Il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di Enel contro Greenpeace per la campagna contro l’utilizzo del carbone da parte dell’azienda. Secondo il Tribunale anche l’uso del logo dell’azienda rientra nel diritto di critica e non ha alcuna motivazione o tornaconto commerciale.
Il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di Enel contro Greenpeace per la campagna contro l’utilizzo del carbone da parte dell’azienda. Secondo il Tribunale anche l’uso del logo dell’azienda rientra nel diritto di critica e non ha alcuna motivazione o tornaconto commerciale. L’azienda elettrica, infatti, accusava l’associazione ambientalista di fare raccolta fondi utilizzando la campagna contro l’uso del carbone da parte di Enel, e, accusa ancora più bizzarra, di voler preparare il terreno per l’ingresso nel mercato italiano di una cooperativa di produttori di rinnovabili tedesca, Greenpeace Energy.
Due i materiali della campagna portati all’attenzione dei giudici: le “bollette sporche” distribuite dai volontari di Greenpeace a centomila famiglie, riportanti i danni sanitari della produzione elettrica da carbone di Enel (equivalenti a un morto al giorno); la finta copia del giornale Metro con una falsa pubblicità di Enel che annuncia finalmente di voler abbandonare il carbone. La produzione elettrica da carbone di Enel ha raggiunto nel 2012 il 48.5% del totale.
“Gli argomenti usati da Enel non stavano in piedi da nessun punto di vista – dichiara Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia. – Questa sentenza, che segue una analoga sentenza del Tribunale civile di Roma dello scorso luglio, ribadisce che il diritto di critica è inalienabile e che l’uso di loghi aziendali in campagne di critica con motivazioni fondate è legittimo”. La sentenza inoltre aggiunge che gli obiettivi di Greenpeace non hanno alcuna natura 'commerciale'.
Greenpeace ha condotto molte campagne utilizzando loghi aziendali, sia in Italia che all’estero, con l’obiettivo di cambiare le politiche ambientali e industriali di grandi aziende. “In molti casi queste campagne si trasformano in collaborazioni con le stesse aziende per rendere più verdi i loro cicli produttivi. Lo abbiamo fatto con grandi case editrici, aziende agroalimentari, multinazionali della moda e automobilistiche. Ma è più difficile che questo accada con giganti energetici e delle fonti fossili per la più lunga inerzia degli investimenti in questo campo. Noi continueremo a provarci”, conclude Onufrio.
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