Ebola è diventato il nuovo incubo degli ipocondriaci nel mondo dopo che si è scatenata per l’ennesima volta la corsa all’emergenza globale. Dopo il torinese xenofobo denunciato perché aveva falsamente annunciato su Facebook che a Lampedusa erano stati individuati 3 casi e dopo i titoli allamistici di molti media, anche in Italia la “febbre” della paura comincia a correre veloce. Ma le altre nazioni non sono da meno con diritti gettati alle ortiche come l’invocazione negli Usa di proibire ogni movimento o arrivo da tutta l’Africa Occidentale. L'Oms ha dichiarato l'emergenza internazionale, salvo però aggiungere che non sono necessarie restrizioni internazionali ai viaggi per evitare i contagi e invitando le compagne aeree a non sospendere i voli nelle aree di crisi perché le misure di sicurezza in vigore sono sufficienti a garantire la sicurezza di passeggeri ed equipaggi.
Chiariamoci: quella provocata dal virus Ebola è una bruttissima malattia, che provoca anche morte e in maniera atroce. Ma non ha senso astrarre una malattia dal contesto e dai dati. Sarebbe come vivere nel ventunesimo secolo afflitti dal terrore perenne di morire di peste bubbonica o come far man bassa di farmaci e chiudersi in un bunker per evitare la lebbra. Ossia: occorre guardarsi da ciò che rappresenta un pericolo reale e contingente, non un pericolo ipotetico e pochissimo plausibile. Per contrarre l’Ebola occorre un contatto diretto con sangue o fluidi corporei di persona infetta e nemmeno in Africa, benchè l’epidemia sia in corso, la diffusione della malattia appare così rapida. Dal dicembre 2013 ai primi di agosto sono stati riportati (secondo il bollettino Eurosurveillance) 1.711 casi di malattia con 932 morti, con una diffusione lineare, cioè ogni persona è stata infettata da qualche altra persona vicina. Ci sono malattie estremamente più contagiose, quelle ad esempio che si diffondono in maniera esponenziale, anche se magari con mortalità più bassa. I morti in Africa per Ebola sono cosa indiscutibilmente tragica, ma occorre mantenere il senso delle proporzioni. Altre emergenze ben più gravi e di dimensioni ben più ciclopiche continuano a mietere vittime in Africa senza che i media ci facciano titoloni. Facciamo qualche esempio considerando i tre Stati dove Ebola è comparso: Guinea, Liberia e Sierra Leone. In Guinea la tubercolosi (dati Oms 2012) ha contato 11.407 casi con 2600 morti; in Liberia i casi sono stati oltre 8000 con 1900 morti (dati Oms 2012); in Sierra Leone sempre per la tubercolosi (dati Oms 2012) i casi sono stati oltre 13.000 con 8500 morti. E si pensa siano sottostime. Sempre secondo i dati Oms, pubblicati nel World Malaria Report 2011, sono stati circa 216 milioni i casi di malaria stimati nel mondo nel 2010 e circa 655 mila i decessi, l’86% dei quali tra bambini di età inferiore ai 5 anni. E dai dati emerge che la maggior parte dei casi di malattia (81%) e dei decessi (91%) sono stati registrati in Africa. Il rapporto 2012 non ha presentato significative differenze. Nei Paesi a clima tropicale o subtropicale i livelli di endemia sono alti, con una stima di circa 250 milioni di nuovi casi e oltre 600 mila decessi, per la gran parte concentrati nel continente africano. E dopo i successi che hanno caratterizzato la prima decade del nuovo secolo, ora la lotta contro la malaria sembra segnare il passo. Secondo l'Amref, la malaria è la principale causa di morte per i minori di cinque anni in Africa. Quindi Ebola, oggi, se consideriamo i numeri, non è il problema maggiore. Persino la febbre di Lassa, che presenta molti dei terribili sintomi dell’Ebola, fa più morti e si diffonde di più
I maggiori effetti che si hanno quando milioni di persone leggono titoli allarmanti su Ebola sono la paura e lo stigma. Quando si sbandierava la fantomatica epidemia di Sars, gli asiatici venivano tenuti a distanza e guardati storto. Durante l’allarme H1N1, la cosiddetta “suina”, si è assistito a pura isteria da parte di gruppi di popolazione.
Peter Piot, scopritore del virus Ebola in Zaire nel 1976 e direttore della London School of Hygiene and Tropical Medicine, ha spiegato alla CNN che «la malattia è abbastanza facile da contenere e c’è bisogno di uno stretto contatto per infettarsi; stare sull’autobus con qualcuno che ha l’Ebola non è certo un problema» (sempre che qualcuno che ha l’Ebola arrivi sul vostro autobus!). La malattia, come spiega l’Oms, si trasmette per contatto diretto con sangue o fluidi biologici degli animali o delle persone infette. Semplici misure igieniche come lavarsi le mani con acqua e sapone, non riutilizzare le siringhe ed evitare il contatto stretto con persone infette sono sufficienti a fermare la diffusione della malattia.
Eppure, per creare quel clima di terrore globale tanto caro a chi poi lancerà sul mercato l’ennesimo farmaco o vaccino, un noto attore nigeriano ha postato su Instagram una foto di se stesso con una mascherina anti-Ebola seduto in una lounge di prima classe in aeroporto mentre partiva dalla Liberia. E mentre il panico aumenta, dagli Stati Uniti si moltiplicano le richieste alla Food and Drug Administration per accelerare l'approvazione di un farmaco per il quale sono iniziati i test di fase 1, il Tkm-Ebola.
Sia l’Oms che i Centers for Disease Control hanno ripetutamente sottolineato come il rischio di diffusione dell’Ebola al di fuori dell’Africa Occidentale sia estremamente basso; ma chi ascolta un sussurro in mezzo a tanto altro vociare di ben diversi direzione e tono? Un portavoce dell’Oms, Gregory Härtl, ha confermato che una persona con Ebola è andata in Nigeria in aereo, ma ha anche aggiunto che, in tutta la storia della malattia, solo una o due persone con Ebola hanno preso l’aereo! Ma c’è ben poco da fare quando i titoloni del terrore continuano a martellare la popolazione.
Art Reingold, responsabile del dipartimento di epidemiologia dell’UC Berkeley's School of Public Health, studia da 30 anni la prevenzione e il controllo delle malattie infettive. E spiega: «La gente non dovrebbe preoccuparsi che l’Ebola raggiunga i paesi occidentali; si trasmette solo attraverso sangue e fluidi corporei e la gente deve entrare in contatto strettissimo con chi ha il virus per contagiarsi. Sono magari a rischio i familiari che si prendono cura di un malato o gli operatori sanitari che li curano. Il virus non si trasmette con la tosse o gli starnuti, nemmeno sedendosi vicino a qualcuno sul bus. L’idea che il virus possa in qualche modo mutare e diventare più trasmissibile è uno scenario hollywoodiano. L’idea che il virus possa diventare più trasmissibile attraverso contatti casuali non è realistica e non è cosa di cui ci si debba preoccupare».
«Sappiamo bene come prevenire la trasmissione dell’Ebola, isoliamo i pazienti sospetti e i sanitari adottano tutte le precauzioni del caso – ha aggiunto Reingold - Tutto ciò ha funzionato anche in Africa in passato e oggi dovrebbe essere del tutto possibile prevenire la ulteriore diffusione del virus, ma per i paesi occidentali non vedo alcun bisogno di introdurre tali misure e non ritengo giustificata la paura di viaggiare in aereo né di andare nei paesi dove si sono manifestati i casi se uno ci si dovesse recare per lavoro. Nella storia, di Ebola sono morte poche centinaia di persone. In confronto a malattie come l’Aids, la malaria o la diarrea, Ebola affligge molte meno persone. Muoiono più persone di diarrea in un giorno di quante non ne abbia uccise l’Ebola nella storia della malattia».
Teniamo a mente cosa diceva al Der Spiegel Tom Jefferson, epidemiologo e membro della Cochrane Collaboration, nel 2009 durante l’ennesima “emergenza” dell’epoca. «L’OMS e i responsabili della salute pubblica, i virologi e i laboratori farmaceutici hanno costruito un sistema sull’imminenza della pandemia. Ci sono molti soldi in gioco, reti d’influenza, carriere e intere istituzioni! Ed è bastato che uno dei virus dell’influenza muti per vedere tutta la macchina mettersi in moto. Non pensa che il fatto che l’OMS abbia cambiata la definizione di pandemia sia notevole? La vecchia definizione era “un nuovo virus che si diffondeva velocemente, per cui non si aveva nessuna immunità e che causava un alto numero di malati e un’alta mortalità”. Ora, le ultime due sono state cancellate e con questo cambiamento è stato possibile catalogare l’influenza suina come pandemia».
E sempre Tom Jefferson a Il Fatto Quotidiano: «Il contratto di fornitura allo Stato italiano del vaccino pandemico (contro l’influenza suina) prodotto dalla Novartis già nel 2010 parve straordinario, perché i fondi per il suo sviluppo erano interamente a carico del contribuente. Non c’era nessuna garanzia che questi vaccini funzionassero. E, sulle spalle dello Stato, vi era l’intera partita, compresi gli indennizzi in caso di effetti collaterali. Con l’influenza aviaria nel 2005-2006, governi e stampa contribuirono a creare una psicosi, che gettò la base a tutti questi contratti di fornitura di vaccini pandemici e di altri farmaci anti-influenzali, come ad esempio il Tamiflu». Secondo Tom Jefferson la vicenda pandemia ha rappresentato «un fallimento multisistemico: un fallimento regolatorio, un fallimento della sanità pubblica, un fallimento dei media e degli operatori sanitari, primo fra tutti dei ricercatori». Non solo. «Il meccanismo della pandemia influenzale – spiega – è ripetuta tutti i giorni in diversi altri ambiti, in cui malattie vengono completamente inventate oppure il loro effetto viene ingigantito per aumentare il mercato, spaventare la gente o per indurre persone a certe scelte di mercato».
E oggi…a che puntata siamo arrivati?
Aggiornamento del 12 agosto:
Arriviamo al...nocciolo! Gli esperti consultati dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno affermato che è «etico» l’utilizzo di farmaci e vaccini in via sperimentale per affrontare l’epidemia di Ebola che sta colpendo l’Africa occidentale. Lo ha riferito l’Oms al termine di una teleconferenza con gli esperti. L’agenzia Onu non si è però espressa su chi, in presenza di quantità limitate a disposizione, debba ricevere questi trattamenti.
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