di
Giorgio Cattaneo
12-12-2011
Il 10 dicembre il campo rom di Torino è stato assaltato e incendiato dopo la denuncia di uno stupro, rivelatasi in seguito infondata. Anche il capoluogo piemontese, che ha fatto dell'integrazione un proprio cavallo di battaglia, "sta per arrendersi alla grande crisi che innesca gli impazzimenti psico-sociali"?
“La crisi nella quale sprofonderemo sarà così grande, così grave e così improvvisa da farci perdere ogni sicurezza: a quel punto, quando il nostro standard di vita sarà a rischio, avrà buon gioco il primo infame che si alzerà a gridare che è tutta colpa degli immigrati, dei musulmani, dei Rom”. Profezia di Giulietto Chiesa, applaudita recentemente in un’affollata assemblea No-Tav in valle di Susa. Rom?
È toccato proprio a loro, il 10 dicembre, a Torino: il loro campo assaltato e incendiato dopo la denuncia di uno stupro, poi rivelatasi completamente inventata. “Il pogrom di Torino contro un campo nomadi – dice Gad Lerner – ci ricorda che la barbarie è sempre lì dietro l’angolo”. Semmai la notizia è un’altra: stavolta, a cedere, è una città come Torino, una vera “capitale dell’accoglienza”.
Nella triste Italia delle polemiche su Lampedusa, il capoluogo piemontese ha ospitato la più grande comunità rumena al di fuori dei confini della Romania, grazie anche all’alleanza strategica tra welfare pubblico e volontariato laico e cattolico, forte di strutture come il Sermig, il Gruppo Abele e il formidabile servizio diocesano che lavora da anni per prevenire attriti e favorire l’integrazione dei migranti.
Il vero record di Torino? L’assenza, fino al 10 dicembre 2011, di gravi episodi di violenza razzista. Merito anche di politici come Ilda Curti, assessore della giunta comunale ieri guidata da Sergio Chiamparino e oggi da Piero Fassino: mentre le periferie di Roma e Milano bruciavano, invadendo i titoli d’apertura dei telegionali, i quartieri periferici della città della Fiat brulicavano di arte e spettacoli di strada, mostre, serate, concerti. Cultura popolare contro l’isolamento che genera diffidenza, paura e violenza: una carta rivelatasi vincente, nella città che a Porta Palazzo ospita il più grande mercato multietnico d’Europa.
Se il centrosinistra da vent’anni alla guida della città ha fatto dell’integrazione un proprio cavallo di battaglia, è vero anche che il centrodestra torinese – con la sola eccezione del leghista Mario Borghezio, oggi trasferitosi a Bruxelles come europarlamentare – non ha mai soffiato sul fuoco dell’intolleranza: moderato l’attuale presiente leghista della Regione Piemonte, Roberto Cota; moderato l’assessore regionale Michele Coppola, sfidante di Fassino alle comunali; e super-moderato, sempre in casa Pdl, anche il predecessore di Cota e di Mercedes Bresso, cioè l’ex presidente della Regione, Enzo Ghigo, che proprio con Chiamparino mise da parte gli interessi elettorali di bottega per unire le forze in vista delle Olimpiadi Invernali del 2006 e tentare di sorreggere il sistema-Torino, accettando una difficile scommessa, quella di provare a far cambiare pelle a una metropoli pericolante, messa in crisi dall’eclissi storica della Fiat e del suo sterminato indotto.
Per anni, la scommessa ha retto. Fino al pogrom del campo nomadi: anche Torino sta per arrendersi alla grande crisi che innesca gli impazzimenti psico-sociali di cui parla Giulietto Chiesa?
Chi è finito nel mirino della furia incendiaria dei teppisti, per fortuna incruenta? Loro, gli zingari: considerati “i colpevoli ovvi, dati per scontati, sempre, come individui ma anche come gruppo”, osserva su Repubblica la sociologa torinese Chiara Saraceno: “Come era già successo altre volte, in altre città, bastava punire tutti gli abitanti del campo per il solo fatto di essere zingari, di esistere e di essere lì”.
Già, appunto: come già successo in altre città, ma mai prima d’ora a Torino, dove “i disagi effettivi provocati dalla presenza di un campo nomadi” ormai “non si distinguono più da difficoltà che hanno altre cause”. Addosso ai Rom, dunque, ridotti a semplice “nemico da distruggere”, a prescindere: “È l´atteggiamento che ha reso possibili i pogrom contro gli ebrei un tempo non lontano, i linciaggi e gli incendi contro i neri nel Sud degli Stati Uniti, e la tuttora attuale emarginazione e rifiuto degli zingari in Europa”.
Sotto accusa il nostro 'profondo Nord', “un´area del paese più ricca ma impaurita”. Ma se le tensioni xenofobe di Milano e del nord-est hanno purtroppo già fatto ripetutamente notizia, per Torino è davvero la prima volta. Difficile non leggervi il sintomo di una crisi ormai pericolosa: oltre che la più inquinata, Torino è anche la città più indebitata d’Italia, ricorda Gaetano Farina su Affari Italiani. Vendute ai torinesi come occasione straordinaria, ad appena cinque anni di distanza le Olimpiadi Invernali del 2006 presentano il conto: e mentre alcuni impianti sportivi, specie quelli collocati nelle valli alpine, cominciano a cadere a pezzi, l’amministrazione comunale prova a far cassa vendendo ai privati immobili di prestigio e fette di territorio potenzialmente edificabile: “Nei prossimi vent’anni, la popolazione sarà travolta da una valanga di cemento”.
Mentre quello di Mirafiori è quasi ridotto a uno stabilimento fantasma e Marchionne minaccia di lasciare l’Italia, le vestigia industriali si trasformano sistematicamente in aree edificabili. Per non parlare dell’insistenza ossessiva con cui la nomenklatura di Torino guarda alla valle di Susa, 'processando' i valligiani per la loro tenace opposizione alla linea Tav Torino-Lione, ormai divenuta il totem della possibile salvezza, cantieristica e finanziaria, di un sistema post-industriale messo in croce della globalizzazione e ormai appeso agli umori delle grandi fondazioni bancarie che, dietro le quinte, sembrano tirare le fila da quando l’ex capitale dei Savoia ha perso l’ultimo imperatore, l’avvocato Gianni Agnelli. Esaurito l’effimero maquillage olimpico, a Torino stanno per saltare i nervi?
Era il 31 dicembre 2006, ricorda Ilda Curti, che in piazza San Carlo patrocinò una grande festa della comunità rumena per l’ingresso della Romania nell’Unione Europea. “A un certo punto arriva sul palco una bambina spaventata: nella calca, aveva smarrito la madre”. L’assessore la conforta: “Tranquilla, ora la facciamo chiamare al microfono, così verrà a recuperarti”. Ma la piccola scoppia in lacrime. “Che succede?”. Niente altoparlante, implora la bambina: “La mamma ha detto che, se la polizia ci scopre, ci rispedisce in Romania”. Che ore sono? “Mezzanotte meno cinque”. Bene, sorride Ilda Curti: “Tra cinque minuti esatti facciamo l’appello al microfono. E la polizia non vi farà proprio niente: perché a mezzanotte tu e tua madre sarete esattamente come noi, cittadini europei”.
Non c’erano solo rumeni, in quella piazza gremita nella notte fatale tra il 2006 e il 2007: il 'salotto' di Torino era gremito anche di torinesi. Lieti di vivere in una città in cui, allora, nessuno si sarebbe mai sognato di assaltare un campo nomadi.
Fonte: LIBRE
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