A raccontare con una lucidità esemplare quanto è accaduto e sta accadendo in Africa è Bwesigye Bwa Mwesigire, scrittore e avvocato ugandese, co-fondatore del Center for African Cultural Excellence di Kampala. E mette subito il dito su una piaga aperta: «Si dice che una delle ragioni per le quali il sistema dell’apartheid in Sud Africa non è stato smantellato, malgrado gli sforzi di Mandela, sia la questione della terra». Perché? Perché «la decolonizzazione resta incompleta se la terra non ritorna ai proprietari di diritto, quelli che ne furono brutalmente defraudati». Mwesigire afferma senza ombra di dubbio che è in atto una «silenziosa ricolonizzazione su vasta scala», travestita da sviluppo economico e da lotta alla povertà ma la cui finalità è unicamente la soddisfazione degli interessi delle multinazionali che vogliono profitti sui mercati e più cibo da commercializzare, mentre agli africani vengono negati i diritti e i bisogni.
La terra è fonte di vita e di morte
La terra non è solo un bene materiale. Nel 1997 la Church Land Conference di Johannesburg ha attestato come la terra è e dovrebbe essere al di sopra e al di là dei mercati e della politica, perchè la terra è fonte di vita, come la madre che dà nutrimento ai figli i quali altrimenti morirebbero di fame. Come diceva Andile Mngxitama sul The Chimurenga Chronic nell’aprile 2013, «la terra è sempre con noi, ci dà la vita e, quando moriamo, ci riaccoglie». Nello stesso articolo Andile raccontava la storia di Sipho Makhombothi, fondatore del Landless People’s Movement, che aveva lasciato istruzioni affinchè alla sua morte lo si seppellisse vicino ai suoi antenati. I membri del movimento lo hanno accontentato sfidando le armi dei bianchi che rivendicavano la proprietà di quelle terre. Due anni dopo il corpo di Makhombothi venne riesumato per ordine del tribunale. Andile ci ricorda che «le ossa di Makhombothi, senza terra in vita e senza terra nella morte, chiedono ancora giustizia». Gli effetti del furto della terra non sono visibili solo in Sud Africa.Il Kenya, ad esempio, ci rimanda storie di famiglie che possiedono intere contee e che sostengono politici di ben definite idee. In Namibia gli europei che vi risiedono possiedono territori enormi, terre dalle quali i nativi sono esclusi. Da quando nel nord dell’Uganda sono state deposte le armi, la guerra ha virato verso la terra. I profughi che erano fuggiti avevano lasciato le loro terre e gruppi industriali vi hanno poi scoperto giacimenti di materie prime; sono quindi emersi nuovi conflitti che vedono i gruppi industriali e il governo da una parte e i cittadini dall’altra. Le donne del distretto di Amuru – dove la macchina del land grabbing utilizza metodi anche intimidatori – protestano senza abiti contro i leader politici in segno di spregio e rabbia. Nel sud dell’Uganda la gente non voleva che la foresta di Mabira venisse trasformata nell’ennesima piantagione di canna da zucchero. Ci fu una grandissima manifestazione a Kampala, durante la quale si sparò ai dimostranti. I giornali riportarono che il land grabbing era stato fermato ma in realtà interi pezzi di foresta furono disboscati per far posto alle coltivazioni.
L’African Union è complice
Mwesigire sostiene che il linguaggio dello sviluppo economico è la giustificazione che si tenta di dare al land grabbing. E’ un’azione ben pianificata e spesso presentata con finalità positive. «Ironicamente l’African Union è complice in questo nuovo piano – spiega l’avvocato ugandese – E questo piano prevede il “New Alliance for Food Security and Nutrition in Africa” del G8 and l’Alliance for a Green Revolution in Africa (AGRA)». Secondo l’African Centre for Bio-Safety, la nuova ondata di colonialismo è chiarissima. La pianificazione include l’omogeneizzazione delle leggi in Africa a favore degli investimenti stranieri in agricoltura, leggi di proprietà a favore delle multinazionali straniere e l’autorizzazione all’utilizzo di sementi geneticamente modificate. Tutto ciò danneggia irreparabilmente la stragrande maggioranza dei piccoli agricoltori e la cosiddetta agricoltura di sussistenza. Depauperare di tutto i piccoli agricoltori significa controllare le loro vite e trasformarli in consumatori di prodotti . L’uso di sementi ogm permette alle multinazionali di esigere le royalties dagli agricoltori e distrugge la biodiversità che aveva permesso di garantire un’agricoltura sostenibile nel continente. I piani per la ricolonizzazione stanno già funzionando. Un rapporto pubblicato nell’aprile scorso dall’inglese World Development Movement (WDM), intitolato Carving up a continent: How the UK government is facilitating the corporate takeover of African food systems , affermava che enormi tratti di terreni nei paesi africani con accesso al mare e alta crescita economica sono nel mirino di gruppi come Monsanto e Unilever con l’aiuto dei governi inglese e Americano. Secondo quel rapporto, gli accordi siglati con alcuni paesi africani chiave (Benin, Burkina Faso, Etiopia, Ghana, Costa d’Avorio, Malawi, Mozambico, Nigeria, Senegal e Tanzania) espongono enormi distese di terra africana al rischio di “furto” da parte delle multinazionali dietro la scusa di combattere la povertà e garantire il cibo. Come riporta l’African Centre for Bio-Safety, grandi progetti come il Pro-Savanna nel nord del Mozambico stanno già cacciando gli agricoltori dalle loro terre imponendo sistemi su larga scala per l’export. Come nel colonialismo del 19imo secolo, anche in questa nuova forma di colonialismo contemporaneo entità africane stanno collaborando, politici e governanti che firmano accordi e permettono alla macchina coercitiva delle miltinazionali di agire.
«Il colpevole mantra dello sviluppo e del mercato che soddisfa tutti i bisogni – dice Mwesigire – non considera il fatto che le popolazioni africane vengono nutrite grazie ai piccoli agricoltori e non dai grandi gruppi che invece pensano solo all’export e ai mercati ricchi. Si pensa all’Africa come alla macchina produttrice di ciò che andrà poi a soddisfare i bisogni dell’Occidente. Le multinazionali e i governi stranieri che le finanziano non hanno alcun interesse nella sicurezza alimentare e nella sovranità alimentare delle popolazioni africane».
Nel 2012, l’Human Rights Watch ha riportato che il governo etiope ha costretto decine di migliaia di persone ad abbandonare le loro terre per darle agli “investitori”. La BBC ha spiegato come la terra sia stata acquistata dai cinesi e dall’Arabia Saudita che vogliono coltivarci oltre un milione di tonnellate di riso per esportarlo poi a casa loro. In Liberia, una comunità della contea Grand Bassa sta resistendo all’Equatorial Palm Oil (EPO), una società inglese che vuole ricavare in quelle terre l’olio di palma. Il governo ha concesso alla società 169.000 ettari di terreni senza consultare le oltre 7.000 persone del clan Jogbahn che vive in quelle terre da generazioni. Il presidente liberiano ha fatto promesse a quella gente, ma appunto sono solo promesse.
A fronte di questa situazione, si terrà dal 27 al 30 ottobre 2014 la prima Africa Conference on Land Grab al Parlamento Pan Africano, in Sud Africa.
Si ringrazia Bwesigye Bwa Mwesigire