di
Carlo Carlucci
30-09-2011
Qualche settimana fa se ne è andato l’avvocato Odoardo Ascari di Modena, colui che fece condannare l’Enel per la tragedia del Vajont. "Quasi tutto è allo sfascio, ma questo grande don Chisciotte senza macchia e senza paura ci sprona a non arrenderci mai, a intraprendere ora la strada, in salita, del cambiamento, verso quel paese che l’Italia non è mai potuta diventare".
Che fare? Era il titolo di un’opera famosa di Lenin. La rivoluzione russa trionfò con lui e poi è andata a finire come è andata. Un momento della faticosa marcia (verso dove?) della nostra povera umanità. E siamo in tanti a domandarcelo ‘che fare’ e a invocare ‘il cambiamento’. Il nostro giornale Il Cambiamento ha scelto una via percorribile, forse e a ben guardare, l’unica via percorribile.
Giorno per giorno segnare su una mappa ideale le tappe, i traguardi temporanei e temporali del che fare nella nostra casa, il mondo o l’Italia. Sul che fare Il Cambiamento non transige e d’altra parte non si può più transigere. Siamo al collasso anche se ci fanno vedere le ville di B. o le ville dei figli di Gheddafi, i magnati di qui e i magnati di là.
Se ne è andato un grande italiano, l’avvocato Odoardo Ascari di Modena. Giunto al terzo grado di giudizio finalmente ce la fece a far condannare l’Enel per l’immane tragedia del Vajont. Perché l’Enel come sempre si difendeva dietro il fatto fortuito: il Monte Toc, che come lo dice il nome stesso, ‘toc’ e perdeva ogni tanto un pezzo, l’ultimo pezzo l’aveva perso dentro la diga costruita dall’Enel. Era un famoso penalista l’Ascari, che si era fatto le ossa difendendo i parenti delle vittime nel triangolo rosso.
Ci voleva del fegato negli anni del dopoguerra mettersi contro il PCI emiliano e non solo. Ma, e per questo dicevamo di un grande italiano, l’avvocato Ascari di coraggio ne aveva da vendere. Quando ad esempio al comando dei suoi alpini nella ritirata di Russia dovette affrontare uno sbarramento di mitragliatrici e calcolò che disperdendosi a ventaglio potevano salvarsi almeno la metà. E così fu. Lui con tutti i superstiti, un centinaio, del calvario della ritirata furono infine catturati dai tedeschi e rinchiusi in un lager dove ebbero l’ultimatum: o giurare fedeltà a Hitler o fucilati. Solo due, fra cui Ascari, scelsero la seconda ipotesi, l’indomani, giorno della loro fucilazione arrivarono gli americani.
Ho avuto il privilegio di conoscerlo e di poter stare ad ascoltare i suoi ricordi. Per esempio quando giunse a poter disporre di un certo agio economico gli venne in mente di far compiere delle ricerche per trovare la sepoltura di suo padre caduto nella guerra d’Africa. La tomba fu trovata sulla spiaggia di fronte a Zanzibar. Gli scopritori gli chiesero due potenti radio ricetrasmittenti per potersi comunicare coi familiari nella foresta. E allora finalmente l’avvocato Ascari si poté recare sul luogo di sepoltura del padre e vide una lunga spiaggia bianchissima e il mare, una grande libertà e solitudine. E lì decise che era meglio che suo padre continuasse a riposare in quel luogo piuttosto che nel degrado che era diventata l’Italia.
Mi ha sempre confortato pensare a lui e ora, in quest’ora in cui tutto è allo sfascio, delinearne in poche righe la figura è per me un dovere. Quasi tutto è allo sfascio, ma questo grande don Chisciotte senza macchia e senza paura ci sprona a non arrenderci mai, a intraprendere ora la strada, in salita, del cambiamento, verso quel paese che l’Italia non è mai potuta diventare.
Al Jazeera l’emittente araba che senza alcuna pubblicità, con inviati coraggiosi, con servizi puntuali, con notizie da tutto il mondo cambia il direttore che ha plasmato in questi 8 anni ultimi una forma unica di dare le notizie. Al posto suo un emiro della famiglia reale del Qatar. Il direttore deposto (?) parla di normale avvicendamento. Con l’emiro? Ci sfuggono le ragioni, le pressioni eventuali. Parlano di troppa soggezione agli USA, anche che se gli USA di Obama non sono gli USA di Bush. Eppure la linea di Al Jazeera fin qui tenuta era tutt’altro che partigiana del mondo occidentale piuttosto che del mondo arabo. Staremo a vedere. Sarebbe un peccato se il ‘giornale’ relativamente più obiettivo, capace di spiazzare sia l’eurocentrismo che l’eroso made in USA, mutasse.
Primavera araba? Diciamo che continua con la pressoché unificazione della Libia, con l’Egitto che processa Mubarak, con la Tunisia, con il Marocco il cui re cerca di adeguarsi ai tempi, con la promessa, per ora, di cambi radicali in Algeria. Con la Siria dove l’opposizione pare rafforzarsi pur nel tributo quotidiano di sangue. La Palestina all’Onu ha segnato qualche punto a suo favore. E passi decisivi, con l’occhio ai paesi della Primavera, si vengono compiendo nelle nazioni della galassia araba. Una riconsiderazione del ruolo della donna, la religione separata dalla politica, il rifiuto progressivo di ogni posizione estremista… E chissà quale ruolo potrà giocare nel mondo questo improvviso risveglio oltretutto di una cultura araba che agì prepotentemente sulla cultura di un’Europa che languiva nelle grinfie di una Chiesa in ritardo e oppressiva.
La sinistra qui, la sinistra là, invocano da più parti. Ma quale sinistra? C’è un’altra Italia che sta uscendo dalle varie gabbie. Ci sono movimenti, esperienze che cercano momenti di aggregazione. Un’altra concezione più che della politica bordello o della politica stantia, del fare pubblico. È come una corsa con il tempo contro le aggressioni delle mafie o delle mafie imprenditoriali colluse, invischiate con la oramai tramontata ‘politica’. E sono ancora lì tutti attaccati alla greppia, anche se il gap, il vuoto tra noi, la gente, e loro è cresciuto a dismisura. Fino a quando?
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