Con un pronunciamento relativo alla coltivazione di OGM in Friuli, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha di fatto riconosciuto la possibilità di seminare mais geneticamente modificato senza l'autorizzazione dello Stato. Slow Food contesta la mancanza di contraddittorio e sostiene la necessità dell'adozione della clausola di salvaguardia.
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea si è espressa in merito alla domanda di pronuncia pregiudiziale richiesta dal Giudice di Pordenone Dott. Rodolfo Piccin relativa alla causa penale contro Giorgio Fidenato accusato di aver messo a coltura mais Ogm della varietà Mon810 senza avere ottenuto l'autorizzazione prevista in Italia secondo il decreto legislativo del 2001. Causa in cui Slow Food Italia, la Regione Friuli Venezia Giulia, la provincia di Pordenone, Coldiretti e Codacons si sono costituite parte civile.
La corte afferma che “la messa in coltura di organismi geneticamente modificati non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati” dall'Unione Europea. “Riteniamo che la Corte Europea abbia commesso un grave errore di metodo e un errore di merito”, commentano Alessandro Lamacchia, Katjuscka Piane e Stefano Cavallito, avvocati che rappresentano Slow Food.
Dal punto di vista del metodo, infatti, “invece di fissare un’udienza permettendo alle parti costituite nel processo, e sopratutto allo Stato italiano, di esporre le proprie ragioni, la Corte ha deciso senza contraddittorio. Sarebbe stato un atto di rispetto verso le nostre istituzioni nazionali quello di consentire per lo meno allo Stato Italiano di perorare la propria tesi”.
Nel merito, la mancanza di contraddittorio ha creato un equivoco circa la natura dell’autorizzazione che lo Stato italiano richiede al coltivatore. “L’ordinanza della Corte, infatti, pare equivocare circa le finalità di questa autorizzazione, sostenendo che consentirebbe allo Stato italiano di opporsi, in via generale, alla messa in coltura sul suo territorio di sementi già autorizzate a livello comunitario”, spiegano meglio gli avvocati.
La richiesta di autorizzazione alla semina consente invece di valutare ogni singolo caso tenendo presente tre fattori: la salvaguardia della biodiversità, la vicinanza con coltivazioni biologiche e convenzionali e il diritto di scelta dei consumatori.
La risposta dello Stato italiano al singolo coltivatore, quindi, non è da intendersi come un’ulteriore autorizzazione alla semina di un certo tipo di semi Ogm, ma l’autorizzazione a piantare detto seme in quello specifico campo dopo avere considerato la possibile coesistenza di tale coltura con quelle limitrofe biologiche o convenzionali.
“L’autorizzazione non è quindi generale, ma molto specifica: in linea con quanto affermato dall’art. 26 bis della direttiva 2001/18 secondo il quale 'gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di Ogm in altri prodotti'”, continuano i legali di Slow Food.
L'autorizzazione prevista dallo Stato italiano è quindi una misura volta a tutelare la coesistenza ed è da intendersi al più, qualora venga negata, come una restrizione o un “divieto geograficamente delimitato” e non come un divieto di carattere generale come erroneamente ritenuto dalla Corte nell’ordinanza in esame.
“La mancanza del contraddittorio non ha permesso di sottolineare questi e altri aspetti della norma nazionale e del caso concreto e di cogliere così anche le differenze con il caso Pioneer e le varie ragioni a sostegno delle posizioni delle parti civili costituite” concludono gli avvocati Lamacchia, Piane e Cavallito.
“Questa decisione ci preoccupa e ci fa riflettere su come provvedimenti così importanti per il futuro di tutti vengano assunti in maniera così discutibile e – parrebbe – approssimativa. Invitiamo i Ministri dell’Agricoltura, dell’Ambiente e della Salute a dare attuazione, nel più breve tempo possibile, all’adozione della clausola di salvaguardia, così come peraltro è stato sollecitato proprio in settimana (e con voto unanime di tutti i gruppi Parlamentari) dal Senato. Occorre evitare che qualcuno, prendendo spunto da questa ordinanza, si senta autorizzato a seminare Ogm in Italia”, commenta Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia.
Il Senato infatti ha approvato all'unanimità la mozione De Petris, che impegna il governo ad applicare in Italia la Clausola di Salvaguardia (in difesa della salute umana e dellʼambiente) nei confronti degli OGM, e anche ad attivare i necessari controlli affinché ogni possibile coltura transgenica abusiva venga scongiurata.
Come ha sottolineato il Comitato Scientifico Equivita commentando la notizia,“lʼItalia si aggiunge in tal modo ai già numerosi stati europei che si sono dichiarati OGM-free invocando questa Clausola, stabilita dalla direttiva 2001/18/CE (tra essi: Germania, Francia e Austria)”.
Il risultato ottenuto, continua Equivita, “non riguarda soltanto i cittadini e gli agricoltori, non riguarda soltanto la loro salute, strettamente legata ad un cibo e ad un ambiente più sani” ma “riguarda anche la nostra stessa sopravvivenza: tutela tutti noi dalla 'colonizzazione' dei nostri territori cui mirano le multinazionali biotech (ben poco inclini a preoccuparsi di una equa distribuzione del cibo)”.
Fonti: Slow Food, Equivita
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