di
Dario Lo Scalzo
17-12-2012
Pubblichiamo la prima parte dell'intervista alla giornalista investigativa americana Amber Lyon nota per il suo impegno nel portare alla luce le cause celate all'opinione pubblica. Ex corrispondente della CNN, Amber Lyon ha accusato il network di aver sistematicamente censurato i resoconti più importanti sulla rivoluzione in Bahrain.
Verità che affiorano gradualmente, mura che si sgretolano abbattute dalla volontà di fuoriuscire dalla cultura del falso e dalle ipocrisie e manipolazioni partigiane che riemergono dai fondali più bui. Il cammino è lungo e presenta enormi ostacoli, ma è possibile entrare in una reale era di cambiamento sotto la spinta della moralità e dell’etica nei comportamenti quotidiani degli individui.
Una nota giornalista d’investigazione della CNN un giorno decide di guardare la realtà da una prospettiva diversa e in questo gradito 'risveglio' racconta, scrive, si mobilita rischiando in prima persona e divenendo la paladina delle cause, quelle interne agli USA e quelle internazionali, oscurate, censurate, celate all’opinione pubblica.
In scenari nazionali e internazionali decorati di manipolazione e strumentalizzazioni mediatiche, Amber Lyon diventa simbolo di un giornalismo al servizio della gente incarnando il desiderio di testimonianza ed attivismo con il fine di ricercare la verità. Il Cambiamento l’ha contattata per raccontare la sua vicenda e il suo agire scomodo che anche i mass-media nostrani si guardano bene dal fare emergere.
La tua esperienza professionale non è nota in Italia. Potresti raccontarci la tua storia come giornalista della CNN?
Sono stata giornalista d’investigazione e documentarista per la CNN dal 2010 al 2012 prima di essere stata licenziata nell’aprile del 2012 quando la CNN ha deciso di smantellare l’unità di investigazione e documentari. Malgrado le minacce ricevute dalla CNN, ho deciso di dire stop alla censura e l’ho fatto attraverso una serie di servizi del giornalista d’investigazione Glenn Greenwald. Ho rapidamente avvertito il valore di questa apertura e della divulgazione pubblica. Le vicende di politica estera sono di gran lunga più importanti di ogni conseguenza che avrei potuto subire.
Cosa è successo, come sono andate le cose?
CNN International rifiutò in maniera molto sospetta di trasmettere i documentari “iRevolution” che ci erano stati commissionati e che, tra l’altro, erano pluripremiati. Eppure aveva già speso tanto per produrli e per coprire una notizia internazionale molto appetibile: il ruolo vitale dei social media nella spinta alla Primavera Araba. Ma il documentario divenne anche la più sfrontata rivelazione mai prodotta sino a quel momento da un network sul brutale regime in atto in Bahrain.
A mia insaputa, la CNN riceveva da anni denaro dal Bahrain per evitare ogni copertura su ciò che accade in quel paese e, ancora peggio, per propagandare e sponsorizzare il regime. Ne è un esempio, lo spazio “iList Barhain! condotto da Richard Quest, con una gioviale intervista con il principe del Barhain che pubblicizzava il suo operato, progressista e riformatore. Ne sono inoltre testimonianza i veri e propri spot o le pagine del sito web della CNN sul Barhain che mostrano fantastiche storie sul conto di quel paese dimenticando di integrarle con le deplorevoli vicende di violazioni dei diritti umani. In tutto questo la CNN non ha mai avvisato il pubblico che quegli spazi ed i loro contenuti erano pagati dal regime. D’altro canto, la CNN non mi informò neppure che da tempo immemore in Barhain gli attivisti dei diritti umani rischiano sistematicamente la vita. Espose così me e la mia troupe alla brutalità di quel paese.
Raccontaci un po’ di più della tua esperienza laggiù e del documentario “iRevolution”
Abbiamo girato “iRevolution” in Bahrain in marzo 2011. A quell’epoca eravamo i soli reporter di una televisione internazionale presenti nel paese. Proprio in quel periodo il Barhain, con l’aiuto delle truppe saudite, alleate con gli USA, stavano brutalmente reprimendo dei manifestanti favorevoli alla democrazia. Le forze del Bahrain e quelle dell’Arabia Saudita hanno letteralmente militarizzato gli ospedali del paese, hanno torturato i medici, i pazienti, i giornalisti e hanno utilizzato armi di controllo di massa, approvate dall’ONU, e pallettoni per soffocare chi protestava.
Alcuni attivisti, la mia troupe ed io siamo stati violentemente trattenuti dalle forze di sicurezza dopo essere stati fermati in alcuni villaggi a filmare gli abusi sui diritti umani. Militari con il volto coperto, armati, hanno costretto al suolo quattro di noi, hanno preso le attrezzature e cancellato tutti i video che hanno trovato nel tentativo di fare sparire l’evidenza dei fatti che avrebbe avvalorato le proteste in corso e dato credibilità ai manifestanti.
Ma all’insaputa delle autorità, la maggior parte dei nostri video li avevamo archiviati e tenuti nascosti. Potete immaginare la sorpresa del regime quando siamo rientrati negli Usa nell’aprile 2011 e quando cominciammo a trasmettere i servizi sulla brutalità del regime sia alla CNN US che su CNN International.
Inizialmente dunque la CNN mandò in onda i vostri reportage?
All’inizio la CNN trasmise i miei servizi abbastanza frequentemente e senza nessuna scocciatura. Solamente per una settimana, ma, visto che la mi voce e la mia influenza stavano crescendo rapidamente, i dirigenti della CNN cominciarono a minacciarmi di volta in volta sempre più dicendo inoltre che continuavano a ricevere lamentele dal Barhain. Progressivamente, le mie storie furono esaminate minuziosamente e fui costretta ad integrare nei servizi dei contributi accondiscendenti, ma ben presto la situazione divenne estenuante e così ho rifiutato di scendere a compromessi, come hanno fatto in tanti. Quando nel giugno 2011 “iRevolution” fu completato la CNN International ci comunicò che il documentario non sarebbe stato trasmesso. Molto strano visto che un documentario sulla Primavera Araba rappresentava, in quel momento, una tra le più grandi ed importanti storie dell’ultimo decennio.
Come fu giustificata quella decisione dalla CNN International?
La CNN giustificò il rifiuto alla trasmissione del documentario come una scelta meramente editoriale. Ma naturalmente il tutto era legato alle relazioni di sponsorship del canale con il regime del Barhain e alla conseguente censura da portare avanti. In seguito alla mia pressione, la CNN ammise di prendere soldi dal regime del Barhain, così come accade per molti altri canali e organi mediatici internazionali. Chiesi allora alla CNN da quali e quanti governi mondiali trae profitto in cambio di un’informazione positiva e di parte. E quali sono le trasmissioni “sponsorizzate”. Dopo anni di duro lavoro, fatto con passione per la CNN, meritavo una risposta che invece non è mai arrivata. Il Barhain non è il solo cliente pagante della CNN. La CNN fa affari con il Nigeria, l’Ucraina, il Libano, la Georgia, il Kazakhstan .
Dopo avere lasciato la CNN, hai dato vita ad una serie di iniziative finalizzate a svegliare la gente e l’opinione pubblica, una sorta di campagna di consapevolezza e conoscenza su differenti tematiche non solo interne agli USA.
La mia storia alla CNN mi ha svegliata e mi ha messo davanti ad un’aspra realtà e cioè che i principali canali d’informazione negli Stati Uniti alimentano la propaganda pubblica allineandosi ai desideri dello Governo statunitense. Un esempio calzante è stata la propaganda, che non definisco neppure giornalismo, condotta dai maggiori canali mediatici prima della guerra in Iraq per influenzare l’opinione pubblica.
I principali canali, inclusa la CNN, ripetevano costantemente la frase utilizzata dal Governo americano “Saddam Hussein possiede armi di distruzione di massa”, successivamente si è capito che era una falsa affermazione, ma era ormai troppo tardi. Ad ogni modo quella frase è stata ripetuta dai media così tante volte, malgrado nessuno si preoccupò di verificarne indipendentemente la veridicità, che si è diffusa una tale la paura tra la gente e l’opinione pubblica da convincere gli americani che la guerra fosse necessaria. Questo non è giornalismo. E’ propaganda ed è molto pericolosa nei confronti della gente comune per il suo effetto psicologico che porta poi a registrare quella informazione come verità.
Una tra le tue “campagne di sveglia” dell’opinione pubblica è relativa alla propaganda del governo statunitense contro l’Iran e il Presidente Ahmadinejad
La stessa propaganda mediatica mainstream è tuttora a lavoro. Non è più il tempo dell’Iraq, ma dell’Iran. Non sto dicendo che appoggio o sono pro Ahmadinejad, ma voglio sottolineare come ci sia un’azione propagandistica enorme rivolta al pubblico statunitense per demonizzare l’Iran.Questo è molto sospetto e pericoloso. Il meanstream americano costantemente ripete la frase “Ahmadinejad vuole cancellare Israele dalla carta geografica” anche se è stato provato che Ahmadinejad non abbia mai pronunciato questa frase.
È una situazione simile a quella delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Si usa la propaganda contro l’Iran e, sistematicamente, si mostrano dei report negativi sull’Iran per spaventare il pubblico americano e preparare il terreno per una guerra in Iran. E dirò di più, lo scorso settembre alle Nazioni Unite, mentre Ahmadinejad stava parlando in diretta, la CNN lo ha tagliato. Il conduttore ha coperto l’audio proprio quando Ahmadinejad cominciava a discutere la possibilità di una pace tra tutte le nazioni. Così, anziché, permettere al pubblico di ascoltare ciò che aveva da dire, l’audio è stato abbassato ed il conduttore aggiunse commenti accondiscendenti. Questo non è giornalismo.
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