di
Gaia Palmisano
24-01-2013
Il reddito di base è una proposta portata avanti da una rete internazionale, il BIEN, presente anche in Italia, per garantire a tutti uno stile di vita decoroso. Molte le questioni ancora aperte a riguardo, intanto in Italia è partita una campagna di raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito minimo garantito, misura già prevista da 25 Paesi Ue.
Sono davvero i soldi che ci spingono a lavorare? La risposta sembra scontata in questo tempo di crisi, tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni. In un'Italia dove il tasso dei disoccupati è dell'11,1%, in costante aumento, pensare ad una società affrancata dall'ansia di arrivare alla fine del mese appare come una lontana utopia.
Eppure è forse proprio in un momento così tragico che vale la pena di pensare a delle nuove proposte e idee che rendano possibile per l'uomo vivere una vita degna di essere vissuta. Il reddito di base, chiamato anche reddito di cittadinanza (o "di esistenza", per includere anche i migranti, ndr), è una proposta portata avanti da una rete internazionale, il BIEN (Basic Income Earth Network), che è presente anche in Italia.
Il concetto è quello di garantire a tutti i cittadini e le cittadine un reddito di base, di un'entità in grado di consentire uno stile di vita decoroso. Il reddito è inalienabile e incondizionato, non è un aiuto sociale proporzionale al reddito e non obbliga ad alcuna attività. Esso si pone come uno strumento in grado di rendere possibile ciò che leggiamo nell'articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo: “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
Ciò che sta dietro all'idea del reddito di base è una questione etica: solo chi è affrancato dall'ansia di procacciarsi i mezzi per vivere può definirsi 'libero' e ampliare la democrazia, intesa come partecipazione attiva del cittadino. Non sono però trascurabili gli aspetti sociali implicati nel reddito di cittadinanza: il reddito di base incondizionato si pone infatti come strumento contro la povertà e sarebbe accompagnato da una riforma fiscale che potrebbe muoversi anche in senso ecologico.
Se oggi ad essere tassato è infatti soprattutto il lavoro, con l'introduzione del reddito di base sarebbe necessaria una tassazione sui consumi, sui beni di lusso, sui beni immobiliari ed una lotta all'uso smodato delle risorse. Non è quindi possibile pensare al reddito di base come ad un incentivo allo spreco 'gratuito': tale riforma può avere successo solo in una società dove vi sia un'inversione di valori e una lotta alla produzione smodata di beni futili e obsoleti. Si potrebbe immaginare il reddito di cittadinanza come uno strumento o una sfida per una società decrescente dove i soldi non sono il fine ma un mezzo per assicurarsi beni e servizi non autoproducibili o non reperibili attraverso una rete sociale solidale.
Le basi filosofiche di tali idee sono da ricercarsi nell'Umanesimo rinascimentale e, in particolar modo, nel capolavoro di Tommaso Moro “Utopia”, dove ad essere teorizzata è una società affrancata dalla paura di vivere, poiché i beni sono in comune, la proprietà privata è stata abolita e ognuno collabora alla produzione di beni, avendo tempo a sufficienza per il riposo e lo studio.
Il lavoro retribuito, che occupa un ruolo centrale nella scala dei valori della nostra società, è un concetto pressoché recente: esso è correlato all'espiazione della pena inflitta da Dio all'umanità in seguito al peccato originale e si colloca nella tradizione giudaico cristiana. Nelle società classiche, invece, il concetto di lavoro inteso come fatica non era un'attività da intendersi destinata a uomini liberi, i cittadini. Il reddito di base trae la sua genealogia da entrambe le tradizioni proponendo all'uomo la possibilità di un giusto equilibrio tra otium e negotium.
Viene però spontaneo domandarsi: da dove si prendono i mezzi per finanziare tale riforma? Prendendo come esempio la Germania, Stato dove tra l'altro sono presenti ammortizzatori sociali quali l'Arbeitslosengeld (assegno per i disoccupati) e il Kindergeld (assegno mensile che riceve ogni figlio fino al compimento degli studi), si nota come circa 620 miliardi all'anno siano destinati alla spesa sociale.
Se proporzioniamo tale cifra ad una popolazione di circa 80 milioni di abitanti, ne risulta la possibilità già attuabile di un reddito di cittadinanza di circa 800 euro destinabile ad ogni cittadino e cittadina. La spesa sociale italiana si aggira invece intorno ai 300 miliardi di euro annui che relazionata ai circa 60 milioni di abitanti della penisola, si potrebbe concretizzare in un reddito di base di circa 500 euro al mese.
Intanto anche in Italia è partita una campagna di raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito minimo garantito. Pur muovendo da presupposti comuni, e cioè il diritto di ognuno a vivere una vita degna, il reddito minimo garantito (previsto già in 25 paesi dell'Ue, tutti ad eccezione di Italia e Grecia, ndr) si differenzia dal concetto del reddito di base: la proposta di legge, infatti, mira a garantire un'entrata di 600 euro mensili a coloro che risultano sotto la soglia degli 8000 euro annui. Non è quindi un reddito incondizionato e inalienabile: può essere infatti revocato sotto alcune condizioni quali l'assunzione a tempo indeterminato, il compimento dei 65 anni di età, il rifiuto di un posto di lavoro.
Molti sono i punti che ci portano a riflettere sulla necessità di un cambiamento radicale nell'intendere i cardini attorno ai quali gli uomini e le donne organizzano la loro esistenza. Se riflettiamo sulle ore settimanali che prestiamo di lavoro non retribuito, che si aggirano intorno alle 19 per gli uomini e alle 30 per le donne, forse ci rendiamo conto che non sono i soldi il solo fattore a spingerci a lavorare.
Il reddito di base può essere uno strumento interessante per muoversi verso un modello di società più equa, ma molte sono le questioni da chiarire e approfondire. Nel nostro mondo globalizzato, ad esempio, dove la ricchezza dei paesi 'del nord' si basa sul lavoro vincolato dal debito estero dei paesi così detti in via di sviluppo, il reddito di base dovrebbe essere garantito in primo luogo ai paesi che ancora non si sono resi autonomi dal post-colonialismo.
Inoltre se il reddito di base diventerà una misura adottata, in che modo sarà possibile fare sì che il denaro percepito sia speso in circuiti che garantiscono un'etica ed equità, anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale?
E in che modo tale reddito potrà essere davvero incondizionato? Sarà possibile per i migranti che non si trovano in possesso di regolari documenti percepire tale entrata e affrancarsi da un ciclo di miseria sociale? E quell'apparato di pesante burocrazia e formalità che è lo Stato sarà in grado di rendersi mezzo di transizione verso una società più equa, o non è forse quello statale un modello di pensiero legato ancora a vecchi schemi e vissuti storici e poco resiliente?
Il dibattito sul reddito di cittadinanza, intanto, va avanti.
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