Il governo giapponese ha rifiutato a Greenpeace il permesso di condurre un monitoraggio indipendente sulla presenza di radioattività nelle acque territoriali vicine alla centrale nucleare di Fukushima. È stato autorizzato solo un programma di ricerche molto più limitato, a maggior distanza dalla costa.
Il governo del Giappone ha rifiutato a Greenpeace il permesso di condurre un monitoraggio indipendente sulla presenza di radioattività nelle acque territoriali vicine alla centrale nucleare di Fukushima. È stato autorizzato solo un programma di ricerche molto più limitato, a maggior distanza dalla costa.
L’ammiraglia di Greenpeace, la Rainbow Warrior, con a bordo una squadra di esperti di radioprotezione e di biologia marina, tra cui Giorgia Monti – responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia – è arrivata oggi al largo di Tokyo, diretta verso la costa della Prefettura di Fukushima. Greenpeace ha sottoposto al ministero dell’Agricoltura e dell’Alimentazione del Giappone un dettagliato piano di ricerca con test più numerosi e approfonditi di quelli condotti dal Governo [1]. Il Ministero ha concesso il permesso per analizzare acqua di mare, sedimenti e organismi marini, ma le ricerche più importanti, quelle entro le 12 miglia, sono state bloccate [2].
La Rainbow Warrior necessita di una riparazione alla bussola giroscopica e quindi si dirigerà per una breve sosta nel porto di Tokyo, sperando poi di proseguire verso le coste di Fukushima.
“È fondamentale che siano condotte valutazioni indipendenti sulla contaminazione in mare nell’area di Fukushima - sottolinea Giorgia Monti - Queste informazioni sono vitali per proteggere le popolazioni e valutare i danni presenti e futuri nell’area”.
Fino ad ora, Greenpeace ha condotto monitoraggi indipendenti a terra, pubblicando i risultati [3] con una trasparenza e tempestività apprezzata dalle autorità locali e dai cittadini. Ma queste informazioni sono incomplete senza i dati sulla contaminazione in mare, dove si stima siano state sversate centinaia di tonnellate di acque contaminate.
“Oltre alle preoccupazioni per la sorte degli ecosistemi marini, l’impatto della contaminazione radioattiva sulle risorse ittiche è fondamentale in un Paese come il Giappone che ricava dal mare la maggior parte delle sue proteine – aggiunge Monti – È assurdo che sulla contaminazione in mare, a due mesi dal disastro, ancora non ci siano né informazioni né misure di sicurezza adeguate”.
Ancora una volta, dopo il disastro, il governo giapponese risponde in modo parziale e indeciso, riconoscendo le attività di ricerca di Greenpeace ma bloccando la possibilità di un monitoraggio nelle aree più critiche. Greenpeace chiede con urgenza al governo del Giappone di rivedere la sua decisione e di autorizzare i monitoraggi della contaminazione radioattiva nelle acque costiere.
1. Il progetto di ricerca presentato da Greenpeace
2. L’autorizzazione del MOFA che approva – con limitazioni – la richiesta di autorizzazione alle attività di ricerca presentata da Greenpeace tramite i canali diplomatici dell’Ambasciata d’Olanda.
3. I risultati delle attività di monitoraggio, a terra, condotte da Greenpeace.
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