di
Anna Garrapa
08-09-2011
Anna Garrapa ci racconta a puntate il viaggio a Lampedusa intrapreso all'interno del progetto 'presidio permanente a Lampedusa' promosso dalle Brigate di solidarietà attiva, una realtà autofinanziata, nata durante l'esperienza dei campi di solidarietà nell'Aquila del post-terremoto e che attualmente porta avanti differenti progetti di solidarietà sia a livello nazionale che internazionale.
Sbarchi e Mazurka
La prima impressione che ho avuto è stata quella di un’isola divisa a metà.
Migranti, turisti e lampedusani hanno probabilità d’incontrarsi solo in quattro luoghi: al porto al momento dello sbarco, al molo di Cala Pisana al momento dell’imbarco sulle navi che portano al continente, in aeroporto ed in ambulatorio. Per il resto la vita quotidiana dei vacanzieri e della popolazione locale si svolge in maniera assolutamente separata e parallela alle vicende che riguardano il trasbordo e la permanenza dei migranti nei due centri di accoglienza presenti sull'isola.
Nel contempo però le vie, le piazze, i bar, i negozi, le spiagge straboccano di forze dell’ordine: polizia, carabinieri, esercito, guardia di finanza, guardia costiera e via dicendo.
Camionette, furgoni, auto blu sono parcheggiate ovunque, percorrono costantemente le vie dell’isola e gli incroci del paese, gli elicotteri solcano ripetutamente i cieli per controllare spostamenti, supervisionare il territorio, anticipare i soccorsi in mare. La mia percezione di Lampedusa comincia ad associarsi in maniera indelebile al rombo dei motori e dei velivoli, ad un suono di sottofondo che accompagna costantemente la vita dell’isola, qualunque cosa si stia facendo.
A fine turno se ne vanno tutti al mare, a passeggio lungo il corso, a sedere nei tavolini dei bar, magari con la famiglia o con le fidanzate, oppure stanno tra di loro, mescolandosi con i lampedusani ed i turisti che fanno il bagno, che vanno in discoteca e che ballano la mazurca in piazza…
In fondo anche le varie forze dell’ordine fanno girare l’economia dell’isola e anche se molto probabilmente sono attivi contratti speciali che riducono gli introiti giornalieri degli albergatori, è pur sempre vero che queste soggiornano sull’isola prima, durante e dopo la stagione estiva, consumando in continuazione ed occupando camere da letto.
Lampedusa mi sembra sempre più un laboratorio sociale, un’isola degli eccessi, in cui convivono paesani, un po’ di turisti, un gran numero di forze dell’ordine alternativamente in divisa o in vesti vacanziere, un ampio mosaico di operatori di associazioni che lavorano nel centro, giornalisti, videomakers e viaggiatori coscienti e curiosi, in cerca di informazioni ed ansiosi di “avvistare” qualche spostamento dei migranti. Pare che tutti vogliano sapere, tutti si ascoltino, tutti facciano attenzione a ciò che viene detto e che molti si osservino con tacita consapevolezza, portatori di ruoli contrapposti, attori antitetici nel gioco delle parti, sospesi in un’apparente atmosfera turistica, in cui nessuno sembra fidarsi fino in fondo di nessun altro.
Sembra di vivere in un concentrato di mondo, in cui le classiche dinamiche della società sono state filtrate e poi messe nel vetrino di un microscopio. La prima impressione sconcertante è che si direbbe che a Lampedusa i migranti non esistono!
Lager e dintorni
La seconda constatazione ancor più sconcertante è che a Lampedusa se non sei ammesso ad entrare nei centri d'accoglienza e non lavori direttamente con i migranti nelle fasi di sbarco ed imbarco risulta che di ciò che accade nell’isola in termini d’immigrazione ne sai meno dei giornali e probabilmente anche meno dei tuoi amici e parenti che da qualunque altra parte d’Italia vedono i telegiornali e ti mandano messaggini di sostegno: di fatto è possibile stare a Lampedusa ed essere immersi in un’assordante ovatta informativa.
A Lampedusa sono presenti due centri, il cosiddetto CSPA (Centro di primo soccorso e accoglienza) di Contrada Imbriacola in cui vengono condotte le famiglie e gli uomini adulti, separati da una cancellata, e la ex-base militare Loran in cui sono trattenuti prevalentemente minori non accompagnati e che si trova in una delle punte più marginali dell’isola.
Nei centri lavorano numerose associazioni, organizzazioni non governative ed organismi intergovernativi. In particolare Croce Rossa, UNHCR, OIM e Save the Children fanno parte del cosiddetto 'progetto Presidium' finanziato dal Ministero degli Interni, cioè lo stesso che stabilisce le politiche italiane in tema di immigrazione. Accanto a queste vi sono numerose associazioni ed ONG che hanno il permesso di entrare per sviluppare altri progetti non finanziati dal Ministero e comunque riguardanti l’ambito dei diritti umani.
Inutile e superficiale fare di tutta l’erba un fascio: il reticolato di rapporti tra associazioni non governative ed intergovernative è estremamente complesso, le posizioni politiche sono divergenti, così come il significato dato al proprio intervento; sostanziale è poi la dipendenza o meno dai finanziamenti governativi e quella dovuta invece al raggiungimento della visibilità necessaria al mantenimento di donazioni e di finanziamenti non governativi, altrettanto determinanti sono le caratteristiche personali ed il ruolo professionale svolto all’interno dell’organizzazione.
Si affiancano così persone che quotidianamente scendono in campo per cercare di estendere l'accesso ai diritti e chi diviene invece subordinato esecutore delle direttive politiche nazionali.
Sta di fatto che il quadro generale che sono riuscita a ricostruire in questi giorni sembra caratterizzato da una strutturale assenza di coordinamento e di collaborazione reciproca rispetto alle medesime tematiche d’intervento, un’incapacità o impossibilità alla denuncia comune delle condizioni gestionali dei centri, delle discriminazioni etniche e generazionali nei tempi di permanenza e dell’illegittimità della sostanziale 'detenzione' coatta dei migranti: il tutto a fondamentale discapito dei migranti stessi.
La regia dei centri è totalmente nelle mani dell'ente gestore locale che gode di uno strapotere inconsueto e poco trasparente. Quello che emerge è un quadro insostenibile della gestione dei centri, caratterizzato da sporcizia, tedio ed abbandono, disattenzione, approssimazione delle terapie mediche, insalubrità degli spazi e disorganizzazione generale.
Oltre LaRepubblica
Al di là dei numeri specifici, quel che vale la pena sottolineare è come in questo periodo stiano arrivando sulle coste lampedusane soprattutto giovani subsahariani, provenienti dalla Libia, fuggiti dalla guerra, non so se tra di essi vi sia anche qualcuno obbligato coattamente a partire, in ogni caso moltissimi minori non accompagnati, poche donne ed alcune famiglie. Anche i tunisini continuano ad arrivare, anche se in numero notevolmente inferiore.
C’è una netta differenza nella gestione dei trasferimenti dall’isola: i subsahariani vengono portati regolarmente, a giorni alterni, in altre località italiane per essere accolti ed inseriti in case famiglia, se minori non accompagnati, o nei CARA per seguire le varie tappe del sistema di protezione per richiedenti asilo; i nordafricani e più specificamente i tunisini vengono invece portati nei CIE per poi essere rimpatriati o rilasciati sostanzialmente come clandestini dopo aver passato mesi (ormai fino ad un massimo di 18 mesi!) tra mura, filo spinato, umiliazioni e violazioni.
I migranti vengono trattenuti illegittimamente nei due centri, 24 ore su 24, circondati da vari strati di recinzione metallica e di camionette, per un periodo sistematicamente superiore alle 48 ore. Così non dovrebbe essere visto che trattandosi di CPSA formalmente i migranti dovrebbero ripartire rapidamente ed essere liberi di entrare ed uscire dalle due sedi.
Nella testa conservo le immagini indelebili, rubate attraverso gli strati di rete metallica, di ragazzini seduti in gruppetti, di giovani uomini in piedi da soli e con le braccia conserte sul petto, abbandonati all’immobilismo di una detenzione ingiustificata ed incomprensibile, di un assistenzialismo paternalista e vegetativo. Mi sono sentita un’impotente testimone di malcelati lager moderni. Ripenso alle lezioni di storia dietro ai banchi di scuola, alle testimonianze di una disumanità umana e mi torna in mente sempre la stessa domanda: ma come è stato possibile che succedesse davvero? Adesso purtroppo comincio a capirlo.
Anna, Brigate di solidarietà attiva (*)
(*) Le BSA sono una realtà autofinanziata, nata durante l'esperienza dei campi di solidarietà nell'Aquila del post-terremoto e che attualmente porta avanti differenti progetti di solidarietà sia a livello nazionale che internazionale.
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