorie che spiegassero il fenomeno: a tal proposito particolarmente importante è il lavoro di un fisico teorico italiano, Giuliano Preparata.
Il dispositivo realizzato da Rossi, con la collaborazione di Focardi, sarebbe in grado di produrre una quantità di energia almeno 20 volte superiore a quella impiegata per la sua messa in funzione, tramite un processo di fusione nucleare tra nichel e idrogeno. Tali componenti, insieme ad altri additivi che svolgerebbero la funzione di catalizzatori, agiscono in una camera di reazione grande poco più di una stufetta elettrica.
La camera è posta in contatto termico con un recipiente contenente acqua ed isolato dall’esterno. Quando la reazione si innesca, la temperatura cresce e di conseguenza l’acqua si scalda fino a diventare vapore. Come noto, il vapore può essere utilizzato per far ruotare una turbina e questo consentirebbe di sfruttare tale processo per generare energia elettrica.
L’elemento di eccezionalità sta nel fatto che, in condizioni stazionarie, l’energia in uscita (ossia il calore prodotto) risulta essere molto maggiore di quella in entrata, cioè di quella impiegata per innescare la reazione. L’energia prodotta è troppo elevata perché si possa trattare di un normale processo chimico, mentre il consumo di materia prima è bassissimo. Ciò induce a credere che si abbia a che fare con una reazione di natura nucleare.
I due autori hanno tenuto delle presentazioni ufficiali all’inizio di quest’anno, a Bologna, alla presenza di esperti italiani prima e stranieri poi, i quali hanno potuto osservare il fenomeno e fare delle misurazioni, senza però poter sapere nel dettaglio come il dispositivo fosse realizzato, in quanto coperto da segreto industriale. Persino il professor Focardi è all’oscuro di quale siano gli additivi catalizzatori impiegati nel processo.
Durante uno di questi esperimenti pubblici, durato circa un’ora e mezza, a fronte di un consumo di 600Wh di energia, ne sono stati prodotti 12mila in uscita. Gli astanti hanno potuto vedere la produzione di vapore acqueo in seguito all’attivazione della reazione e misurare temperature ed emissioni.
Secondo quanto affermato da Rossi, la fase di sperimentazione è conclusa da tempo e anche quella di industrializzazione è ormai a buon punto, tanto che, promette l’inventore, entro la fine dell’anno una centrale da 1 milione di Watt (1MW) termico di potenza sarà realizzata ad Atene, dalla società greca Defkalion Green Technologies S.A.
Un centinaio di esemplari del dispositivo mostrato negli incontri pubblici sono stati già prodotti a Miami, dalla Leonardo Corporation fondata dallo stesso Rossi, e saranno venduti in Europa e negli USA. “L’apparecchiatura costa duemila dollari (1300-1400euro) per kilowatt di potenza installato [1] mentre l’energia prodotta costerà meno di 1 centesimo a kilowattora”, dichiara Rossi.
Nonostante il dispositivo sia stato presentato agli occhi di esperti e appaia funzionante (ossia effettivamente in grado di produrre molta più energia di quella impiegata per metterlo in azione), ciò che rende gli scienziati ancora un po’ scettici è la mancanza di una soddisfacente spiegazione teorica del processo in atto.
“Perché questa produzione di energia in eccesso avvenga non lo sappiamo realmente, per ora l’abbiamo solo ipotizzato”, affermano Rossi e Focardi.
I fisici interessati al fenomeno vorrebbero poter riprodurre l’esperimento in laboratorio e studiarlo a fondo. La cosa che li lascia più perplessi è l’assenza di tracce di quelli che dovrebbero essere i prodotti della reazione nucleare supposta, in particolare le radiazioni gamma.
Del resto in campo scientifico, prima di proclamare una scoperta, occorre effettuare molti esperimenti e misurazioni, riprodurli in maniera indipendente (ad opera di gruppi diversi ed eventualmente in laboratori differenti), fino a giungere a conclusioni univoche ed evidenti (secondo parametri stabiliti dalla prassi della ricerca).
Purtroppo ciò non è al momento possibile perché l’architettura del dispositivo e la formula chimica degli additivi utilizzati sono coperti da segreto industriale e commerciale. Rossi ha avviato la richiesta del brevetto. Se esso venisse concesso, tali dettagli tecnici potrebbero essere svelati. Ma la procedura sta incontrando alcune difficoltà [2].
Una grande rivoluzione in campo energetico è alle porte? Sarebbe un evento straordinario, ma nella scienza occorre procedere in maniera molto cauta, perché gli abbagli sono un rischio da non sottovalutare. Troppo presto per lasciarsi prendere da entusiasmi, dunque.
Al di là degli sviluppi di questa invenzione, che vedremo nel prossimo futuro, è il caso di ricordare che tutte le tecnologie sono 'limitate': possono risolvere dei problemi, ma presentano sempre anche degli effetti collaterali. Le risorse non sono infinite e le tecnologie non producono miracoli: il risparmio e la riduzione degli sprechi restano gli obiettivi principali. Bisogna essere utilizzatori (sobri), non consumatori.
1. Un’abitazione di medie dimensioni per un consumo medio ha bisogno di 2 o 3 kW di potenza installati.
2. Maggiori informazioni riguardo alle dimostrazioni pubbliche, la storia passata di Andrea Rossi e la commercializzazione del catalizzatore di energia, si possono trovare in un ottimo servizio realizzato da RaiNews24
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