di
Francesco Bevilacqua
31-01-2012
L’Unione Europea ha proibito ai paesi membri di vietare le coltivazioni geneticamente modificate. Questo provvedimento va a rafforzare una precisa linea politica, mirata a favorire la conquista del mercato da parte di multinazionali dell'agrobusiness, come Monsanto.
Prosegue l’intesa che le istituzioni europee hanno ormai già da tempo con il colosso della chimica Monsanto e, in generale, con l’industria degli OGM. Questo avviene però in netta contrapposizione non solo con la volontà e la linea politica di molti degli stati membri, ma anche con alcuni degli stessi organismi comunitari, come il Parlamento, che l’estate scorsa si è espresso a favore della concessione ai governi nazionali del potere di vietare le coltivazioni geneticamente modificate.
In particolare, il dibattito è estremamente serrato in Francia, dove la battaglia si gioca sia sul piano dell’opinione pubblica – dibattito sicuramente influenzato dalle elezioni del prossimo aprile e dalla campagna elettorale già in atto –, che su quello legale e normativo. A questo proposito, lo scontro è fra il ministero delle Politiche Agricole e il Consiglio di Stato: quest’ultimo ha infatti espresso, in linea con la Corte di Giustizia europea, il parere contrario al divieto che il ministro Bruno Le Maire, insieme alla collega del ministero dell’Ambiente Nathalie Kosciusko-Morizet, aveva emanato per vietare la coltivazione degli OGM sul territorio francese.
Il provvedimento prendeva di mira nello specifico il mais MON810, studiato per proteggere la pianta dagli attacchi dei lepidotteri grazie alla proteina Cry1Ab. Insieme alla Francia, anche Germania, Austria, Lussemburgo, Bulgaria, Grecia e Ungheria avevano avanzato lo stesso ricorso e adottato una linea intransigente nei confronti del mais geneticamente modificato, linea poi giudicata illegittima dalla Corte di Giustizia Europea.
Il dibattito è serrato anche all’interno della stessa Unione: se a ottobre il Parlamento Europeo ha votato favorevolmente l’emendamento che permette ai paesi membri di vietare gli OGM, a dicembre la Commissione ha approvato l’introduzione di tre nuove tipologie di mais e una di cotone, tutti geneticamente modificati, ignorando l’ostilità dei governi europei.
Al di là degli effettivi rischi per la salute umana e animale, la cui reale portata è da sempre oggetto di accese discussioni scientifiche basate su ricerche dagli esiti contrastanti, il pieno appoggio che le istituzioni europee garantiscono alle multinazionali della chimica è preoccupante perché rischia di spostare l’importante dibattito – e conseguentemente le decisioni politiche che ne derivano – sull’accesso al cibo verso un piano esclusivamente commerciale e produttivo.
È proprio questo infatti l’obiettivo della ricerca biotecnologica: non tanto migliorare i valori nutrizionali delle colture, incrementandone la salubrità e la bontà, quanto piuttosto renderle più resistenti, in modo da massimizzare la produttività dei campi senza alcuna attenzione alla qualità dell’alimento, che spesso, secondo molti, non solo è cattivo ma è addirittura tossico.
Il tutto in un quadro normativo che sottopone il settore al rigido regime di un mercato monopolistico, o al massimo oligopolistico, in cui la sopravvivenza degli operatori è necessariamente legata al ricorso a metodi di coltivazione intensivi e a sementi geneticamente modificate, naturalmente tutte coperte da brevetto e quindi utilizzabili solo dietro pagamento di onerose royalties alle aziende chimiche che le producono.
La politica ultraliberista dell’Unione è quindi ben evidente anche in campo agricolo; qui però a essere messe a repentaglio non sono solo le condizioni economiche e sociali dei cittadini europei, ma la loro stessa salute.
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