di
Giuliano Serioli
29-08-2013
"Boschi come groviere e strade sfondate dai camion, che portano via la legna dei tagli". Giuliano Serioli della Rete Ambiente Parma denuncia le condizioni attuali delle montagne italiane e, al fine di evitare la rovina del nostro Appennino, sostiene la necessità di un piano di tagli programmati che rispetti la rinnovabilità dei boschi.
Salendo in auto per le nostre valli ci si accorge della rovina delle strade. Si pensa che la causa sia il dissesto idrogeologico, le frane che hanno colpito la nostra montagna, le piogge della primavera, ma non è solo tutto questo. Più si prosegue e più è chiaro che le strade sono letteralmente sfondate. Il piano stradale in molti punti presenta conche e avvallamenti che solo un traffico costante di mezzi pesanti può provocare.
Si sale ancora e ai lati delle strade slarghi e piazzole colmi di legna tagliata. In certi punti le cataste di legna contornano ininterrottamente la strada. Si alzano gli occhi al bosco e si vedono grandi buchi nel verde, su pendenze che sconsiglierebbero un taglio così massivo, che lascia praticamente denudati i terreni, in balia del dilavamento delle acque, quando giungeranno le piogge.
È questo il paesaggio attuale della nostra montagna, boschi come groviere e strade sfondate dai camion, che portano via la legna dei tagli. Qualche amministratore sostiene le tesi dei tagliatori.
“L'abbandono dei boschi è palese e non è positivo. Lo denunciano i roghi estivi, che spesso derivano proprio da autocombustione degli arbusti abbandonati nel sottobosco. Una politica delle comunità montane che possa permettere la nascita di qualche centrale a biomassa che permetta la produzione di elettricità e di teleriscaldamento non farebbe male e permetterebbe di monitorare e tenere puliti i boschi, garantendo la giusta turnazione delle piante, la pulizia del sottobosco ed in ultimo ma non meno importante garantire lavoro a territori che continuano a spopolarsi a causa di mancanza di lavoro”.
Si potrebbe rispondere che i roghi estivi per autocombustione accertati in Italia si possono contare sulle dita di una mano, il restante è dato da incendi dolosi dettati da interessi vari e in più dall'incuria di chi opera pulizie del sottobosco con il fuoco che gli sfugge. Ma sollevare il problema degli incendi boschivi nel nostro Appennino è solo un pretesto, come del resto parlare di pulizia del bosco. Discorsi che servono solo a far passare la speculazione dei tagli senza alcuna limitazione e a far accettare centrali a cippato di legna nei borghi.
Quasi mai le condizioni di rinnovabilità vengono valutate e rispettate. Si ha l'impressione che ci stiamo letteralmente mangiando i nostri boschi. Se il prelievo sarà folle come per altri combustibili a chi ci segue lasceremo una copia dell'isola di Pasqua.
Sarebbe utile leggere i regolamenti forestali dove si possono leggere i tempi per le turnazioni del taglio della legna nelle zone montuose. Sono tempi lunghi e lunghissimi rapportati alle aspettative del taglio economico. Questo permette a chiunque di rendersi conto quanto sia importante la sostenibilità di un prelievo regolamentato e non dettato dalla speculazione.
Invece oggi è la speculazione sulla legna da ardere che la fa da padrona. Senza un piano di tagli programmati che rispetti la rinnovabilità dei boschi, la proprietà privata e una legge che non pone alcun vincolo, se non quello dei 6 ettari massimi contigui tagliabili, porteranno al disastro il nostro Appennino.
Una montagna non solo sempre meno abitata e senza un'economia, ma spelacchiata al punto che non si potrà nemmeno più ipotizzare una ripresa del turismo. Vi è l’opinione diffusa che le caldaie a cippato possano essere alimentate anche solo con cippato proveniente da scarti di potatura urbana, di potatura ripariale o con le ramaglie abbandonate nei boschi dai tagli economici.
Occorre precisare che ciò non sia vero: le ramaglie in generale e quindi anche gli scarti di potatura urbana composti per lo più da rami e rametti di piccole dimensioni formano un cippato troppo ricco di corteccia, che produrrebbe nelle caldaie problemi di combustione e più ancora la produzione di un quantitativo di ceneri troppo elevato. Per questi motivi le ramaglie possono comparire nel cippato solo in percentuali non superiori al 30% rispetto alla frazione di cippato composto da tronchi e parti legnose di maggiori dimensioni.
Più ceneri significa anche emissioni in aria delle stesse proporzioni: ossidi di azoto, particolato, ossidi di metalli pesanti e diossina e malfunzionamento della combustione stessa, perché il cippato di corteccia è più umido e provoca un minor rendimento della centrale.
Il sistema più utilizzato per la depurazione fumi di una centrale a cippato è il ciclone o multiclone. che funziona in questo modo: il gas di scarico viene fatto passare in un condotto conico in cui, per effetto della forza centrifuga sviluppata da aria forzata, si ha il deposito delle particelle sulle pareti del ciclone e per la forza di gravità queste precipitano sul fondo dove in seguito vengono raccolte. Queste ceneri, a differenza di quelle sotto brace grossolane, sono ceneri polverose e contengono in maggior quantità metalli pesanti nocivi (piombo, zinco e cadmio).
In uscita, il gas che va al camino risulta ancora inquinato da particelle di piccole dimensioni che il sistema non riesce a separare. Le emissioni con elevate quantità di polveri sottili sono il principale problema dei biocombustibili solidi, delle biomasse legnose in particolare. Un recente studio, condotto con i criteri di analisi dei cicli di vita (LCA) ha stimato che, in un impianto di teleriscaldamento, il passaggio dal gas naturale al gas prodotto dalla combustione e gassificazione del cippato di legna aumenterebbe di 6,2 volte l’impatto di inquinanti con significativi effetti sulla salute.
Anche l'economia del taglio di legna non porta vantaggio alla montagna. Ogni ettaro sottoposto a taglio raso o con novellame ha prodotto quest'anno circa 13.000 euro.
Mille euro al proprietario del bosco, che può essere un anziano del posto ma nei due terzi dei casi è una persona che sta in città ed ha la seconda casa con terreno. Cinquemila euro vanno a chi taglia, che può essere un boscaiolo o uno del posto ma anche uno coi soldi che fa tagliare in nero da altri.
Per chi taglia ci sono da considerare però le spese per materiali, trattore e altri mezzi meccanici.
Il rimanente va a grossisti della pedemontana che rivendono la legna al minuto.
Più o meno, il 75% del denaro proveniente dai tagli non resta in montagna, va in pianura, in città o altrove. Va anche alle ditte che producono mezzi meccanici e di taglio. Senza un progetto di tagli programmato, la nostra montagna sarà spelacchiata dalla speculazione, preda del dissesto idrogeologico e sempre più povera e abbandonata.