di
Alessandra Profilio
03-12-2010
La notte tra il 2 e il 3 dicembre del 1984 quaranta tonnellate di gas letali fuoriuscirono dallo stabilimento della multinazionale chimica statunitense Unione Carbide Corporation. A distanza di 26 anni da un disastro nel quale persero la vita 25.000 persone e 500.000 subirono gravi menomazioni e danni permanenti, i cittadini di Bhopal non hanno ancora ottenuto giustizia.
Sono trascorsi 26 anni dalla tragedia di Bhopal, uno dei più gravi disastri ambientali della storia. La notte tra il 2 e il 3 dicembre del 1984 quaranta tonnellate di gas letali fuoriuscirono dalla fabbrica di pesticidi della Union Carbide.
Nella capitale del Madhya Pradesh (stato federato dell'India centrale) morirono circa diecimila persone nei giorni immediatamente successivi al terribile incidente. Nei 20 anni seguenti il bilancio delle vittime è salito a 25mila. Pari a 500.000 è il numero delle persone che subirono gravi menomazioni e danni permanenti, come la perdita della vista. Ancora oggi nella zona nascono bimbi deformi e, quotidianamente, moltissime persone con problemi respiratori, motori e celebrali legati alla tragedia si presentano all'ospedale di Bhopal.
Malgrado tutto questo, però, il sito non è stato bonificato, la gente continua a bere acqua contaminata, i sopravvissuti non hanno mai ricevuto un risarcimento adeguato e il processo si è concluso con una pena pecuniaria irrisoria a carico dei responsabili, che oggi sono liberi.
Ieri mattina oltre 500 persone rese disabili dall'inalazione del gas hanno manifestato davanti agli ex stabilimenti della Union Carbide, spettro tangibile di una catastrofe senza fine.
“Dopo 26 anni di sforzi – ha detto ad AsiaNews Michael Francis, del Seminario maggiore di S. Carlo - le vittime della tragedia di Bhopal guardano ancora al governo e sperano un giorno di ottenere giustizia. Ma la giustizia ritardata è giustizia negata”.
Tuttora, infatti, Warren Anderson, l’allora presidente di Union Carbide Corporation (dal 2001 Dow Chemical Company) è latitante. Le otto persone condannate a due anni di reclusione lo scorso 9 giugno sono già libere su cauzione.
“In questa circostanza difficile la popolazione di Bhopal continuerà la sua battaglia, mostrando al mondo i danni delle intossicazioni chimiche provocate dal comportamento irresponsabile delle multinazionali”, ha aggiunto Francis, il quale ha spiegato che in questi anni solo Chiesa e organizzazioni non governative si sono prese cura delle vittime, fornendo loro assistenza medica e legale.
Particolarmente significativa per comprendere le ripercussioni che il disastro ha avuto sulla vita della popolazione è la testimonianza di Ruby, un ragazzo nato e vissuto a Bophal, che Greenpeace ha riportato un anno fa, in occasione del 25esimo anniversario della tragedia.
“Aspettiamo con ansia ogni nuovo giorno. O meglio ogni nuova settimana, nuovo anno. Ogni tanto ci sediamo e ci auguriamo di poter cancellare quel giorno terribile dal calendario, sarebbe meraviglioso se si potesse fare davvero. Il ricordo di quella notte tra il 2 e il 3 dicembre è per noi, sono sicuro, come l'11 settembre per gli americani... Per le persone coinvolte è stata la giornata più terribile della loro vita. Quella notte buia del 1984 è ancora una pagina aperta nella mia mente, come se fosse stato ieri”.
Ruby racconta quindi quei terribili momenti per poi concludere il suo racconto con una preghiera: “Ci sono molti bambini come me che hanno vissuto tutta la loro vita vicino alla fabbrica. Ma prego sempre che nessun altro bambino debba vivere un'infanzia come la mia. Prego perché i bambini di tutto il mondo possano crescere in un ambiente sano e non avere a che fare con una tragedia come quella con cui ho convissuto io”.
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