di
Alessandra Profilio
30-05-2011
A causa dell'inquinamento ambientale otto bambini su dieci nascono già 'contaminati'. Questa la preoccupante realtà delineata da uno studio del progetto Previeni, il primo studio interdisciplinare sul rapporto tra gli “interferenti endocrini emergenti”, la salute e l’ambiente.
In Italia otto bambini su dieci nascono già 'contaminati', anche se non vi sono apparenti disturbi. Ciò avviene in quanto gli “inteferenti endocrini”, ovvero le sostanze nocive responsabili dell'inquinamento ambientale, sono in grado di oltrepassare la barriera della placenta. Inoltre, nel 100% dei casi, da una madre contaminata nasce un bambino contaminato.
Questa la preoccupante realtà delineata da uno studio del progetto Previeni, il primo studio interdisciplinare sul rapporto tra gli “interferenti endocrini emergenti” (cosiddetti in quanto non ancora studiati in maniera sistematica), la salute e l’ambiente. Promossa e finanziata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, la ricerca è stata condotta dal WWF insieme all’Istituto Superiore di Sanità, il Dipartimento Salute della Donna e Medicina del Territorio-Università Sapienza di Roma/Ospedale Sant’Andrea e l’Università di Siena.
L'analisi rivela in particolare come l’inquinamento ambientale possa avere ripercussioni negative sulla fertilità umana e animale e come, invece, in situazioni più naturali come le Oasi WWF la presenza dei contaminanti sembra avere un impatto ridotto.
Lo studio ha coinvolto un campione di 250 coppie affette da infertilità: 10 coppie mamme-bambino e diverse specie animali che abitano due Oasi WWF in Abruzzo (Sorgenti del Pescara a Popoli e Diga di Alanno). Dalla ricerca è emerso come negli individui maggiormente esposti ad interferenti endocrini aumenti il rischio di infertilità e patologie correlate. Si tratta di un dato che conferma altre indicazioni della letteratura scientifica internazionale, che evidenziano come alti livelli di interferenti endocrini aumentino i disturbi della fertilità, della gravidanza e dello sviluppo infantile.
Ma dove si trovano queste sostanze pericolose? Malgrado le limitazioni di legge, interferenti endocrini sono tuttora contenuti in oggetti di uso comune come vestiti, tappeti, pentole antiaderenti e vernici (“composti perfluorurati-PFC”, idrorepellenti e anti-macchia), giocattoli, contenitori e dispositivi medici (“ftalati”, rendono il PVC più flessibile), tessuti, auto, computers e televisori (“ritardanti di fiamma”, riducono l’infiammabilità), pesticidi, oli e prodotti industriali (“policlorobifenili-PCB”, in alcuni paesi proibiti già dagli anni 70-80, ma persistenti nell’ambiente).
Tracce di interferenti endocrini si riscontrano poi anche negli alimenti dove arrivano per contatto diretto (ad esempio con i contenitori di plastica) sia per l'inquinamento degli ambienti in cui sono allevati gli animali e coltivate le piante.
Molti interferenti endocrini (come i PFC, i ritardanti di fiamma, i PCB) sono contaminanti 'persistenti' poichè, anche quando dispersi nell’ambiente, non si degradano ma si accumulano negli organismi viventi (in particolare negli animali), continuando a penetrare nell’organismo attraverso la cute, le mucose, l’apparato respiratorio e l’alimentazione. Pertanto sostanze vietate da decenni, come il DDT, continuano ad essere presenti nell’aria, nella terra e nell’acqua e vengono tuttora riscontrate in bambini e animali nati oggi. Altre sostanze come gli ftalati, invece, sono meno persistenti ma il loro vasto utilizzo in molti materiali fa sì che se ne trovino tracce anche nell’ambiente e nelle reti alimentari.
Come ha spiegato Donatella Caserta, ordinario di ginecologia e ostetricia dell’Università Sapienza di Roma, “la contaminazione dell’ambiente è un nemico nascosto, che oltre a minacciare gli ecosistemi terrestri e marini, passa attraverso il cibo e gli oggetti che usiamo ogni giorno, con conseguenze anche gravi sulla nostra salute”. “Per ridurre i rischi – continua Caserta - dobbiamo limitare la nostra esposizione a queste sostanze, attraverso stili di vita e scelte alimentari consapevoli. Ed è sempre più necessaria la realizzazione di adeguati programmi di controllo, sulla base di un sano principio di precauzione.”
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