La conferma arriva dalla Rivista Italiana della Difesa che cita il Documento Programmatico Pluriennale (DPP) per la Difesa per il triennio 2015 – 2017 presentato dal ministro Pinotti al Parlamento. La prima tranche, secondo quanto dice la RID, sarà di 38 F35 da acquistare entro il 2020.
«Dopo quella data, il programma verrà ulteriormente rimodulato, per un efficientamento complessivo della spesa, ma l'impegno all'acquisizione di 90 velivoli complessivi al momento resta». E ancora: «Nel corso di quest'anno al programma andranno 582,7 milioni di euro: 260 milioni per acquisizioni e supporto logistico, 66 per le predisposizioni e gli adeguamenti infrastrutturali ed altri 233 milioni di euro per il consolidamento dei ritorni industriali pianificati. Ad oggi, l'Italia ha contrattualizzato l'acquisto di 8 velivoli – 3 dei LRIP (Low Rate Initial Production) 6-7 e 2 del LRIP-8. Sei velivoli sono già in produzione nello stabilimento di Cameri ed uno a già effettuato il roll-out in vista della consegna entro l'anno all'Aeronautica. Quest'anno è prevista la firma dei contratti LRIP 9 e 10. Il LRIP 9 dovrebbe prevedere per l'Italia l'acquisizione di 2 aerei, di cui il primo in variante a decollo corto e atterraggio verticale STOVL».
Poi si va alla pagina 144 del documento e si legge che ci sono «oneri complessivi stimati per circa 10 miliardi: completamento previsto 2027».
Nel settembre 2014 la Camera aveva approvato una mozione che impegnava il governo «a riesaminare l’intero programma F35 per chiarirne criticità e costi con l’obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto». Ebbene, quella mozione non è servita a nulla e la decisione suona come una beffa nei confronti di chi, come la Rete Disarmo con la campagna Taglia le ali alle armi, si è impegnato per contrastare l’emorragia di denaro pubblico in questa direzione.
Avanti tutta, allora, con i cacciabombardieri. Il documento parla di «rispetto delle mozioni» e di «notevole diminuzione» della spesa per gli F35: ma è quella che aveva già fatto 3 anni fa l’ex ministro della difesa Giampaolo Di Paola portando il numero dei bombardieri da comprare da 131 a 90. E poi? Nulla. O tutto, secondo i punti di vista.
Ne esce sconfitta la grande campagna Taglia le ali alle armi. «L’obiettivo era ed è quello del disarmo con una forte riduzione delle spese militari al fine di arrivare ad una difesa rispondente al nostro dettato Costituzionale che prevede il ripudio della guerra per la soluzione delle controversie internazionali – si legge nel documento della campagna - Per rispondere alla seconda parte dell’articolo 11 della Costituzione, cioè promuovere le organizzazioni internazionali che assicurino la pace e la giustizia tra le nazioni, occorre creare corpi di polizia affiancati da corpi civili di pace in ambito sia di Nazioni Unite che di Unione Europea. L’alternativa, come in tutte le cose c’è, non è vero che se non vogliamo l’F35 non vogliamo difenderci o vogliamo declassare il prestigio del nostro Paese. Dove sta scritto che il prestigio internazionale derivi dallo sfoggiare portaerei e cacciabombardieri, dove sta scritto che l’eccellenza ci deve essere solo in campo militare (perché non in quello sanitario). Ci dicono che dobbiamo rispettare gli impegni internazionali, ma non ce lo dicono quando non lo facciamo per la cooperazione allo sviluppo, dove siamo il fanalino di coda dei paesi donatori. Ma l’F35 lo abbiamo preso di mira anche perché è l’esempio palese di come in nome della “difesa della nazione” si sperperano soldi pubblici che arrivano dalle tasche di noi contribuenti. Quindi un discorso che va oltre le questioni della difesa o dell’etica della pace, ma riguardano l’amministrazione del bene pubblico».
«Soprattutto in un momento come questo, di grave crisi economica e finanziaria, di cui pagano le conseguenze le fasce più deboli della popolazione –si legge ancora - è necessario ripensare il nostro modello di difesa, il ruolo internazionale dell’Italia e la dimensione delle Forze Armate. Sono state colpite le spese sociali, i trasferimenti agli enti locali, gli stanziamenti per l’ambiente, ma le spese militari sono state solamente sfiorate. Si tratta di porre questo problema non solo in ambito italiano, ma in un contesto europeo. E’ necessario avviare una politica di disarmo su scala europea ed ottimizzare risorse e mezzi di paesi che comunque agiscono come alleati nelle missioni internazionali di pace. Ed é tempo che il nostro paese si dia una politica di pace e non solo di disarmo: per questo chiediamo maggiori finanziamenti alle politiche pubbliche di cooperazione allo sviluppo fino allo 0,7% del PIL -come richiesto anche dalle Nazioni Unite in numerose occasioni- e poi un ruolo delle Forze Armate all’estero rigorosamente rispettoso dell’art. 11 della Costituzione (L’Italia ri- pudia la guerra) e della Carta delle Nazioni Unite: autentiche missioni di pace e non interventi militari camuffati da missioni umanitarie. Si tratta anche di spezzare il persistente connubio di interessi tra industria militare, commesse pub- bliche e Forze Armate, che tante vicende oscure ha causato, come dimostra anche la storia di Finmeccanica. Accentuare i controlli sul commercio e traffico delle armi e sostenere con maggior forza i processi di riconversione dell’industria militare sono per noi due importanti priorità».
Volete protestare? Fatelo scrivendo a:
Ministero della Difesa
Palazzo Baracchini
Via XX Settembre 8 - 00187 Roma
Oppure telefonando allo 06-4882126 o scrivendo una mail a segreteria.ministro@difesa.it
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