di
Alessandra Profilio
14-01-2011
Sarebbero decine di migliaia i litri di combustibile riversati in mare la sera dell'11 gennaio durante le operazioni di scarico di una nave cisterna nella centrale termoelettrica E.On di Fiume Santo. Intanto, aumentano le preoccupazioni per i piani energetici della Sardegna.
L'incidente verificatosi martedì scorso a Porto Torres (Sassari) assume sempre più i caratteri di un disastro ambientale di enorme portata.
Sarebbero infatti decine di migliaia, e non 'soltanto' 10 mila come sembrava inizialmente, i litri di combustibile riversati in mare la sera dell'11 gennaio durante le operazioni di scarico di una nave cisterna nella centrale termoelettrica E.On di Fiume Santo.
Secondo le ricostruzioni la perdita si sarebbe verificata a causa di un piccolo foro nelle tubature che permettono il trasferimento del petrolio fino al deposito carburanti della centrale.
Considerate le dimensioni ridotte della falla, gli addetti ai lavori hanno sostenuto di essere riusciti a dare l'allarme soltanto a disastro avvenuto. Spetterà adesso agli inquirenti accertare che, in questo frangente, l’allarme sia stato dato in tempo, non appena gli operatori si sono resi conto della perdita.
Spinto dalla corrente, l'olio combustibile ha raggiunto le spiagge tra Porto Torres, Platamona e Marina di Sorso, ma potrebbe arrivare fino a Castelsardo. In queste zone da ieri mattina tutti gli accessi al mare sono stati chiusi ai non addetti ai lavori per evitare che la popolazione entri in contatto con il materiale altamente inquinante e cancerogeno portato dal mare sulle spiagge.
Intanto si contano già le prime vittime: sono stati infatti avvistati alcuni gabbiani uccisi dalla marea nera.
“È un gravissimo danno ambientale e d'immagine per tutto il territorio ma anche economico per tutte le attività che operano in quella zona. Un danno che dovrà essere quantificato”, ha affermato il sindaco di Sassari Gianfranco Ganau.
Sulla questione è intervenuto anche il presidente di Legambiente Sardegna, Vincenzo Tiana, il quale ha affermato che “è inammissibile che in un’azienda moderna avvengano ancora simili incidenti, tanto più grave se si considera che Porto Torres si trova di fronte al Parco nazionale dell’Asinara, uno degli ultimi paradisi naturali del Paese”.
“La E.On s’impegni ora a ripristinare lo stato di salute del litorale ma soprattutto ad adottare tutte le misure necessarie affinché disastri del genere non si ripetano”, ha aggiunto Tiana.
“Si tratta – prosegue Tiana – dell’ennesimo episodio di sversamento accidentale a danno delle nostre coste ed è ormai improrogabile avviare un piano di bonifica del territorio e ottenere adeguati risarcimenti. È il momento anche di ripensare il modello di sviluppo della Regione. Gli habitat e l’ambiente infatti sono la più grande risorsa dell’Isola minacciata costantemente dall’industria degli idrocarburi”.
L'incidente avvenuto a Porto Torres alimenta infatti le preoccupazioni circa il futuro della zona che, secondo i piani dell'Eni, dovrebbe divenire il più grande deposito costiero di idrocarburi del Mediterraneo.
Si tratta di un progetto che l'Eni, come riporta La Nuova Sardegna, “sta portando avanti quasi in silenzio e che, una volta completato, avrebbe la conseguenza di vedere aumentare in maniera esponenziale il traffico delle navi cisterna nel golfo dell'Asinara, di fronte al parco”.
In merito al recente disastro, la stampa sarda spiega che gli enti locali intendono “portare la società tedesca a un tavolo di confronto che consenta di 'eliminare' gli elementi di rischio per l'ambiente, a cominciare dalla demolizione dei gruppi uno e due a olio combustibile”. Questi ultimi, dei primi anni '80, sarebbero “tenuti in marcia a colpi di deroghe”. Gli enti locali chiedono inoltre il rispetto degli accordi con la Regione anche in merito alla costruzione del quinto gruppo a carbone “inserito nel quadro di un miglioramento dell'impatto ambientale”.
Dopo un iter burocratico durato più di un anno è stato approvato infatti l'ottobre scorso il progetto per la realizzazione a Fiumesanto di una nuova sezione da 410 megawatt alimentata a carbone per sostituire gli attuali gruppi 1 e 2 alimentati a olio combustibile.
“Ci guadagnerà l’ambiente, che è la risorsa che ci sta più a cuore – hanno detto in quell'occasione i rappresentanti istituzionali del territorio – ma inutile nascondere che la costruzione del nuovo gruppo rappresenta anche una boccata d’ossigeno per l’occupazione, ridotta ormai ai minimi termini”.
Eppure, già nel 2008 gli attivisti di Greenpeace protestavano contro i piani di espansione del carbone della Regione Sardegna sostenendo che la vera alternativa è rilanciare nell’isola le energie pulite che, secondo le stime dell'associazione, creerebbero oltre 7.000 nuovi posti di lavoro entro il 2020.
Ieri Greenpeace ha ribadito la necessità che tutta l'Italia porti avanti una rivoluzione energetica pulita commentando positivamente la sentenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto, in via definitiva, le responsabilità di vertici di ENEL per emissioni moleste, danneggiamenti e violazione delle norme anti inquinamento nell'attività della centrale termoelettrica a olio combustibile di Porto Tolle, nel Parco del Delta del Po.
“ENEL – ha affermato Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia - dovrebbe smetterla di investire in tecnologie pericolose come carbone e nucleare e passare con decisione alle rinnovabili e all'efficienza: oltre a Greenpeace, anche la Commissione europea e vari gruppi di imprese hanno già definito scenari realistici per un'Europa 100% rinnovabile al 2050. Perché l'Italia ed ENEL non dovrebbero accettare questa sfida che oltretutto genera molta più occupazione?”.
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