di
Lucia Russo
20-09-2010
Nel contesto mediterraneo della Sicilia orientale, un approccio internazionale alla Permacultura improntato allo scambio tra le persone e la natura. In provincia di Siracusa abbiamo avuto l’opportunità di incontrare John Button, progettista, formatore e consulente internazionale in materia.
I campi sono il luogo per antonomasia dove apprendere la Permacultura. Su quelli di Noto Antica (Siracusa) a San Marco, in Sicilia, è nata lo scorso agosto l’occasione di conoscere gli insegnamenti di John Button, progettista, formatore e consulente internazionale della materia, e della Dott.ssa Agronoma Francesca Simonetti. Cinque giorni di corso pratico per chi ha voluto confrontarsi con i frutti di un’esperienza iniziata in Australia, dov'è nata nel 1980 ad opera di B. Mollison, e che ha avuto seguito poi con Lea Harrison e con il progettista internazionale Lindegger, attraverso India, Asia, Europa, Russia e Canarie.
È l’Associazione culturale SCIAMI di Noto, promotrice di nuove realtà da costruire in forma collettiva, a portare John Button per la prima volta in Sicilia, in un contesto comunitario ed internazionale, con partecipanti anche dalla Francia e dal Marocco. Nell’introdurre il concetto di 'permacultura' ed il corso pratico, John Button ha ricordato l’inevitabile sfida alla trasformazione che spetta all’agricoltura, sulla base di allarmanti indicatori emersi da ricerche di alcuni scienziati, come la perdita del 50% della disponibilità di suolo coltivabile sul pianeta (strato attivo) negli ultimi 100 anni, di cui è emblematico esempio la grave desertificazione del territorio australiano (80%).
"Siamo ad un punto della storia in cui tutti dobbiamo fare delle scelte fondamentali – ha affermato John Button in apertura, accennando alla premessa etica della disciplina che prosegue nel definire − un matrimonio tra gente e luoghi, un sistema di relazioni, una filosofia che ci offre la possibilità di rigenerare la natura di cui noi stessi siamo parte integrante".
Dinamicità, rigenerazione del suolo, elasticità e sistematicità. Sono i concetti che John Button sottolinea nell’approfondire la sua valutazione sulle prospettive di questa scienza. Lo abbiamo incontrato.
John Button, lei ha progettato case, giardini e frutteti, sistemi produttivi ecologici, auto-sufficienti ed esteticamente validi in varie parti del mondo. Quanto la Permacultura condivide con l’agricoltura biologica o biodinamica, i tetti verdi o le Vertical farms?
La Permacultura è soprattutto un sistema di progettazione - altra cosa rispetto all'agricoltura biologica, biodinamica - che dà centralità all'agricoltura con un'attenzione particolare al territorio, e che sintetizza aspetti di agricoltura, architettura, zoologia, topografia. Si cerca un percorso in cui applicare i principi della natura, ovvero dei sistemi naturali, alla progettazione umana, ricorrendo a tutte le qualità intrinseche di elementi quali clima, microclima, suolo, acqua, struttura, animali, vegetazione - giacché la relazione in natura corre tra tutti gli elementi, a volte lontano, altre vicino - per connettere la resa di un elemento con i bisogni degli altri, e per integrarli. Voglio essere critico: non tutte le discipline prima citate applicano principi ecologici, o non sempre. Hanno tutte potenzialità di rigenerazione, ma solo se praticate in modo ecologico. Non è questo il caso, ad esempio, di un agricoltore biologico che non riesca ad evitare l’erosione del suolo.
Cosa collega, invece, la Permacultura alle Transition Town?
Ecco, in questo caso la connessione è maggiore. Specie in Australia, ci sono grandi gruppi che hanno adottato pezzi enormi di terreno rigenerandoli, creando degli insediamenti umani sostenibili con importanti effetti sociali. Sono riusciti a cambiare le potenzialità delle città. Questo è un eccezionale risultato.
Che grado di compatibilità ha la Permacultura con la tecnologia, giacché si mira alla creazione di colture pluriennali caratterizzate da bassi consumi di energia fossile e impiego ridotto di lavoro umano?
Si guarda alla tecnologia con elasticità, purché l’uso che se ne fa sia appropriato.
Fin dove è arrivata questa scienza e dove ha attecchito maggiormente?
Ovunque, anche se in piccola misura. L’Australia è il Paese a maggior diffusione, seguito da Inghilterra, Germania, Nuova Zelanda, Indonesia, America. La Permacultura si sta comunque diffondendo sempre di più in tutto il mondo, in diversi settori, in ambito educativo-formativo, nella progettazione di terreni pubblici e privati, e in altri ambiti.
A chi si rivolge questo suo primo corso in Sicilia e con che obiettivo?
A chiunque. L’agricoltura è solo una parte della disciplina. Di solito, ci si addentra con un corso base di due settimane cui segue un praticantato di almeno due anni se si vuole diventare permacultori. Queste poche giornate servono solo da sperimentazione e stimolo verso una nuova visione, un nuovo atteggiamento.
C’è una cosa che voglio specificare. La Permacultura non s’identifica necessariamente con il biologico.
Ci faccia un esempio...
Se un agricoltore di un Paese povero, per esempio l’India, mi chiede un progetto per salvare il suo terreno e dispone di prodotti chimici, date le sue condizioni d’indigenza e l’impatto che queste sostanze avrebbero se buttate, io non gli chiederò di liberarsene, ma di utilizzarle nel modo più ecologico possibile.
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